Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10248 del 12/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10248 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 6208-2008 proposto da:
DOIMO FERNANDO (DMOFNN43P3OF729C), DOIMO EROS, DOIMO EDY,
DOIMO GIUSEPPE, DOIMO ENZA e DOIMO ELIS, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA ANASTASIO II 80, presso lo studio
dell’avvocato BARBATO ADRIANO, che li rappresenta e difende
unitamente agli avvocati TARTINI GIULIO e TARTINI FRANCESCO
giusto mandato in calce;
– ricorrenti contro
SPAGNOL ENRICO ROMANO (SPGNCR35A08F729Y), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA BASSANO DEL GRAPPA 24, presso lo
studio dell’avvocato GRAZIANI LUCA, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato DE GIROLAMI PAOLO, giusto
mandato in calce;
– controricorrente avverso la sentenza n. 87/2007 della CORTE D’APPELLO di
VENEZIA, depositata il 02/02/2007, R.G.N. 1635/2002;
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Data pubblicazione: 12/05/2014

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 19/02/2014 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
udito l’Avvocato ADRIANO BARBATO;
udito l’Avvocato LUCA GRAZIANI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. VINCENZO GAMBARDELLA, che ha concluso per il rigetto
del ricorso.

l. – Con sentenza resa pubblica il 2 febbraio 2007, la
Corte di appello di Venezia respingeva il gravame interposto
da Giuseppe Doimo, Fernando Doimo, Enza Doimo, Eros Doimo,
Edy Doimo ed Elis Doimo avverso la sentenza del Tribunale di
Treviso che, a sua volta, aveva rigettato la domanda di
risarcimento danni dai predetti proposta contro Enrico Romano
Spagnol, asseritamente responsabile dell’incendio – oggetto
di riscontro in data 25 marzo 1995 – provocato sul terreno
degli attori, con conseguente pregiudizio all’impianto
arboreo ivi esistente, per un pregiudizio patrimoniale
complessivo di lire 29.837.000, oltre al danno non
patrimoniale.
1.1. – La Corte territoriale, nel confermare la
decisione di primo grado in punto di prescrizione
quinquennale del diritto al risarcimento dei danni azionato
dagli attori, osservava che l’evento dannoso risaliva “a
prima del 27/3/1995 (data della denuncia)” e che la citazione
era stata notificata ai convenuti il 7 novembre 2000, oltre
il termine quinquennale di prescrizione, là dove l’atto che
gli appellanti, originari attori, assumevano come
interruttivo della prescrizione stessa – e cioè la
costituzione di parte civile nel processo penale instaurato
contro lo Spagnol (conclusosi con sentenza di assoluzione
“perché il fatto non sussiste”), effettuata all’udienza del
29 settembre 1999 – non era da reputarsi idoneo al predetto
fine. Ciò in quanto tale costituzione di parte civile era
stata “dichiarata inammissibile dal Pretore per carenza di
2

RITENUTO IN FATTO

procura speciale” e, in ogni caso, gli appellanti non avevano
“fornito alcuna dimostrazione in ordine alla notifica da
parte loro e comunque alla legale conoscenza dell’atto da
parte del debitore”, né avevano dedotto di l’esistenza di
altri atti interruttivi della prescrizione.
1.2. – La Corte di appello affermava, ulteriormente, che
la domanda risarcitoria era comunque infondata, “in quanto

danni che gli appellanti assumono di aver subito”. Al tal
riguardo, il giudice del gravame, rilevando che trattavasi di
“domanda di condanna non generica”, non era stata fornita e
neppure richiesta la prova sull’entità dei danni lamentati,
né potendo desumersi alcun elemento di prova dalla consulenza
di parte prodotta dai Doimo, giacché “mera allegazione di
parte priva di valore probatorio”.
2. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono
Giuseppe Doimo, Fernando Doimo, Enza Doimo, Eros Doimo, Edy
Doimo ed Elis Doimo, sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso Enrico Romano Spagnol.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Con il primo mezzo è denunciata “violazione
dell’art. 360, 1 0 comma, n. 5 c.p.c. per omessa o
contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il
giudizio”.
La Corte territoriale, con motivazione apodittica,
avrebbe collocato l’evento lesivo (l’incendio) ad epoca
precedente al 27 marzo 1995, data della denuncia,
intendendolo così anticipare “ancor più nel tempo” per
rafforzare il “suo convincimento sulla maturata prescrizione”
e ciò per collocarlo a prima del 23 settembre 1994, “data
rispetto alla quale sarebbero decorsi più di 5 anni prima che
avvenisse la notifica della costituzione di parte civile”,
avendo però mancato di considerare elementi obiettivi e

3

non fornita di idonea dimostrazione in ordine all’entità dei

decisivi che deponevano tutti “per la contestualità
dell’evento rispetto alla denuncia del 27.03.1995”.
1.1. – Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata è stata pubblicata il 2 febbraio
2007 e, quindi, nella vigenza della disciplina dettata
dall’art. 366-bis cod. proc. civ., che nella fattispecie è
pienamente operante

ratione temporis.

Infatti, detta

effetti in relazione alle sentenze pubblicate a decorrere dal
2 marzo 2006, data di entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio
2006, n. 40, che l’ha introdotta, e ha cessato di essere
applicabile a decorrere dal 4 luglio 2009 e cioè dalla sua
abrogazione ad opera dell’art. 47 della legge 18 giugno 2009,
n. 69 (Cass., 24 marzo 2010, n. 7119).
Ciò precisato, l’inammissibilità del motivo in esame
segue l’applicazione del seguente principio di diritto (di
recente ribadito da Cass., 18 novembre 2011, n. 24255; in
precedenza anche Cass., sez. un., 1 ° ottobre 2007, n. 20603):
“è inammissibile, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ.,
per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso
per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto,
mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di
sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo
controverso sia rilevabile dal complesso della formulata
censura, attesa la

ratio

che sottende la disposizione

indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di
accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione
di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia
l’errore commesso dal giudice di merito”.
2. – Con il secondo mezzo è dedotta “violazione
dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c.
e dell’art. 2697, 2 ° comma, c.c. in ordine alla prova”.
La Corte territoriale, nel collocare l’evento lesivo a
prima del 27 marzo 1995, avrebbe pronunciato d’ufficio “su un
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(97/

disposizione processuale ha iniziato ad esplicare i propri

aspetto fondamentale della eccezione che poteva essere
proposto solo dal convenuto”, errando nell’imputare
all’attore “di provare la data dell’evento”.
Viene formulato il seguente quesito: “Dichiari la Corte
che, a fronte di una eccezione di prescrizione, è onere del
convenuto provare, quale fatto su cui l’eccezione si fonda,
ed interpretativo della stessa, anche il

dies a quo,

e che

dal convenuto, con esclusione di una pronuncia d’ufficio”.
2.1. – Il motivo è inammissibile.
Esso, nel correlarsi alla doglianza espressa con il
primo mezzo, non coglie la ratio

decidendi

della sentenza

impugnata, che non ha inteso affatto misurare la decorrenza
della prescrizione rispetto ad una data antecedente al 27
marzo 1995, epoca della denuncia dell’evento lesivo, per poi
asseritamente giungere, in forza di un elemento fattuale
introdotto d’ufficio nel giudizio, ad elidere la potenziale
valenza interruttiva della costituzione di parte civile. La
Corte territoriale, invece, ha valutato il maturarsi della
prescrizione del diritto al risarcimento del danno per
responsabilità extracontrattuale in relazione al quinquennio
intercorso tra l’epoca della denuncia (par l’appunto il marzo
1995) e la notifica dell’atto di citazione in primo grado
(novembre 2000), rilevando poi l’inidoneità a fini
interruttivi dell’unico atto – la costituzione di parte
civile nel processo penale contro lo Spagnol – che i Doimo
avevano allegato. In nessun caso, dunque, il giudice di
merito ha assunto, per l’effettiva decorrenza della
prescrizione, un dato temporale diverso dal predetto, là dove
l’accenno al verificarsi dell’evento dannoso ad un momento
precedente alla denuncia dello stesso si spiega, pianamente,
nella logica antecedenza del primo alla seconda, senza che a
ciò sia stata annessa alcuna valenza incidente sul computo
del maturarsi della prescrizione stessa.

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é

anche tale elemento della eccezione deve essere proposto solo

3.

– Con il terzo mezzo è prospettata “violazione

dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. per omessa,
contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo quale la
notifica dell’atto di costituzione di parte civile”.
La Corte territoriale, nell’escludere apoditticamente la
prova della notificazione dell’atto di costituzione di parte
civile nel giudizio penale, avrebbe sostanzialmente omesso di

citazione in appello era allegata detta costituzione
notificata allo Spagnol il 21 settembre 1999 e da questi
ricevuta il successivo 23 settembre.
3.1. – Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni
che sono state evidenziate in riferimento al primo mezzo (§
1.1. che precede) e cioè per l’assenza del quesito di “fatto”
di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ.
– Con il quarto mezzo è denunciata “violazione
dell’art. 360, 3 0 comma (rectius: n. 3) c.p.c. per violazione
4.

ed erronea interpretazione dell’art. 2943, 4 ° comma, c.c.
anche in relazione all’art. 1219 c.c. ed agli artt. 100, 78,
122 c.p.p. come integrati dall’art. 13 L. 16 dicembre 1999 n.
479 e modificato dall’art. 3 d.l. 7 aprile 2000 n. 82,
convertito in L. 5 giugno 2000 n. 144”.
La Corte territoriale avrebbe errato a ritenere
inidoneo, a fini interruttivi della prescrizione, l’atto di
costituzione di parte civile nel giudizio penale in ragione
del vizio di autenticazione della procura, posto che tale
autenticazione, a seguito della modifica delle norme di rito
(indicate in rubrica del motivo), aventi efficacia
retroattiva, ben poteva essere effettuata dal difensore.
Peraltro, il giudice del gravame avrebbe errato anche
nell’affermare che detto atto di costituzione di parte civile
non era valido ai fini della costituzione in mora del
debitore, essendo in esso esplicitata la richiesta di
risarcimento del danno “derivato dall’atto criminoso compiuto
dall’imputato”, là dove la stessa giurisprudenza riconosce la
6

motivare su tale punto decisivo, là dove all’atto di

validità della costituzione in mora anche nell'”atto inidoneo
alla instaurazione di un valido rapporto processuale per
nullità della notifica, purché vi sia prova (come nel caso di
specie) dell’avvenuta ricezione dello stesso”.
Viene formulato il seguente quesito: “Dichiari la
Suprema Corte, nel caso in cui nel procedimento penale,
antecedente al giudizio civile nel quale è stata azionata la

p.c. regolarmente notificata, ma la parte civile sia stata
esclusa per ritenuta irregolarità della procura, che tale
irregolarità è da ritenersi inesistente o sanata in forza
delle modifiche, con effetto retroattivo, apportate agli
artt. 100 – 78 – 122 c.p.p. dalla L. 479/1999 e dal D.L. n.
82/2000, convertito in L. n. 144/2000”.
4.1. – Il motivo è in parte infondato e in parte
inammissibile.
Esso è infondato là dove intende far valere, ora, una
sorta di sanatoria retroattiva della costituzione di parte
civile nel processo penale celebratosi contro lo Spagnol e
dichiarata inammissibile dal giudice penale (come gli stessi
ricorrenti assumono).
A parte il difetto di autosufficienza del motivo, per
non essere l’atto in questione neppure riportato in ricorso
nei suoi contenuti rilevanti (tra cui la stessa procura),
occorre rilevare che esso non potrebbe in ogni caso essere
apprezzato, ai fini interruttivi della prescrizione, come
valida costituzione di parte civile ai sensi degli artt. 78 e
ss. cod. proc. pen. nell’anzidetto processo penale, giacché
ciò è stato già negato in quella sede dal giudice penale,
senza che siffatta decisione sia stata fatta oggetto di
impugnazione ad opera delle parti civili escluse.
Rimaneva, dunque, l’ipotesi di efficacia interruttiva
del medesimo atto ove notificato al debitore (o comunque
portato legalmente alla sua conoscenza), che la Corte
territoriale ha escluso si fosse verificata nella specie.
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domanda di risarcimento danni, vi sia stata costituzione di

Sul punto la censura si palesa inammissibile una volta
che è stata dichiarata l’inammissibilità del terzo mezzo, con
conseguente cristallizzazione della ratio

decidendi

sulla

mancata conoscenza del debitore dell’atto interruttivo,
rappresentato dalla costituzione di parte civile dei Doimo
nel processo penale contro lo Spagnol, giacché essa viene
soltanto ad aggiungersi a quest’ultima e non è in grado,

della decisione assunta dalla Corte di appello, essendosi
ormai formato il giudicato sull’alternativa ratio
da

decidendi

solo idonea a sorreggere la decisione stessa (tra le

tante, Cass., 3 novembre 2011, n. 22753).
5. – Con il quinto mezzo è dedotta “violazione e falsa
applicazione delle norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) e
precisamente degli artt. 112, 187, 2 ° comma, 189, 270, 279,
2 ° comma, e 132, 2 ° e 3 ° comma, c.p.c. nonché contraddittoria
motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art.
360, n. 5, c.p.c.)”.
I ricorrenti sostengono che in primo grado la domanda da
essi proposta era stata decisa sull’eccezione preliminare di
prescrizione del diritto al risarcimento dei danni e che, in
appello, essi avevano contestato l’eccezione di prescrizione
e “conseguentemente riformulato la domanda di condanna
dell’appellato al pagamento del danno, quantificato in euro
16.959,21, oltre al danno non patrimoniale ed hanno
riproposto la richiesta di ammissione di prove orale e
tecniche”; le medesime conclusioni “sono state formulate in
sede di precisazione e sono riprodotte nelle premesse della
sentenza”.
La Corte territoriale avrebbe, dunque, errato nel
pronunciarsi su domanda assorbita nell’accoglimento
dell’eccezione di prescrizione “ed eccependo d’ufficio una
presunta mancanza di prova, che anche controparte si era ben
guardata dal sollevare”. Avrebbe altresì violato l’art. 187
cod. proc. civ. decidendo “l’intera causa, in contrasto con
8

anche se in ipotesi accolta, di condurre alla cassazione

la affermata decisorietà della questione preliminare”, nonché
avrebbe violato gli artt. 278 e 279, secondo comma, cod.
proc. civ. “introducendo il falso problema della condanna
generica, mentre era chiaro che gli attori-appellanti si
erano offerti di provare sia l’an che il quantum dei danni,
solo che gli stessi Giudici non avessero errato
nell’accogliere l’eccezione di prescrizione”. Peraltro, la

proc. civ., «omesso di riportare la istanza istruttoria di
ammissione di C.T.U. “per la descrizione dei luoghi, anche
per quanto riguarda l’aspetto storico-ambientale, per
descrivere i danni, la natura degli stessi e l’entità sotto
il profilo patrimoniale ed ambientale”»; istanza che era
stata “formulata nelle conclusioni finali, che richiamavano
quelle di citazione d’appello” e “richiamata nella
conclusionale”.
Vengono formulati i seguenti quesiti: “Dica la Suprema
Corte: a) se, nel caso in cui la sentenza definitiva di primo
grado abbia confermato la prescrizione del diritto al
risarcimento del danno senza che vi sia stata attività
istruttoria, la Corte d’Appello possa nella stessa sentenza,
dichiarare altresì infondata la domanda nel merito per
presunta carenza di prova sull’entità dei danni e se ciò
costituisca contraddittorietà e violazione di legge; b) se la
mancata assunzione di prove, dovuta alla scelta del Giudice
di decidere una questione di merito avente carattere
preliminare, qual è l’eccezione di prescrizione, possa
portare ad una declaratoria di infondatezza della domanda per
presunta carenza di prova

sull’an e

sul

quantum;

c) se la

mancata completa trasposizione nella sentenza di secondo
grado delle prove (nel caso C.T.U.), chieste in entrambi gli
atti di citazione ed in entrambe le conclusioni finali,
costituisca nullità della sentenza impugnata, a’

sensi

dell’art. 132, 2 ° comma n. 3 c.p.c. in quanto non è stata
esaminata una conclusione istruttoria avente effetto
9

Corte di appello avrebbe, in violazione dell’art. 132 cod.

sull’eventuale giudizio definitivo del merito e comunque
determinante per l’asserita dichiarata mancanza di prove sul
quantum”.
5.1. – Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni
da ultimo evidenziate in relazione al quarto mezzo (.5 4.1.
che precede).
Una volta dichiarate inammissibili o rigettate le

vantato dagli attuali ricorrenti, l’ulteriore censura sulla
infondatezza nel merito della domanda (per carente prova sul
quantum debeatur),

che è soltanto ad abundantiam rispetto

alla prima (come la stessa Corte territoriale evidenzia), non
può, anche se in ipotesi accolta, condurre alla cassazione
della decisione assunta dalla Corte di appello, essendosi
ormai formato il giudicato sull’alternativa ratio

decidendi

da solo idonea a sorreggere la decisione stessa.
6. – Il ricorso va, dunque, rigettato e i ricorrenti
condannati, in quanto soccombenti, al pagamento delle spese
del presente giudizio di legittimità, come liquidate in
dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento,
in favore del controricorrente, delle spese del presente
giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro
2.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di
legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in
data 19 febbraio 2014.

doglianze in ordine alla affermata prescrizione del diritto

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