Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10250 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10250 Anno 2015
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 29038-2012 proposto da:
COMUNE DI ORIGGIO, in persona del Sindaco e legale
rappresentante pro tempore Signor PANZERI LUCA,
elettivamente domiciliato in ROMA, L.G0 DI TORRE
ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato ANDREA
LAZZARETTI, rappresentato e difeso dagli avvocati

4

2014
2664

FABIO GIACOMO D’IPPOLITO, CARMELO MENDOLIA giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

FRIGENI GIUSEPPE, CARTABIA AMOS;

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Data pubblicazione: 20/05/2015

- intimati –

avverso la sentenza n. 2067/2012 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/06/2012, R.G.N.
2303/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

FRASCA;
udito l’Avvocato ANDREA LAZZARETTI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso p.q.r.

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udienza del 15/12/2014 dal Consigliere Dott. RAFFAELE

R.g.n. 29038-12 (ud. 15.12.2014)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Con sentenza del 12 giugno 2012 la Corte d’Appello di Milano ha
dichiarato inammissibile l’appello proposto il 26 giugno 2008 dal Comune di
Origgio avverso la sentenza del 22 maggio 2008 con cui il Tribunale di Busto
Arsizio aveva deciso su un giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo
introdotto da Giuseppe Frigeni per l’accertamento della posizione di debitor
debitoris del Comune rispetto al proprio debitore Amos Cartabia, a seguito di
pignoramento dell’Il febbraio 2008 presso il Comune.
§2. La Corte meneghina ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello
assumendo che la sentenza impugnata avrebbe dovuto impugnarsi con il ricorso
straordinario per cassazione e non invece con l’appello. Ciò, in quanto resa in un
giudizio che – per la sua natura di accertamento dell’obbligo del terzo e dunque
di accertamento incidentale rispetto al processo esecutivo, scaturente dal
comportamento del terzo pignorato – dovrebbe essere assimilato ai giudizi sulle
opposizioni all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., con la conseguenza che il
regime di impugnazione era da ritenere quello delle sentenze rese su dette
opposizioni secondo il regime del’art. 616 c.p.c. scaturito dalla modifica operata
dall’art. 14 della 1. n. 52 del 2006 e rimasto in vigore fino alla modifica
apportata dall’art. 47 della 1 . n. 69 del 2009.
§3. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di
Origgio affidandolo a due motivi.
Gli intimati Giuseppe Frigeni e Amos Cartabia non hanno resistito.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Con il primo motivo il Comune lamenta “nullità della sentenza e/o del
procedimento per violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione, nonché 101
c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.”, adducendo che la
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Est. Coni. Rffe1e Frasca

R.g.n. 29038-12 (ud. 15.12.2014)

sentenza impugnata è stata emessa “a sorpresa” dalla Corte territoriale cioè
senza che essa abbia prospettato alle parti la questione di inammissibilità
ritenuta dirimente e, dunque, con lesione del diritto di difesa e del
contraddittorio.
Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione degli

e degli artt. 548, 549, 616 ultimo comma (oggi abrogato) e 339, primo comma,
.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma,n. 3, ovvero, in subordine, n. 4
c.p.c.”.
Vi si sostiene l’erroneità delle argomentazioni con cui la Corte territoriale
ha ritenuto che la sentenza resa in primo grado sui giudizi di accertamento
dell’obbligo del terzo, nel periodo di vigenza ed applicabilità dell’art. 616 c.p.c.
nel testo sostituito dall’art. 14 della 1. n. 52 del 2006, si dovesse ritenere soggetta
al medesimo regime di impugnazione della sentenza resa sulle opposizioni
all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.
§1.1. In particolare:
a) si critica l’argomento della identità di profilo funzionale fra i due tipi di
giudizi, sostenendo che il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo
sarebbe diretto ad agevolare l’esecuzione mentre l’opposizione ex art. 615 c.p.c.
avrebbe la funzione di paralizzare l’azione esecutiva;
b) si sostiene che la tesi seguita dalla Corte milanese:

bl) sarebbe

contrastata dalla regola generale dell’appellabilità, di cui all’art. 339 c.p.c.; b2)
avrebbe erroneamente ritenuto che la previsione del testo dell’art. 548 c.p.c.
applicabile alla controversia in ordine all’applicabilità delle regole dell’ordinario
giudizio di cognizione fosse limitata alla fase istruttoria della causa; b3) avrebbe
considerato la sottrazione dei giudizi di accertamento dell’obbligo del terzo
all’operare della sospensione feriale dei termini ex 1. n. 742 del 1969 come
significativa, in ragione della sua giustificazione proprio nell’assimilazione ai

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Est. Cons.

e Frasca

artt. 12 e 14 delle “Disposizioni sulla legge in generale” (r.d. 16.03.1942, n. 262)

R.g.n. 29038-12 (ud. 15.12.2014)

giudizi di opposizione in materia esecutiva, per motivare l’operatività della
stessa regola in punto di regime di impugnazione.
§2. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente avendo lo stesso
finalismo e, considerato che l’ipotetica violazione denunciata nel primo motivo
avrebbe condotto come risultato finale sul processo alla conseguenza della

vero interesse sotteso al ricorso — anche nell’ottica di cui all’art. 360 bis n. 2
c.p.c. – è correlato al secondo motivo.
E’ palese, infatti, che, se il secondo motivo non fosse stato dedotto e fosse
stato dedotto solo il primo, l’eventuale fondatezza di quest’ultimo avrebbe posto
la Corte nella condizione di poter comunque apprezzare con i poteri del giudice
di merito se l’appello era ammissibile oppure no e, quindi, nel primo caso,
cassata la sentenza per l’ipotetica violazione della regola della provocazione del
contraddittorio sulla questione di rito, pronunciare nel merito sulla stessa e dire
ammissibile l’appello e, nel secondo caso, ove ritenuto l’appello inammissibile,
limitarsi a correggere la motivazione, essendo il dispositivo corretto. E ciò tanto
più per il fatto che la correttezza o meno del mezzo di impugnazione è anche
questione che la Corte si sarebbe trovata nella condizione di apprezzare
d’ufficio, una volta venuta meno la statuizione della sentenza di merito.
Una volta dedotto il secondo motivo è allora palese che alla stregua del
necessario apprezzamento dell’interesse sotteso al ricorso, essendosi indirizzato
lo stesso ricorrente a domandare alla Corte di decidere se la declaratoria
dell’inammissibilità dell’appello è stata corretta oppure no, in realtà il primo
motivo risulta dissolversi nel secondo già nella prospettazione dello stesso
ricorrente.
§2.2. Ciò premesso, il secondo motivo — pur dovendosi dare atto che a quel
che consta è la prima volta che giunge all’esame della Corte (essendo stata la
questione da esso posta considerata del tutto implicitamente da Cass. n. 477 del
2009, cui ha fatto riferimento il ricorrente) — è manifestamente fondato.
5
Est. Cons. Rafiele Frasca

decisione di declaratoria di inammissibilità dell’appello, in realtà emerge che il

R.g.n. 29038-12 (ud. 15.12.2014)

Nessuna delle ragioni addotte dalla sentenza impugnata per sostenere che,
vigente il regime di impugnabilità della sentenza sull’opposizione all’esecuzione
(si badi sia ai sensi del primo che del secondo comma dell’art. 615 c.p.c., sia con
riferimento all’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 619 c.p.c.: da ultimo,
ex multis, sul primo aspetto Cass. (ord.) 18161 del 2012 e, sul secondo, Cass. n.

regola sull’impugnazione della sentenza resa sul giudizio di accertamento
dell’obbligo del terzo, di desumere che tale sentenza fosse divenuta soggetta allo
stesso regime di impugnazione.
Una simile esegesi sistematica non poteva essere giustificata dalla
circostanza che certamente, nel regime dell’art. 548 c.p.c. applicabile alla
controversia (che è quello anteriore alla sostituzione operata dall’art. 1, comma
20, della 1. n. 228 del 2012), insorgendo la necessità del giudizio di
accertamento dell’obbligo del terzo per il sol fatto della sua mancata
comparizione o del rifiuto di rendere la dichiarazione o di contestazioni su di
essa, il corso dell’esecuzione dovesse bloccarsi e si dovesse da corso a detto
giudizio, sì da assumere la sua indefettibilità il carattere di ostacolo
all’esecuzione e, dunque, un profilo di incidenza simile all’ostacolo derivante
dalle opposizioni all’esecuzione.
In disparte il rilievo che la proposizione dell’opposizione ex art. 615 c.p.c.
non aveva come non ha l’effetto di determinare il blocco dell’esecuzione, come
invece accadeva nel testo dell’art. 548 di cui ci si occupa, essendo necessario il
provvedimento di sospensione dell’esecuzione, se iniziata, o dell’esecutività del
titolo, si deve rilevare che l’oggetto dei due tipi di giudizi è del tutto distinto:
a) perché quello di accertamento dell’obbligo del terzo debitor debitoris,

per la natura del bene espropriando, che riguarda una situazione di cui è
asseritamente titolare passivo il terzo, concerne l’accertamento della sua
situazione di soggetto obbligato verso il debitore esecutato;

6
Est. Cons.

ele Frasca

18621 del 2014), un’esegesi sistematica imponesse, in assenza di un’espressa

R.g.n. 29038-12 (ud. 15.12.2014)

b) mentre quello dell’opposizione all’esecuzione concerne direttamente
l’esistenza del diritto di procedere all’esecuzione nell’an.
La diversità di oggetto dei due tipi di giudizio, non disgiunta dal fatto che
esso coinvolge la posizione di un terzo, di per sé estraneo alla pretesa esecutiva,
e lo coinvolge in ordine all’accertamento di una sua situazione giuridica passiva

efficacia di giudicato: Cass. sez. un. nn. 25037 del 2008 e 3773 del 2014),
esclude ogni possibilità di desumere dal mero fatto che certamente esso
interferisce sull’attuazione della pretesa esecutiva così come vi interferiscono le
opposizioni all’esecuzione, una ragione per reputare che il regime
dell’impugnazione delle sentenze rese nell’uno e nell’altro giudizio debba essere
identico. Ed anzi, proprio il coinvolgimento della posizione del terzo e la
diversità di oggetto e di

modus di incidenza, di fronte alla novità

dell’assoggettamento del regime della sentenza di decisione delle opposizioni ex
artt. 615 e 619 c.p.c. al rimedio del ricorso straordinario, preclude la possibilità
di ravvisare qualsiasi pur minimale eadem ratio di disciplina per un’estensione
del regime in via analogica.
Caduto il primo argomento svolto dalla Corte padana, gli altri due
rimangono del tutto privi di rilievo.
§2.3. Non solo: essi si profilano erronei, perché frutto di attività esegetica
non condivisibile, che questa Corte deve comunque censurare nell’esercizio
della funzione di nomofilachia.
L’argomento che la formulazione del vecchio testo dell’art. 548 c.p.c.
(emerso a seguito della sostituzione di quello precedente operata dall’art. 98 del
d.lgs. n. 51 del 1998, in ragione della soppressione dell’ufficio pretorile),
quando diceva che <>, avrebbe avuto il significato di individuare le
modalità di istruzione della controversia e, dunque, se ben si è inteso, avrebbe
implicato il solo richiamo alle norme del Capo II, del Titolo I del libro secondo
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Est. Cons. Iafgi1e Frasca

verso il debitore esecutato, oltre che nei confronti del creditore procedente (con

R.g.n. 29038-12 (ud. 15.12.2014)

del codice, se anche fosse inteso in tal senso, di per sé non sarebbe stato idoneo
a giustificare che il regime della sentenza pronunciata all’esito — una volta
tenuto conto che il giudice cui la norma faceva riferimento era ormai solo il
tribunale – nel silenzio del legislatore non individuasse anche il regime di
impugnazione della sentenza secondo la regola generale somministrata dal
primo comma dell’art. 339 c.p.c. e, dunque, nell’appello, in mancanza di
esclusione da parte della legge.
Una volta sopravvenuta la modifica dell’art. 616 c.p.c. e introdotta la
previsione dell’inimpugnabilità e, dunque, dell’inappellabilità per le sentenze
rese sulle opposizioni all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c. e, di riflesso, ex art. 619
c.p.c.), l’immutato tenore dell’art. 548 c.p.c., pur considerato alla luce della
nuova regola come appunto un caso di esclusione dell’appello da parte della
legge, non poteva allora che giustificare l’assoluta certezza della permanenza del
regime di impugnazione della sentenza resa nel primo grado del giudizio di
accertamento dell’obbligo del terzo sotto la regola generale del primo comma
dell’art. 339 c.p.c.
Ciò si osserva non senza che di debba anche rimarcare che la stessa
eccezionalità delle previsioni di esclusione dell’appellabilità delle sentenze di
primo grado del tribunale precludeva ogni possibilità di applicazione analogica,
dovendosi escludere che si potesse trattare solo di un’interpretazione estensiva.
§2.4. L’argomento desunto dalla Corte d’Appello dall’assimilazione —
risalente e costante nella giurisprudenza di questa Corte – del regime della
controversia di accertamento dell’obbligo del terzo a quello del regime delle
opposizioni all’esecuzione ai fini della sottrazione alla sospensione dei termini,
risulta inconferente per l’assorbente ragione che, essendo la sentenza ex art. 617
c.p.c. ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost. nella materia esecutiva la
regola comune dell’esclusione della sospensione risultava già, come ora
nuovamente risulta (nel vigore del testo attuale dell’art. 616 c.p.c.), regola
applicabile ad opposizioni che hanno regimi di impugnazione diversi.
8
Est. Cons. lRafae1 Frasca

::

R.g.n. 29038-12 (ud. 15.12.2014)

D’altro canto l’esigenza di celerità che è sottesa alla sottrazione all’operare
della sospensione nulla ha a che vedere con il fatto che un giudizio abbia due
gradi di merito oppure un solo grado di merito.
§3. Conclusivamente la sentenza impugnata dev’essere cassata perché
l’appello è stato erroneamente dichiarato inammissibile. Ciò, sulla base del
<

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