Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10250 del 19/04/2021

Cassazione civile sez. I, 19/04/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 19/04/2021), n.10250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13692/2016 R.G. proposto da:

D.S., e D.E., rappresentati e difesi

dallo Avv. Fabrizio Bartolini, con domicilio eletto in Roma, via dei

Gracchi, n. 278, presso lo studio dell’Avv. Fabio Giorgi;

– ricorrenti –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale

rappresentante p.t. P.P., in proprio e nella qualità di

avente causa della CONSUM.IT S.P.A., rappresentata e difesa dagli

Avv. Fabio Nannotti, e Antonina Anzaldi, con domicilio eletto presso

lo studio di quest’ultima in Roma, via Caposile, n. 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Pistoia n. 1092/14, depositata

il 1 ottobre 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 novembre

2020 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. E. e D.S. convennero in giudizio la Consum.It S.p.a. e la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., per sentir accertare la natura usuraria degli interessi corrispettivi e moratori previsti dal contratto di finanziamento stipulato il 4 agosto 2009 tra la D. e la Consum.It e la conseguente inesistenza dell’obbligo di corrispondere interessi di qualsiasi natura, con la condanna della Consum.It al risarcimento dei danni cagionati all’attrice e della Banca MPS al risarcimento dei danni arrecati ad entrambi gli attori.

A sostegno della domanda, gli attori esposero che, pur essendo stato il finanziamento concesso per l’acquisto di un’autovettura, la Banca aveva costretto la D. ad utilizzarlo quasi integralmente per ripianare l’esposizione debitoria delle società amministrate da S. ed D.A., imponendo, sotto la minaccia della revoca degli affidamenti concessi alle predette società, la sottoscrizione di un ordine di bonifico dell’importo di Euro 6.500,00 in favore di D.S., il quale aveva sottoscritto successivamente un ordine di bonifico di Euro 1.500,00 in favore del Gruppo Edile D. S.r.l. ed aveva ritirato l’importo di Euro 5.000,00 in assegni circolari intestati alla Costruzioni Edili D. S.r.l., che li aveva a sua volta versati sul conto corrente ad essa intestato presso la Filiale di (OMISSIS) dell’Unicredit Banca.

Si costituirono le convenute, e chiesero il rigetto della domanda, la Consum.It proponendo altresì domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni arrecati al suo decoro ed alla sua immagine.

1.1. Con sentenza del 1 ottobre 2014, il Tribunale di Pistoia rigettò la domanda principale e quella riconvenzionale.

Premesso che la Consum.It, pur essendo interamente partecipata dalla Banca MPS ed assoggettata alla direzione ed al coordinamento della stessa, costituiva una società autonoma e distinta, avente come oggetto sociale l’esercizio dell’attività di credito al consumo, il Tribunale ritenne che essa non fosse qualificabile come banca, ma come intermediario finanziario; affermò pertanto l’applicabilità del tasso soglia relativo ai finanziamenti effettuati dagli intermediari non bancari, e, rilevato che nel periodo di riferimento lo stesso risultava pari al 16,09%, concluse per la legittimità del TAEG previsto dal contratto stipulato tra le parti, pari al 14,61%.

Escluse inoltre la natura usuraria del tasso degl’interessi moratori, rilevando che lo stesso risultava pari al 15,96%, mentre il tasso soglia nel periodo di riferimento era pari al 16,09%. Precisò comunque che, anche a voler ritenere applicabile il criterio di calcolo previsto dalla Circolare ABI del 25 settembre 2003, che prevedeva l’applicabilità del TAEG medio aumentato di 2,1 punti ed ulteriormente aumentato del 50%, il tasso degli interessi moratori sarebbe risultato inferiore al tasso soglia, pari al 18,19 + 50% di 18,19.

Il Tribunale rigettò conseguentemente la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della Consum.It, osservando, in ordine a quella proposta nei confronti della Banca MPS, che il contratto di finanziamento era stato stipulato con un soggetto diverso, l’importo erogato era stato versato sul conto personale di D.E. e quest’ultima lo aveva solo parzialmente versato sul conto corrente di D.S., disponendo liberamente del residuo, mentre D.S. aveva disposto dell’importo accreditatogli in parte in favore della Banca MPS, in parte in favore di un soggetto diverso. Precisato inoltre che la Banca, in epoca anteriore all’erogazione del finanziamento, aveva concesso alle società amministrate dai D. aperture di credito ed anticipazioni su fatture, ritenne illogico ipotizzare che essa avesse esercitato pressioni sull’attrice per indurla a destinare le somme erogate ai medesimi soggetti cui continuava a fare credito.

Il Tribunale escluse infine che il danno all’immagine fatto valere dalla Consum.It fosse configurabile come danno in re ipsa, ritenendone necessaria l’allegazione e la prova da parte della convenuta, e rilevando che quest’ultima non aveva adempiuto il relativo onere.

2. L’impugnazione proposta dai D. è stata dichiarata inammissibile dalla Corte d’appello di Firenze con ordinanza emessa il 13 gennaio 2016 ai sensi dell’art. 3418-ter c.p.c.

3. Avverso i predetti provvedimenti i D. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in nove motivi. Ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria, la Banca MPS, sia in proprio che in qualità di avente causa della Consum.It, da essa incorporata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, si rileva che la notificazione del controricorso, richiesta una prima volta l’8 luglio 2016 ed effettuata il 13 luglio 2016 a mezzo del servizio postale presso il domicilio eletto nel ricorso, ha avuto esito negativo, per irreperibilità del destinatario all’indirizzo indicato. A seguito della restituzione degli avvisi di ricevimento delle raccomandate, avvenuta il 21 luglio 2016, il difensore della controricorrente ha presentato un’istanza, depositata il 26 luglio 2016, con cui, premesso di aver verificato nell’Albo degli Avvocati la correttezza dell’indirizzo al quale è stata effettuata la notifica, ha dichiarato di voler procedere alla rinotificazione dell’atto, chiedendo la fissazione di un nuovo termine. Avendo poi il Presidente dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza, con decreto del 4 agosto 2016, in considerazione della facoltà del controricorrente di procedere autonomamente alla rinotifica, l’istante vi ha ritualmente provveduto ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2, presso la Cancelleria di questa Corte, dove l’atto è stato consegnato il 5 settembre 2016.

Nonostante la scadenza del termine di cui all’art. 370 c.p.c., comma 2, (verificatasi il 19 luglio 2016, in quanto la notifica del ricorso ha avuto luogo il 30 maggio 2016), il controricorso deve considerarsi ammissibile, avuto riguardo alla tempestiva presentazione della prima richiesta di notifica ed alla continuità del procedimento notificatorio, non interrottosi a seguito dell’insuccesso del primo tentativo, ma sollecitamente riavviato e condotto a termine dalla difesa della controricorrente. Trova infatti applicazione il principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per causa non imputabile al notificante, quest’ultimo, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve riattivare il procedimento notificatorio con immediatezza e svolgere gli atti necessari al suo completamento entro un limite di tempo pari alla metà del termine previsto per il compimento dell’atto (cfr. Cass., Sez. Un., 15/07/2016, n. 14594; Cass., Sez. lav., 21/08/2020, n. 17577; Cass., Sez. V, 11/05/2018, n. 11485). Tale limite può ritenersi nella specie rispettato, ove si tenga conto del tempo occorso per la conoscenza dell’esito negativo del primo tentativo di notifica e per la presentazione dell’istanza di fissazione del nuovo termine, nonchè dell’applicabilità della sospensione prevista dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1 come modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 16 convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162.

2. Va invece disattesa l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione sollevata dalla difesa della controricorrente, secondo cui il ricorso, notificato il 30 maggio 2016, sarebbe stato proposto dopo la scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, decorrente dalla comunicazione dell’ordinanza emessa dalla Corte d’appello ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., effettuata il 14 gennaio 2016.

Agli atti non vi è alcuna prova di tale comunicazione, alla quale la difesa dei ricorrenti non ha fatto d’altronde alcun cenno, mentre quella della controricorrente si è limitata a produrre in giudizio copia di un messaggio inviatole mediante posta elettronica certificata, con cui la Cancelleria della Corte d’appello di Firenze le ha dato notizia dell’avvenuta trasmissione dell’ordinanza all’Agenzia delle entrate: in quanto non indirizzato anche ai ricorrenti, ed avente comunque ad oggetto l’effettuazione degli adempimenti fiscali, tale messaggio deve ritenersi inidoneo a far decorrere il termine per l’impugnazione, il quale dev’essere quindi ancorato alla successiva notificazione del provvedimento ad istanza della controricorrente, che, in quanto effettuata il 12 maggio 2016, consente di escludere la tardività del ricorso per cassazione.

2. Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti censurano l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 648-ter c.p.c., per violazione degli artt. 1165 e 116 c.p.c., sostenendo che, nel qualificare la Consum.It come un soggetto distinto ed autonomo rispetto alla Banca MPS, la Corte d’appello ha proceduto ad una superficiale lettura della visura camerale prodotta in giudizio, senza tener conto della partecipazione totalitaria della Banca MPS e della direzione e del coordinamento da quest’ultima esercitati nei confronti dell’altra convenuta.

3. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 115 c.p.c. e la falsa applicazione dell’art. 644 c.p. e della L. 7 marzo 1996, n. 108, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha escluso la natura usuraria del tasso d’interesse previsto dal contratto di finanziamento, senza tener conto della perizia econometrica prodotta da essi ricorrenti in primo grado, da cui emergeva che, anche a voler prendere in considerazione soltanto gl’interessi moratori o a voler applicare la Circolare ABI del 25 settembre 2003, il TAEG, comprensivo anche degli oneri della copertura assicurativa, risultava superiore al tasso soglia.

4. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., degli artt. 2043 e 2059 c.c. e dell’art. 644 c.p., censurando l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha ritenuto assorbite la domanda di risarcimento dei danni e la richiesta di ammissione di una c.t.u. medico-legale, senza considerare che l’applicazione d’interessi usurari, costituendo reato, integra un fatto illecito idoneo a legittimare la richiesta di risarcimento.

5. Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 91,92 e 115 c.p.c. ed il D.M. 10 marzo 2014, n. 55, censurando l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha confermato la condanna di essi ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, avendoli ritenuti prevalentemente soccombenti, senza tener conto del rigetto della domanda di risarcimento proposta dalla Consum.It.

6. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riguardanti l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., sono inammissibili, in quanto riflettenti vizi imputabili alla decisione di primo grado, che l’ordinanza si è limitata a confermare.

L’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’appello ai sensi della predetta disposizione è infatti impugnabile con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, soltanto per vizi propri che costituiscano violazioni della legge processuale, purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso; essa non è quindi censurabile per errores in judicando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nè per vizio di motivazione, ai sensi del n. 5 della medesima disposizione, a meno che quest’ultimo non trasmodi in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per inesistenza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, ovvero per mera apparenza, perplessità o insanabile contraddittorietà della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., 2/02/ 2016, n. 1914; Cass., Sez. III, 21/08/2018, n. 20861; Cass., Sez. VI, 5/06/ 2018, n. 14312). Nessun rilievo può assumere, a tal fine, la circostanza che, nel condividere le ragioni addotte a fondamento della decisione di primo grado, il giudice di appello vi aggiunga proprie argomentazioni in fatto, trattandosi di una possibilità espressamente prevista dall’art. 348-ter, comma 4 il quale, consente, in tal caso, d’impugnare la sentenza di primo grado per vizio di motivazione, facoltà che resta invece esclusa qualora, come nella specie, le ragioni delle decisioni di primo e di secondo grado coincidano quanto al giudizio di fatto (cfr. Cass., Sez. I, 22/05/2019, n. 13835).

7. Con il quinto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza di primo grado per violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., nonchè per contraddittorietà della motivazione, sostenendo che, nel qualificare la Consum.It come un soggetto distinto ed autonomo rispetto alla Banca MPS, il Tribunale non ha tenuto conto della partecipazione totalitaria da quest’ultima detenuta e della direzione e del coordinamento da essa esercitati nei confronti dell’altra convenuta, costituita al solo fine di potenziare la struttura produttiva della Banca.

7.1. Il motivo è infondato.

La L. n. 108 del 1996, art. 2 nel disciplinare la determinazione del tasso effettivo globale medio, da tenere in conto ai fini della determinazione del limite oltre il quale gl’interessi si considerano usurari, ai sensi dello art. 1, prevede che la relativa rilevazione dev’essere effettuata prendendo in considerazione i tassi d’interesse praticati da due diverse categorie di soggetti, individuati rispettivamente nelle banche e negli “intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, artt. 106 e 107”. Tale distinzione trova conferma nelle istruzioni impartite dalla Banca d’Italia per la predetta rilevazione, le quali al punto A.2 includono nel campione di rilevazione da un lato le banche, precisando che la segnalazione dev’essere effettuata da quelle “iscritte nell’albo previsto dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 13”, e dall’altro gl’intermediari finanziari, ivi compresi sia quelli iscritti nell’elenco speciale previsto dall’art. 107 medesimo decreto, sia quelli iscritti nell’elenco generale di cui all’art. 106. Nel classificare per categorie omogenee le operazioni che costituiscono oggetto della rilevazione, le istruzioni distinguono poi tra quelle riconducibili ai contratti bancari propriamente detti, caratterizzati dal fatto che una delle parti è necessariamente una banca, e gli altri finanziamenti, e tale distinzione trova conferma nelle rilevazioni concretamente effettuate, le quali riportano separatamente i tassi relativi ai finanziamenti effettuati dalle banche e quelli relativi ai finanziamenti effettuati dagli “intermediari non bancari”, per tali dovendosi intendere evidentemente gl’intermediari finanziari cui fanno riferimento la legge e le istruzioni.

Alla stregua di tale disciplina, che distingue i tassi da rilevare con riferimento a determinate categorie di operazioni ascrivibili a soggetti diversi, chiaramente identificati sulla base del dato formale dell’iscrizione negli albi previsti dal D.Lgs. n. 385 del 1993 (cui corrisponde la sottoposizione ad un diverso regime giuridico), senza fare alcun cenno all’assetto proprietario o all’appartenenza ad un gruppo d’imprese, il tasso effettivo globale medio concretamente applicabile ai fini della determinazione del tasso soglia deve essere individuato esclusivamente in base alla riconducibilità del soggetto che ha posto in essere l’operazione ad una delle categorie indicate dalla legge: nessun rilievo può invece assumere la circostanza che il finanziatore sia assoggettato al controllo di un altro soggetto iscritto in un albo diverso, il quale detenga una quota maggioritaria o totalitaria del suo capitale azionario o sia in grado di esercitare nei suoi confronti un’attività di direzione e coordinamento, dal momento che la società controllata o eterodiretta rimane pur sempre un soggetto autonomo rispetto alla controllante, dotato di una distinta personalità giuridica e sottoposto al regime giuridico previsto per l’esercizio della sua attività. In tema di collegamento societario, questa Corte ha d’altronde affermato ripetutamente che tale fenomeno, preso in considerazione dal legislatore quale causa di configurazione unitaria del gruppo soltanto a fini specifici e determinati, anche laddove implichi la gestione di attività economiche coordinate, l’utilizzazione di sedi comuni e la proprietà in capo ad una o più società di parte delle azioni delle altre, non è idoneo a determinare l’esistenza di un nuovo soggetto di diritto o di un centro d’imputazione di rapporti diverso dalle società collegate, le quali conservano la propria distinta personalità giuridica (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 18/11/2010, n. 23344; Cass., Sez. lav., 9/01/2019, n. 267; 14/11/2005, n. 22927).

Nella specie, pertanto, essendo pacifico che la Consum.It non era una banca, ma un intermediario finanziario, non merita censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi pattuiti con il contratto di finanziamento stipulato tra le parti, ha determinato il tasso soglia sulla base del tasso effettivo globale medio rilevato per le operazioni della medesima categoria effettuate dagli intermediari non bancari, reputando irrilevante l’appartenenza della società finanziatrice al medesimo gruppo della Banca MPS, in virtù della considerazione, confortata dall’esame della visura camerale prodotta in giudizio, che si trattava di una società autonoma e distinta, avente come oggetto sociale l’esercizio del credito al consumo.

8. Con il sesto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 644 c.p., nonchè l’omissione o l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, nella parte riguardante l’accertamento della natura usuraria del tasso d’interesse, insistendo sull’omesso esame della perizia econometrica e della documentazione prodotta in primo grado, da cui emergeva il superamento del tasso soglia. Ribadiscono che il tasso di riferimento era quello previsto per i finanziamenti bancari, che in nessun caso può essere maggiorato del 2,1% e successivamente confrontato con il solo tasso di mora, non potendosi ipotizzare per quest’ultimo una specifica soglia. Aggiungono che in ogni caso la maggiorazione soglia per gl’interessi di mora non avrebbe potuto essere superiore al 3,15%, precisando inoltre che il contratto di finanziamento prevedeva, in caso di ritardato pagamento, una penale del 15% a titolo di spese per interventi domiciliari.

9. Con il settimo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., dell’art. 2043 c.c., dell’art. 644 c.p. e della L. n. 108 del 1996, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, insistendo per l’ammissione della c.t.u. contabile, della prova testimoniale e della c.t.u. medico-legale richieste in primo grado.

10. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono inammissibili.

Ai fini dell’esclusione della natura usuraria del tasso d’interesse, la Corte territoriale ha correttamente richiamato il tasso effettivo globale medio rilevato per i finanziamenti effettuati dagli intermediari non bancari in riferimento al periodo in cui fu concesso il finanziamento, ponendolo a confronto con quelli previsti dal contratto sia per gl’interessi corrispettivi che per quelli moratori, ed applicando a questi ultimi, ad abundantiam, anche il criterio alternativo di calcolo del tasso soglia suggerito dalla Circolare ABI del 25 settembre 2003.

Nel contestare tale apprezzamento, i ricorrenti non sono in grado d’indicare circostanze di fatto trascurate dalla sentenza impugnata, che abbiano costituito oggetto del dibattito processuale e risultino idonee ad orientare in senso diverso la decisione, nè lacune argomentative o incongruenze talmente gravi da impedire la ricostruzione del percorso logico seguito per giungere alla decisione, ma si limitano ad insistere sull’applicabilità del tasso medio relativo ai finanziamenti effettuati dagl’intermediari bancari, come si è detto non riferibile alla fattispecie in esame, nonchè a lamentare l’omesso esame della documentazione prodotta, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugna, nonchè la coerenza logica delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della sostituzione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257). Com’è noto, tale disposizione ha introdotto nell’ordinamento processuale un vizio specifico, costituito dall’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è certamente inquadrabile la mancata valutazione di elementi istruttori nè quella di consulenze tecniche di parte, le quali non costituiscono mezzi di prova, ma mere allegazioni difensive di contenuto tecnico che, se non confutate esplicitamente, devono ritenersi implicitamente disattese (cfr. Cass., Sez. V, 21/11/2019, n. 30364; Cass., Sez. I, 18/10/2018, n. 26305; Cass., Sez. II, 14/06/2017, n. 14802).

Quanto poi alla decisione di non procedere a c.t.u., il rigetto della relativa istanza costituisce espressione di un potere discrezionale, il cui esercizio, pur dovendo risultare congruamente motivato, può ritenersi adeguatamente giustificato anche per implicito, qualora, come nella specie, il giudice di merito abbia dimostrato di essere in grado di risolvere sulla base di corretti criteri i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (cfr. Cass., Sez. I, 1/09/2015, n. 17399; Cass., Sez. III, 8/01/2004, n. 88).

11. Con l’ottavo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., dell’art. 2043 c.c., dell’art. 644 c.p. e della L. n. 108 del 1996, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni, senza considerare che l’applicazione d’interessi usurari, costituendo reato, integra un fatto illecito idoneo a legittimare la richiesta di risarcimento. Premesso che il danno era agevolmente desumibile dalla documentazione prodotta, sostengono che il ristoro era imposto dalla gravità del fenomeno dell’usura bancaria e dalla violazione dello specifico dovere di diligenza posto a carico della Consum.It, in qualità di operatore qualificato del credito.

11.1. Il motivo è infondato.

Il mancato accoglimento delle censure riguardanti l’esclusione del carattere usurario del tasso d’interesse previsto dal contratto di finanziamento, comportando la definitività del relativo accertamento, si traduce infatti nella infondatezza di quelle concernenti il rigetto della domanda di risarcimento del danno, configurandosi tale statuizione come logica conseguenza di quella avente ad oggetto la legittimità del tasso pattuito, la cui incensurabilità consente di escludere la sussistenza del reato di cui all’art. 644 c.p., e quindi la configurabilità dell’illecito allegato a sostegno della pretesa risarcitoria.

12. Con il nono motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91,92 e 115 c.p.c. e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui li ha condannati al pagamento delle spese processuali, avendoli ritenuti prevalentemente soccombenti, senza tener conto del rigetto della domanda di risarcimento proposta dalla Consum.It. In subordine, contestano la liquidazione delle spese, osservando che l’importo posto a loro carico risulta superiore a quello che avrebbe potuto essere riconosciuto in relazione al valore della causa.

12.1. Il motivo è inammissibile, sotto entrambi i profili prospettati.

In tema di spese processuali, il principio della soccombenza, stabilito dall’art. 91 c.p.c., dev’essere infatti inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle stesse, mentre nel caso in cui, come nella specie, ricorra la soccombenza reciproca, spetta al giudice di merito, il cui apprezzamento risulta incensurabile in sede di legittimità, stabilire quale delle parti debba essere condannata alle spese, e se ed in quale misura debba farsi luogo alla compensazione (cfr. Cass., Sez. V, 17/04/2019, n. 10685; Cass., Sez. I, 4/08/2017, n. 19613; Cass., Sez. II, 5/10/2001).

Quanto alla liquidazione delle spese, la relativa determinazione è censurabile in sede di legittimità soltanto attraverso la specificazione delle voci in relazione alle quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, sicchè deve ritenersi generico il motivo d’impugnazione con cui, come nella specie, il ricorrente si limiti a denunciare la violazione della tariffa, senza indicare puntualmente le prestazioni per le quali, a suo avviso, sarebbe stato liquidato un compenso superiore a quello massimo risultante dall’applicazione dei parametri legali (cfr. Cass., Sez. V, 25/02/2020, n. 4990; Cass., Sez. III, 20/05/2016, n. 10409; 27/10/2005, n. 20904).

13. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forrettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2021

 

 

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