Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10251 del 18/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 10251 Anno 2016
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 2933-2012 proposto da:
FGA INVESTIMENTI S.P.A. P.I. 00513390013,

soeieta’

icorporante I.T.C.A. PRODUZIONE S.P.A., in persona
del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio (TOFFOLETTO DE LUCA TAMAJO RAFFAELE), rappresentata e difesa dagli
2016
945

avvocati DE LUCA TAMAJO RAFFAELE e ITALICO PERLINI,
giusta delega in atti;
– ricorrente contro
NITTOLO PASQUALE C.E. NTTPQL67L01F839D, elettivamente

Data pubblicazione: 18/05/2016

domiciliato in ROMA, VIA AURELIANA N.25, presso lo
studio dell’avvocato MARIAFEDERICA DI LIBERO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 9976/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/03/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito l’Avvocato PERLINI MATTEO MARIA per delega
Avvocato PERLINI ITALICO;
udito l’Avvocato DI LIBERO MARIAFEDERICA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

di ROMA, depositata il 24/01/2011 r.g.n. 8396/2009;

R.G. n. 02933/ 2012

1. – Con sentenza depositata il 24.1.2011 la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza
del Tribunale di Cassino che aveva accolto la domanda proposta da Pasquale Nitttolo nei
confronti di ITCA Produzione s.p.a. (successivamente incorporata dalla FGA Investimenti
s.p.a.) tesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità della collocazione in CIGS e la condanna
della società al pagamento di una somma differenziale tra il trattamento percepito e la
retribuzione spettante. La Corte territoriale ha motivato la pronuncia di rigetto dell’appello
proposto dalla società sulla base della genericità dei criteri di individuazione dei lavoratori da
sospendere con particolare riguardo ai criteri di rotazione, insuscettibill di sanatoria mediante
un accordo sindacale (raggiunto con verbale del 23.7.2002) a sua volta di contenuto generico.
2. – Avverso la sentenza, la ITCA Produzione s.p.a. propone ricorso per Cassazione, affidato a
tre motivi. Il Nittolo resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. – La società ricorrente denuncia, con il primo e secondo o motivo, in relazione agli artt. 360,
primo comma, n. 3, violazione o falsa applicazione delle norme dettate in materia di
procedimento per accedere alla cassa integrazione guadagni (nella specie, art. 1, commi 7 e
8,Iegge n. 223 del 1991) nonché dei criteri concernenti l’interpretazione degli atti negoziali
(artt. 1362 e ss c.c.).
La ricorrente rileva che la Corte d’appello, avallando le argomentazioni logico-giuridiche
sviluppate dal giudice di primo grado, ha erroneamente interpretato l’accordo sindacale
sottoscritta tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali in data 23.7.2002, accordo che era,
invece, sufficientemente specifico ove rinviava alle “esigenze tecnico organizzative” per la
scelta del personale dipendente da sottoporre al regime della rotazione e che doveva, inoltre,
essere valutato anche alla luce del comportamento successivo tenuto dalle parti stipulanti, con
particolare riguardo al comunicato sindacale effettuato ai lavoratori per illustrare i risultati delle
trattative tenute con l’impresa.
4. I detti motivi i si prestano ad essere trattati congiuntamente, in quanto involgenti questioni
intrinsecamente connesse in quanto relativi alla pretesa specificità dei criteri di scelta dei
lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni e da sottoporre a rotazione.
Le censure risultano infondate.
5 – La Corte romana muove dal presupposto secondo cui la genericità dell’informazione alle
organizzazioni sindacali del 18 luglio 2002 (con cui è stata rappresentata “la necessità di dover
procedere ad un piano di ristrutturazione, riorganizzazione al fine di realizzare processi di
razionalizzazione e rinnovo tecnologico degli impianti”) non sia stata sanata dalla stipulazione
dell’accordo sindacale del 23 luglio 2002 in quanto carente, anche esso, di contenuto
specifico(quanto ai criteri di scelta del personale da sospendere e all’adozione di meccanismi di
rotazione nella sospensione). In riferimento al contenuto dell’accordo, la Corte territoriale
sottolinea che la suddetta specificità – esclusa anche dal giudice di primo grado – non sarebbe
desumibile dal fatto che la clausola dell’accordo sindacale sulla scelta del personale rinvia alle
“esigenze tecniche organizzative riferite sia all’andamento della ristrutturazione e
riorganizzazione sia in funzione delle richieste di volumi produttivi attuali e necessari al
mercato di riferimento ed in base alla nuova organizzazione de/lavoro”; né, in particolare, con
riguardo alla rotazione, sarebbe sufficientemente specifica la precisa individuazione delle
posizioni lavorative sulle quali la scelta sarebbe poi effettivamente caduta (produttive e/o di

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

struttura, con cadenza rispettivamente differenziata), rimettendo, poi, alla mera discrezionalità
del datore di lavoro l’individuazione delle posizioni ritenute “fungibili”.
Tale assunto si basa su una condivisibile ricostruzione della portata e della ratio della
normativa di riferimento nonché della relativa giurisprudenza di questa Corte, anche con
riguardo alla fattispecie de qua (vedi Cass. 14.5.2012, n. 7459).
In particolare la Corte territoriale considera che l’evoluzione della giurisprudenza di questa
Corte in materia ha tuttora il suo fulcro nel principio secondo cui in caso di intervento
straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione,
riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale,
il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datare di lavoro,
sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di
comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri,
eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere
sospesi, in base al combinato disposto della legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e
della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5. Il suddetto principio si è, infatti, del tutto
consolidato nel tempo, trovando continue e molteplici conferme nella giurisprudenza di
legittimità, anche recente (vedi, per tutte: Cass. 23aprile 2004, n, 7720; Cass. 4 ,maggio
2009, n. 10236; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393; Cass. 21 settembre 2011,n. 19235, Cass. 1
giugno 2015, n. 11322).Come questa Corte ha ribadito, in applicazione del suddetto principio,
è stato precisato che: a) per l’attuazione della finalità perseguita dal legislatore, la specificità
dei criteri di scelta, che si possono definire generali in quanto rivolti ad una collettività di
lavoratori, consiste nella idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a
consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. n. 7720/2004; in tal
senso, v. altresì Cass. n.12719 e n. 11660 del 2006);b) il provvedimento di sospensione
dell’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro (sia che intenda adottare il
meccanismo della rotazione, sia in caso contrario) ometta di comunicare alle organizzazioni
sindacali, ai fini dell’esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli specifici criteri,
eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere
sospesi, ed ai quali criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere (Cass.
28 novembre 2008, n. 28464);c) ai fini della legittimità della sospensione della retribuzione
per i lavoratori collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria, l’azienda è tenuta a
comunicare la individuazione dei lavoratori da sospendere e i motivi per i quali non vengono
adottati i meccanismi di rotazione;la sussistenza di vizi procedimentali e la conseguente
inefficacia dei provvedimenti aziendali può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in
quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi
pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 19 agosto 2003, n. 12137;
Cass. 18 maggio 2006, n. 11660); d) in tema di procedimento per la concessione della c.i.g.s.,
la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale
assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all’individuazione dei
dipendenti interessati alla sospensione, tale da rendere impossibile qualunque valutazione
coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di
comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, (Cass. n. 13240 e n.
15393 del 2009; conf. Cass. n. 19618 del 2011, n.7459 del 2012);e) tale ultima violazione non
può ritenersi sanata dall’effettività del confronto con organizzazioni sindacali, trovandosi
queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto specifico
dei dati da trattare (Cass. n. 13240 e n. 15393 del 2009). Rispetto alla suindicata
giurisprudenza non si pongono in contraddizione – come chiarito da Cass. 28 novembre 2008,
n. 28464 cit. – le sentenze nelle quali è stato precisato che gli accordi sindacali possono porre
rimedio alla mancata ottemperanza degli oneri di comunicazioni previsti all’inizio della
procedura di messa in cassa integrazione. In tali sentenze, infatti, l’indicata affermazione è
sempre stata effettuata sull’esplicito presupposto secondo cui – diversamente da quanto si è
verificato nella fattispecie in esame – detti accordi, per il loro contenuto, facciano ritenere
raggiunti i fini sottesi alle iniziali comunicazioni sia per quanto attiene la specificazione dei
criteri di scelta da adottare sia per le modalità della loro concreta applicazione (vedi, in tal
senso: Cass. 2 agosto 2004 n. 14721; Cass. 5 maggio 2004 n. 8353; Cass. 21 agosto 2003, n.
12307; Cass. 29 maggio 2006, n. 12719; Cass. 28 ottobre 2008, n. 25892; Cass. 21 dicembre
2010, n. 25851). Come è stato altresì sottolineato, ciò risponde alla medesima logica in base
alla quale, mutatis mutandis, è stato affermato che, nella procedura di mobilità di cui alla legge

n. 223 del 1991,art. 4, qualora sia stato raggiunto l’accordo sindacale, i vizi della
comunicazione di avvio della procedura non sono rilevanti ai fini della inefficacia dei
licenziamenti intimati all’esito della procedura medesima, salvo che sia dimostrata l’idoneità
dei vizi della comunicazione di avvio a fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo
preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali (vedi, per tutte: Cass. 24 ottobre 2008, n.
25758).
La suddetta evoluzione giurisprudenziale ha la sua matrice comune nel generale principio
secondo cui con la L. 23 luglio 1991, n. 223 sono stati previsti puntuali, complete e cadenzate
procedimentalizzazioni dei provvedimenti datoriali di licenziamento collettivo, messa in mobilità
e cassa integrazione – situazioni che, nonostante la loro diversità, sono poste dal legislatore
sullo stesso piano, da questo punto di vista – introducendosi un significativo elemento
innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel
precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il
ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatane di
incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia
di trasferimenti di azienda. Pertanto, i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede
contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la
correttezza procedurale delle diverse operazioni (arg. ex Cass. 3 marzo 2009, n. 5089;
Cass.28 ottobre 2009, n. 22825; Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541).
È stato anche precisato che la suddetta impostazione non risponde ad un “vuoto
formalismo”,ma al rispetto della volontà dei legislatore che ha posto a base dell’assetto
normativo della legge n. 223 del 1991 (anche dopo l’emanazione della normativa
regolamentare di cui D.P.R. 10 giugno 2000 ( vedi: Cass. n. 11322/2015, Cass.n. 26587/2011;
Cass. n.20391/2011; Cass. n. 13240/2009) la trasparenza dell’esercizio del potere privato del
datore di lavoro di assumere “decisioni volte a incidere pesantemente sulla posizione” dei
lavoratori’ (vedi, per tutte: Cass. n. 2555/2006, n. 2555 e Cass. n. 6841/2010), richiedendo
l’effettuazione di precise scansioni procedimentali, dirette a tutelare sia l’attività sindacale sia i
diritti dei lavoratori (Cass. S.U. n. 302/2000; Cass. S.U. n. 461/2000; Cass. n. 8353/2004;
Cass. n. 10236/2009).Pertanto, come questa Corte ha rilevato: a) il criterio di scelta dei
dipendenti da porre in cassa integrazione ed in mobilità, determinato nel rispetto delle
procedure previste dalla legge 23 luglio 1991, n. 223, artt. 4 e 5 non può essere
successivamente disapplicato o modificato, travalicando gli ambiti originariamente previsti, non
essendo consentito che in tale spazio temporale l’individuazione dei singoli destinatari dei
provvedimenti datoriali venga lasciata all’iniziativa ed al mero potere discrezionale
dell’imprenditore, in quanto ciò pregiudicherebbe l’interesse dei lavoratori ad una gestion
trasparente ed affidabile della mobilità e della riduzione del personale (Cass. n.6841/2010);b
infatti, la cassa integrazione guadagni straordinaria viene autorizzata dal Ministero del Lavoro a
seguito dell’approvazione di un programma ed a seguito della valutazione delle ragioni
dell’impresa importanti l’esclusione di meccanismi di rotazione, al fine di rendere l’attuazione
del suddetto programma funzionale all’efficienza produttiva dell’impresa stessa, sicché nel
corso della sua durata non è consentito – pena l’invalidità dell’intera procedura di messa in
cassa integrazione con le consequenziali ricadute in termini risarcitori – determinare, neppure
con la copertura negoziale tramite sopravvenuti accordi collettivi sul punto, un mutamento dei
criteri di scelta del personale da sospendere, con l’abbandono dei criteri inizialmente previsti
nel programma e la contestuale adozione di altri diversi e privi di razionalità e congruità
rispetto alla causa integrabile, potendosi operare un mutamento delle regole selettive solo a
seguito di un decreto di proroga, volto ad accertare la compatibilità di tale cambiamento con la
regolare esecuzione del programma stesso, ovvero a seguito di una distinta domanda di
integrazione salariale e di un successivo decreto autorizzativo sulla base di un nuovo e distinto
programma (Cass. n. 13377/2008; Cass. n. 25140/2010). Ebbene, la valutazione effettuata
dal Giudice del merito è assistita da una motivazione congrua e corretta dal punto di vista
logico-giuridico. Si tratta, infatti, di motivazione che, sul punto interessato, risulta fondata su
presupposti normativi (con riguardo all’interpretazione delle disposizioni legislative di
riferimento) e giurisprudenziali corretti. Ciò tanto più ove si consideri che nell’interpretazione
dei contratti – ivi inclusi i contratti collettivi di diritto comune e quindi gli accordi intervenuti tra
imprenditore e sindacati nel corso della procedura di consultazione ai fini dell’eventuale
intervento della cassa integrazione- guadagni straordinaria – i canoni legali di ermeneutica
contrattuale sono governati da un principio di gerarchia in forza del quale i canoni strettamente

interpretativi – tra i quali risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole
– prevalgono su quelli interpretativi-integrativi (Cass. 25 ottobre 2005, n. 20660; Cass. 8
novembre 2007, n. 23273;Cass. 16 gennaio 1996, n. 318; Cass. 5 marzo 1998, n. 2430).
Nella specie anche tale principio risulta essere stato rispettato in quanto la Corte d’appello ha
basato l’affermazione della genericità del contenuto della clausola dell’accordo sindacale
riguardante la rotazione sul dato letterale, avendo riportato ampi stralci del testo integrale
dell’accordo. Come già statuito da questa Corte, proprio con riguardo allo specifico intervento
di integrazione salariale richiesto dalla società ricorrente (Cass. n. 7459/2012), va,
dunque,ritenuta illegittima la sospensione operata dal datore di lavoro dei lavoratori stessi.
Come correttamente argomentato dalla Corte territoriale, devono considerarsi generici – e,
quindi lesivi dell’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1,
comma 7 – i criteri di scelta dei dipendenti interessati alla sospensione derivante dalla
procedura della c.i.g.s. determinati, come nella specie, facendo esclusivo riferimento alle
“esigenze tecnico organizzative”(riferite, nello specifico, a un non meglio precisato “andamento
della ristrutturazione e riorganizzazione” nonché ad altrettanto vaghe “richieste dei volumi
produttivi attuali e necessari al mercato di riferimento”), senza ulteriori indicazioni precise delle
posizioni lavorative sulle quali la scelta verrà poi concretamente operata in base alla
formazione di una graduatoria rigida alla quale il datore di lavoro deve fare esclusivo
riferimento, senza alcun margine di discrezionalità, onde consentire anche al singolo lavoratore
di operare la prescritta valutazione della coerenza tra il criterio indicato e la selezione
effettuata dei lavoratori da sospendere.
Con il terzo motivo si allega l’omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia. La
Corte di appello non aveva esaminato la questione della portata innovativa del DPR 218/2000.
Il motivo appare inammissibile (per genericità) non richiamando o sviluppando in alcun modo
le argomentazioni che la Corte di appello avrebbe ignorato in ordine alla pretesa natura
innovativa del DPR citato; portata innovativa che comunque la già citata giurisprudenza di
legittimità ha recisamente escluso per quanto riguarda l’aspetto qui in questione.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite del giudizio di legittimità, liquidate
come al dispositivo, seguono la soccombenza e vanno distratte in favore die procuratore di
parte intimata.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di euro 4.100,00 per spese di
cui euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali nella misura del 15% ed
accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore di parte intimata Avv.to Di Libero
antistatario.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3.3.2016

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