Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10251 del 19/04/2021

Cassazione civile sez. I, 19/04/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 19/04/2021), n.10251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18359/2016 R.G. proposto da:

INTESA SANPAOLO PRIVATE BANKING S.P.A., in persona del legale

rappresentante p.t. P.P., rappresentata e difesa

dall’Avv. Giovanni Luigi Alliegro, con domicilio eletto in Roma, via

Paolo Emilio, n. 57;

– ricorrente e controricorrente –

contro

B.M.L., G.F., e G.E.,

rappresentati e difesi dall’Avv. Michele Lioi, e Tiziana Sorriento,

con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale B.

Buozzi, n. 32;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 604/16,

depositata il 14 aprile 2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 novembre

2020 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.M.L., G.F. ed G.E. convennero in giudizio l’Intesa Sanpaolo S.p.a.” per sentir accertare la nullità di due ordini di acquisto di obbligazioni Parmalat dell’importo rispettivamente di Euro 100.000,00 ed Euro 137.000,00, impartiti nei mesi di novembre 2001 e febbraio 2002, con la condanna della convenuta al pagamento della somma complessiva di Euro 114.608,69, a titolo di restituzione della differenza tra quanto versato per l’acquisto ed il ricavato della vendita, ovvero a titolo di risarcimento dei danni.

A sostegno della domanda, esposero che il primo ordine non era stato preceduto dalla stipulazione del contratto quadro, mentre il secondo non era stato sottoscritto dal funzionario di banca nè accompagnato da un ordine di acquisto al di fuori dei mercati regolamentati. Aggiunsero che la Banca aveva omesso di segnalare la rischiosità delle operazioni, facendo valere anche profili di inadeguatezza delle stesse e conflitto d’interesse.

Si costituì l’Intesa Sanpaolo, ed eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva, affermando di aver ceduto all’intesa Sanpaolo Private Banking S.p.a. il ramo di azienda comprendente la posizione degli attori.

Fu quindi autorizzata la chiamata in causa della predetta società, la quale si costituì in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda.

1.1. Con sentenza del 12 aprile 2013, il Tribunale di Torino dichiarò il difetto di legittimazione passiva dell’Intesa Sanpaolo e rigettò la domanda proposta nei confronti dell’Intesa Sanpaolo Private Banking, escludendo la nullità degli ordini di acquisto e l’inadeguatezza delle operazioni, e ritenendo non provato il nesso di causalità con il danno allegato.

2. L’impugnazione proposta dagli attori è stata accolta dalla Corte d’appello di Torino, che con sentenza del 14 aprile 2016 ha condannato l’Intesa Sanpaolo al pagamento della somma di Euro 114.608,69, oltre rivalutazione monetaria secondo gl’indici Istat, interessi all’1% sulla somma progressivamente rivalutata fino alla data della decisione, ed interessi legali da questa ultima data.

Premesso che tra le parti erano intercorsi due distinti rapporti bancari, uno intestato a B.M.L. e F. ed G.A., che costituiva il supporto del primo acquisto, e l’altro intestato soltanto ai primi due, che costituiva il supporto del secondo ordine, e rilevato che il primo rapporto non era collegato a un contratto quadro, mentre per il secondo era stata dedotta la mancata sottoscrizione da parte del funzionario di banca ed il mancato aggiornamento del contratto quadro, la Corte ha escluso la possibilità di riferire l’unico contratto stipulato tra le parti ad entrambi i rapporti, rilevando che gli stessi si differenziavano sia per l’intestazione che per il collegamento a distinti depositi amministrati, ciascuno dei quali era correlato ad un determinato conto d’appoggio. Ha dichiarato quindi invalida la prima operazione di acquisto, escludendo invece la nullità della seconda, in quanto la mancata sottoscrizione da parte del funzionario di banca poteva essere fatta valere soltanto dall’investitore, mentre il mancato aggiornamento del contratto quadro non incideva sul contenuto essenziale dell’atto; ha escluso inoltre la nullità degli ordini di acquisto per mancanza della forma scritta, dando atto del carattere integrativo delle relative disposizioni e dell’ammissibilità di ordini orali, nonchè della possibilità di una ratifica ricollegabile alla percezione dei frutti da parte degli investitori ed all’adesione degli stessi all’offerta di concambio dei titoli.

Premesso poi che non erano state proposte censure riguardanti l’adeguatezza degl’investimenti, la Corte ha ritenuto che la fragilità finanziaria del gruppo Parmalat fosse conoscibile da parte dell’intermediario fin dal 2002, osservando comunque che si trattava di titoli rischiosi, non consigliabili alla comune clientela, ed affermando quindi che, nonostante la consistenza del patrimonio finanziario degli appellanti e gl’investimenti dagli stessi precedentemente compiuti, la Banca avrebbe dovuto fornire un’informazione puntuale e capillare, anche alla luce dell’omessa profilatura dei clienti e del possesso di competenze comuni da parte degli stessi. La Corte ha ritenuto altresì sussistente il nesso di causalità, osservando che, secondo l’id quod plerumque accidit, in caso di compiuta informazione, gli appellanti si sarebbero astenuti dal prestare il proprio consenso alle operazioni, ed ha quindi ritenuto ultroneo l’ulteriore profilo riguardante il conflitto d’interesse.

In ordine alla quantificazione del danno, la Corte, pur rilevando la diversità del titolo dell’obbligazione, costituito nel primo caso dalla restituzione di una somma indebitamente trattenuta per nullità dell’operazione, e nel secondo dalla responsabilità della Banca per omessa informazione, ha fatto riferimento alla differenza tra l’importo investito nell’acquisto dei titoli e quello ricavato a seguito del concambio, sulla quale ha riconosciuto la rivalutazione monetaria, vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, e gl’interessi compensativi equitativamente determinati, fino alla data della decisione, nonchè gl’interessi moratori, per il periodo successivo.

Ha rigettato infine la domanda di restituzione dell’importo delle cedole, in quanto non indicato, e dei titoli, in considerazione dell’intervenuto con-cambio, osservando comunque che il relativo valore era stato tenuto in conto ai fini della liquidazione del danno.

3. Avverso la predetta sentenza l’Intesa Sanpaolo ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria. La B. ed i G. hanno resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato, affidato ad un solo motivo, al quale la ricorrente ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23 e dell’art. 30 Regolamento Consob n. 11522 del 1 luglio 1998, sostenendo che, nel ritenere che il contratto quadro stipulato tra le parti potesse costituire esclusivamente il fondamento del secondo ordine di acquisto, la sentenza impugnata non ha considerato che le norme indicate non prescrivono la sottoscrizione di un distinto contratto quadro per ciascun rapporto bancario o per ogni deposito amministrato. Premesso che il contratto quadro ha ad oggetto il conferimento di un mandato alla banca ad operare sui mercati finanziari e richiede la forma scritta, con funzione informativa, osserva che esso può essere collegato ad un numero indefinito di depositi amministrati, dai quali resta distinto. Contesta pertanto la nullità del primo ordine di acquisto, rilevando che lo stesso fu sottoscritto, unitamente ad G.A., da B.M.L., che in precedenza aveva sottoscritto un regolare contratto quadro.

1.1. Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata, rimasta incensurata sul punto, ha infatti accertato che gli ordini di acquisto impugnati erano collegati a due distinti rapporti bancari, ciascuno dei quali afferente ad un autonomo deposito amministrato e ad un proprio conto d’appoggio, il primo dei quali era intestato a ai coniugi G.F. e B.M.L. ed al figlio G.A., mentre il secondo era intestato soltanto ai primi due: da tale diversa intestazione la Corte territoriale ha desunto la riferibilità degli ordini di acquisto a rapporti d’intermediazione diversi, e, rilevato che per il primo non risultava provata l’esistenza del contratto quadro, ha dichiarato la nullità dell’ordine, correttamente escludendo la possibilità d’individuarne il fondamento nel contratto stipulato dalla B. e dal coniuge.

L’art. 30, comma 1 Regolamento Consob n. 11522 del 1998, disponendo che gl’intermediari autorizzati non possono fornire i propri servizi se non sulla base di un apposito contratto scritto, stabilisce infatti uno stretto collegamento tra gli ordini impartiti dall’investitore all’intermediario ed il c.d. contratto quadro, al quale, ai sensi del comma 2 medesima disposizione, è attribuita la funzione di disciplinare tutti gli aspetti del rapporto sottostante all’emissione dei predetti ordini, ed in particolare la durata del rapporto, la tipologia e le caratteristiche dei servizi forniti, le modalità per la formulazione degli ordini e quelle per la rendicontazione dell’attività svolta, quelle per la costituzione della provvista o delle garanzie necessarie per l’esecuzione delle operazioni, e le altre condizioni convenute per la prestazione dei servizi forniti. Tale collegamento trova giustificazione nella funzione stessa degli ordini, quali strumenti di attuazione delle obbligazioni previste dal contratto d’investimento, di cui condividono la natura negoziale, configurandosi come negozi esecutivi, attraverso i quali hanno luogo, per il tramite dell’intermediario, l’acquisizione e la dismissione dei valori negoziati, in conformità delle clausole contenute nel contratto quadro: con la conseguenza che la mancata stipulazione del contratto quadro o l’inosservanza della forma a tal fine richiesta ad substantiam dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 fanno venir meno lo stesso fondamento degli ordini impartiti dall’investitore, determinandone la nullità (cfr. Cass., Sez. Un., 4/11/2019, n. 28314; Cass., Sez. I, 31/08/2020, n. 18122; 24/04/2018, n. 10116).

Nonostante la standardizzazione che notoriamente contraddistingue tali contratti, ordinariamente conclusi mediante la sottoscrizione da parte del cliente di moduli predisposti dall’intermediario, il relativo contenuto può costituire oggetto di notevoli variazioni, non solo negli aspetti indicati dal Regolamento, che sono quelli più rilevanti sotto il profilo normativo, ma anche e soprattutto per quanto riguarda le condizioni economiche: le parti possono infatti non solo concordare durate diverse del rapporto, limitarne l’oggetto alla prestazione di taluni servizi ed escluderne altri, stabilire modalità particolari per la formulazione e l’esecuzione degli ordini e per la rendicontazione ed individuare in maniera differenziata le fonti da cui attingere i mezzi economici necessari per l’effettuazione delle operazioni o le garanzie da prestare a tal fine, ma anche disciplinare in modo diverso i compensi dovuti all’intermediario e le relative modalità di pagamento. Tali condizioni possono variare non solo da cliente a cliente, in relazione alle esigenze personali di ciascuno, agl’importi da investire, agli strumenti da utilizzare ed agli obiettivi perseguiti, ma anche per il singolo investitore, il quale può anche voler attribuire di volta in volta un contenuto diverso al rapporto, sicchè non può escludersi la possibilità che il medesimo investitore stipuli una pluralità di contratti d’intermediazione, non necessariamente destinati ad avere esecuzione in tempi diversi. Tale possibilità può essere collegata non solo all’intento di attribuire destinazioni diverse alle risorse economiche di cui l’investitore dispone, e di fissare quindi obiettivi d’investimento differenziati, con l’individuazione di fonti di finanziamento diversificate, ma anche alla volontà di operare congiuntamente ad altri soggetti, tenendo separate le operazioni d’investimento effettuate con questi ultimi da quelle effettuate uti singulus o con altri soggetti ancora, e concordando condizioni diverse per l’esecuzione delle stesse.

Non merita pertanto consenso la tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo cui la riferibilità dei due ordini di acquisto impugnati a depositi amministrati intestati a soggetti diversi non impediva d’individuarne il fondamento nell’unico contratto d’intermediazione finanziaria prodotto in giudizio, la cui sottoscrizione da parte della B., unitamente al coniuge G.F., avrebbe dovuto essere considerata sufficiente ad escludere la nullità anche dell’ordine collegato al deposito cointestato ai due coniugi ed al figlio G.A., risultando la donna contitolare di entrambi i depositi, i quali potevano essere collegati anche ad un unico contratto d’intermediazione finanziaria: se è vero, infatti, che l’apertura di un deposito amministrato e l’individuazione di un conto d’appoggio costituiscono modalità di esecuzione del contratto d’intermediazione, il quale può quindi dar luogo anche alla costituzione di più depositi e all’individuazione di più conti, in relazione alle esigenze di carattere operativo di volta in volta emergenti, alle norme tecniche applicabili ed alle direttive impartite dall’autorità di vigilanza, è anche vero, però, che, ove i rapporti risultino intestati a soggetti diversi, la parziale coincidenza degli intestatari non consente di estendere automaticamente il contratto stipulato da uno o più degli stessi al rapporto costituito con gli altri, a ciò ostando la diversità delle parti, cui può ben corrispondere, e normalmente corrisponde, anche la disomogeneità delle condizioni concordate.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per omessa, apparente e/o perplessa motivazione, ai sensi dello art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ravvisato un nesso causale tra l’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario e l’effettuazione della operazione, in base all’id quod plerumque accidit, senza indicare gli elementi indiziari posti a fondamento della presunzione.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sostenendo che l’onere di fornire la prova del nesso causale incombeva agli investitori, i quali non lo hanno adempiuto.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, osservando che, nel ritenere sussistente il nesso causale, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’elevato profilo di rischio degli appellanti, titolari di un consistente patrimonio investito in strumenti finanziari, e del livello di rischio di quelli presenti nel loro portafoglio al momento dell’effettuazione delle operazioni, nonchè della circostanza che gl’investitori avevano proceduto all’acquisto dei titoli nonostante il pregiudizio precedentemente subito a causa del default dei titoli di Stato argentini.

5. I tre motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la comune problematica relativa alla prova del nesso causale, sono infondati.

In tema d’intermediazione finanziaria, e con riguardo alla ripartizione dell’onere probatorio nei giudizi di responsabilità per i danni derivanti dall’inadempimento delle obbligazioni poste a carico dell’intermediario, questa Corte ha infatti affermato che, conformemente ai principi generali, l’investitore è tenuto ad allegare specificamente gli obblighi rimasti inadempiuti, tra quelli previsti dal contratto di negoziazione, dal D.Lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa secondaria, nonchè a fornire la prova del danno subito e del nesso di causalità tra quest’ultimo e l’inadempimento, mentre l’intermediario è tenuto a provare di aver ottemperato agli obblighi di cui l’investitore ha allegato l’inadempimento, e, sotto il profilo soggettivo, di aver agito con la diligenza specificamente richiesta dall’attività esercitata a titolo professionale (cfr. Cass., Sez. I, 24/05/2019, n. 14335; 24/04/2018, n. 10111; 19/01/ 2016, n. 810). E’ stato tuttavia precisato che la funzione sistematica assegnata agli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, ai fini del riequilibrio dell’asimmetria riscontrabile sotto il profilo conoscitivo-informativo tra le parti del rapporto contrattuale, comporta, nel caso in cui sia provato l’inadempimento, una presunzione di sussistenza del nesso causale, che pone a carico dell’intermediario l’onere di fornire la prova contraria: tale prova non può essere tuttavia desunta dalla generica propensione al rischio dello investitore, emergente anche da scelte pregresse intrinsecamente rischiose, dal momento che anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi maggiori rischi in funzione del conseguimento di un più elevato profitto deve essere posto in grado di valutare la convenienza e l’opportunità della sua scelta d’investimento, confrontandola con altre possibilità offerte dal mercato, sulla base delle informazioni che l’intermediario è tenuto a fornirgli (cfr. Cass., Sez. I, 28/07/2020, n. 16126; 17/04/2020, n. 7905; 28/02/2018, n. 4727).

A tali principi, pur senza richiamarli espressamente, si è attenuta la Corte territoriale, la quale, pur rilevando che la sentenza di primo grado era rimasta incensurata nella parte in cui aveva riconosciuto l’adeguatezza della operazione d’investimento rispetto al profilo di rischio degli attori, ha ritenuto che, ciò nonostante, la Banca fosse venuta meno all’obbligo d’informazione attiva: premesso infatti che alla data di formulazione dell’ordine di acquisto delle obbligazioni Parmalat la fragilità del gruppo emittente era già conoscibile da parte della Banca, ha affermato che in ogni caso si trattava di titoli rischiosi, non consigliabili alla comune clientela, ma ad investitori professionali o comunque dotati di una certa esperienza nel settore; ha osservato che gli attori, pur essendo titolari di un ingente patrimonio ed avendo effettuato in passato altri investimenti finanziari, erano invece in possesso di competenze comuni, ed ha pertanto concluso che la Banca si era sottratta all’adempimento dell’obbligo di fornire agli investitori un’informazione puntuale e capillare: da tale accertamento è poi risalita, attraverso un procedimento induttivo fondato sul richiamo a regole di comune esperienza, alla sussistenza del nesso causale, affermando che, in caso di compiuta informazione, gli attori si sarebbero astenuti dall’effettuazione dell’operazione.

Nel contestare il predetto ragionamento, la ricorrente non è in grado di indicare lacune argomentative o carenze logiche talmente gravi da impedire la ricostruzione del percorso logico seguito per giungere alla decisione, ma si limita ad evidenziare l’insufficienza del riferimento quod plerumque accidit, senza considerare da un lato che, ai fini della prova per presunzioni, non è necessario che il fatto ignoto appaia come l’unica possibile conseguenza di quelli accertati in giudizio, ma è sufficiente che sia ricollegabile agli stessi secondo criteri di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, verificabile secondo regole di comune esperienza (cfr. Cass., Sez. III, 21/01/2020, n. 1163; Cass., Sez. II, 6/02/ 2019, n. 3513; 31/10/2011, n. 22656), e dall’altro che, in materia di intermediazione finanziaria, la mancata somministrazione delle informazioni relative ai titoli da acquistare costituisce una condotta omissiva normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore, configurandosi come un fattore di disorientamento tale da condizionare in modo scorretto le sue scelte di investimento (cfr. Cass., Sez. VI, 3/10/2018, n. 24142; Cass., Sez. I, 16/02/2018, n. 3914). Nell’insistere sull’adeguatezza dell’operazione rispetto al profilo di rischio degli investitori e sull’esperienza da questi ultimi maturata in materia di investimenti finanziari, la ricorrente omette poi di rilevare che la relativa valutazione non è di per sè sufficiente a dispensare l’intermediario dagli obblighi informativi posti a suo carico, giacchè la circostanza che il cliente propenda per investimenti rischiosi non esclude la facoltà dello stesso di selezionare tra gli stessi quelli che, a suo giudizio, presentino maggiori probabilità di successo, sulla base delle informazioni che l’intermediario è tenuto a fornirgli (cfr. Cass., Sez. I, 31/08/2020, n. 18153; 4/04/2018, n. 8333). Qualora pertanto, come nella specie, il cliente non rivesta le caratteristiche dell’investitore abilitato o professionale, la sua accertata propensione al rischio non fa venir meno gli obblighi informativi dell’intermediario, ma li qualifica in modo peculiare, nel senso che l’esperienza dell’investitore e le scelte da lui compiute in precedenza devono orientare l’individuazione delle informazioni da fornire, indirizzandola verso quelle riguardanti le caratteristiche specifiche e non generalmente o facilmente accessibili del prodotto: ciò anche in considerazione del fatto che quanto più elevato è il rischio dell’investimento, tanto più puntuali devono essere le informazioni fornite, dovendosi verificare se le decisioni d’investimento adottate dal cliente si siano fondate su una conoscenza effettiva dei rischi conoscibili del prodotto (cfr. Cass., Sez. I, 14/11/2018, n. 29353; 27/ 04/2018, n. 10286; 22/12/2017, n. 30902).

6. Il ricorso principale va pertanto rigettato, restando conseguentemente assorbito l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, con cui i controricorrenti hanno dedotto la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 e dell’art. 30 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la nullità del secondo ordine di acquisto per mancanza della sottoscrizione del funzionario di banca e per mancato aggiornamento del contratto quadro.

7. La novità della questione posta dal promo motivo d’impugnazione giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale dallo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2021

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