Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10245 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10245 Anno 2015
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso 14072-2011 proposto da:
IDA’

SALVATORE

DIASVT20A06G288B,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 49, presso lo
studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, rappresentato
e difeso dall’avvocato FERRUCCIO NICOTRA giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

COMUNE DI PALMI 82000650802 in persona del Sindaco
pro tempore Dott.

ENNIO GAUDIO,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ADDA, 87, presso lo studio

1

Data pubblicazione: 20/05/2015

dell’avvocato ALBANO MARIO, rappresentato e difeso
dall’avvocato VINCENZO PANUCCIO giusta procura
speciale a margine del controricorso;
– controrícorrente

avverso la sentenza n. 169/2010 della CORTE D’APPELLO

208/1995 e 209/1995;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/11/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato FABRIZIO DE MARSI per delega;
udito l’Avvocato SILVIO DATTOLA per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
il rigetto del ricorso;

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di REGGIO CALABRIA, depositata il 03/05/2010, R.G.N.

I FATTI

Nel settembre del 1983 Salvatore Idà convenne dinanzi al
Tribunale di Palmi l’omonimo comune, esponendo che, in qualità
di titolare di una casa discografica, aveva chiesto
all’amministrazione comunale il rilascio di alcuni locali di sua

una espansione della propria attività commerciale, e che, in
mancanza di spontanea esecuzione, aveva ottenuto dal Pretore di
Palmi un ordinanza di rilascio dei locali stessi.
Allo scopo di paralizzare l’esecuzione coattiva, il sindaco
aveva emesso – fuori dai presupposti di legge – un’ordinanza di
requisizione dell’immobile destinata a protrarsi fino alla data
del 30.6.1982.
Il provvedimento venne dichiarato illegittimo dal competente
Tribunale amministrativo.
L’attore chiese, pertanto, la riparazione dei danni subiti,
indicando plurimi ed eterogenei titoli risarcitori all’adito
Tribunale.
Il giudice di primo grado accolse in parte la domanda,
condannando l’ente territoriale al pagamento, in favore
dell’Idà, della somma di oltre 366 milioni di lire, oltre
interessi e rivalutazione.
La corte di appello di Reggio Calabria, decidendo sulle
impugnazioni

hinc et inde

proposte, accolse integralmente il

gravame del comune e rigettò quello dell’Idà, condannandolo alla

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proprietà, detenuti dal comune in locazione, in previsione di

restituzione di quanto già percepito in esecuzione della
sentenza del Tribunale.
Ritenne la Corte reggina che la legittimazione passiva
all’azione risarcitoria originariamente proposta dall’attore
spettasse all’amministrazione statale (nella specie, al

Avverso la sentenza di appello Salvatore Idà propone ricorso per
cassazione sorretto da 2 motivi di censura.
Resiste con controricorso illustrato da memoria il comune di
Palmi.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso non può essere accolto.
Con il primo motivo,

si denuncia

vizio del contraddittorio –

violazione del diritto di difesa e conseguente nullità della
sentenza impugnata ai sensi dell’art.

360 n.

4 c.p.c.

(violazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 183 u.c. c.p.c. nel
testo precedente alla modifica apportata dalla legge 353/1990,
applicabile al giudizio di appello ex art. 359 c.p.c.).
Con il secondo motivo,

si lamenta

violazione e falsa

applicazione dell’art. 7 della legge n. 2248 del 1865 all. E) e
dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c..
L’esame secondo motivo risulta logicamente pregiudiziale
rispetto alla prima censura, perché dalla sua decisione dipende
la predicabilità, o meno, di un interesse ad agire della parte
al fine di vedere accolta l’eccezione (astrattamente fondata) di
nullità della sentenza di appello per omessa indicazione di una

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ministero degli interni) e non al comune di Palmi.

questione rilevabile d’ufficio

(i.e. il

difetto di

legitimatio

ad causam del comune di Palmi).

Si censura, con il secondo motivo di ricorso, la conclusione cui
è giunta la Corte di appello calabrese in punto di ritenuto
difetto di legittimazione passiva del comune di Palmi nella

tale legittimazione spetterebbe – a detta di parte ricorrente allo Stato e non all’ente territoriale.
La censura è infondata.
Il potere di ordinanza spettante al sindaco per l’emanazione di
provvedimenti di requisizione o di ordinanze contingibili e
urgenti (potere da considerare del tutto eccezionale in seno
all’ordinamento repubblicano per le limitazioni che la sua
estrinsecazione comporta ai diritti dei privati) appartiene allo
Stato-amministrazione, ancorché nel provvedimento d’urgenza
siano eventualmente implicati anche interessi locali.
L’adozione dei provvedimenti in parola costituisce, pertanto,
manifestazione di potestà e prerogative statuali delle quali il
sindaco è partecipe in veste di ufficiale di governo, con la
conseguenza che i danni derivanti dall’esercizio (o dal mancato
esercizio) di tale potere sono riconducibili

tout court

all’amministrazione statale e non al comune, assumendo in tal
caso il sindaco la veste di organo dello Stato.
Nella

specie,

l’immobile

oggetto del

provvedimento di

requisizione risultava utilizzato, oltre che per eventuali
funzioni di scuola materna (come sostenuto dal ricorrente),

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causa risarcitoria per cui è ancor oggi processo, atteso che

anche al fine di ospitarvi la scuola elementare, e cioè per
assolvere ad funzioni e finalità primarie dello Stato, quale
quella dell’istruzione obbligatoria.
In tal senso è la giurisprudenza di questa Corte regolatrice,
cui il collegio intende dare continuità

(ex aliis,

Cass. nn.

182 del 1999).
Non giova, dunque, al ricorrente il richiamo alle pronunce di
cui a Cass. ss.uu. n. 254 del 1999 e di cui a Cons. di Stato n.
3424 del 2010, entrambe aventi ad oggetto la diversa fattispecie
di un provvedimento relativo ad interessi di stretta e
(soprattutto) esclusiva pertinenza del comune, pur essendo stati
i provvedimenti adottati dal sindaco quale organo di governo per
i particolari motivi di urgenza e pericolo che ne avevano
determinato l’emanazione.
Tanto premesso, il primo motivo non può trovare accoglimento,
per evidente carenza di interesse del ricorrente al suo
eventuale accoglimento.
Se, astrattamente, esso potrebbe risultare fondato in diritto,
non avendo la Corte di appello ottemperato all’obbligo di
indicare in limine litis,

dinanzi a sé, una questione rilevabile

di ufficio (il difetto di legitimatio ad causam del comune), è
pur vero, da un canto, che tale omissione non comporta(va) la
conseguenza della nullità della sentenza (sanzione introdotta
espressamente soltanto con la riforma del 2009, con norma l’art. 101 secondo comma c.p.c. – applicabile ai soli giudizi

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19236 del 2008, 6293 del 2007, 13361 del 2004, 11356 del 2002,

instaurati successivamente al 4.7.2009), e, dall’altro, alla
luce del rigetto del motivo che precede, che nessuna modifica
del quadro fattuale è conseguita ovvero ha preceduto tale
omissione, onde l’eventuale rimessioni degli atti al giudice di
merito non potrebbe che condurre al rigetto nel merito della

Il ricorso è pertanto rigettato.
Le spese del giudizio possono essere compensate in questa sede,
attesa la natura e la complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del
giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, li 12.11.2014

domanda.

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