Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10245 del 19/04/2021

Cassazione civile sez. un., 19/04/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 19/04/2021), n.10245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso per cassazione iscritto al NRG 18287 del 2019 promosso

da:

B.D.O., rappresentato e difeso dagli Avvocati Bernardo

Giorgio Mattarella, Daniele Ripamonti, e Flavio Iacovone,

elettivamente domiciliato presso l’Avvocato Bernardo Giorgio

Mattarella, in Roma, via Pinciana, n. 25;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, domiciliato presso il proprio Ufficio in Roma, via

Baiamonti, n. 25;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte dei conti, Sezione seconda

giurisdizionale centrale d’appello, n. 52/2019, depositata in

segreteria il 26 febbraio 2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9

marzo 2021 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. Pepe Alessandro, che ha chiesto

dichiararsi il ricorso inammissibile.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza della Sezione giurisdizionale per il Lazio n. 258/2016 in data 20 settembre 2016, la Corte dei conti ha condannato il Dott. B.D.O., nella qualità di amministratore delegato di ATAC s.p.a., società interamente partecipata dal Comune di Roma Capitale, al pagamento della somma di Euro 360.000, oltre accessori, a titolo di danno erariale derivante dall’illecita erogazione di compensi al Dott. C.R., componente del collegio sindacale della stessa società.

La responsabilità per danno erariale è stata accertata in relazione all’avvenuta stipulazione, il 22 novembre 2013, di un accordo transattivo tra l’amministratore delegato di ATAC e il C., con il quale si era convenuto che, dopo l’entrata in vigore del D.M. 2 settembre 2010, n. 169, recante la disciplina degli onorari e delle indennità per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, il compenso dovuto per le funzioni di sindaco, svolte dal 20 luglio 2010 al 23 aprile 2013, dovesse essere pari ad Euro 360.000.

La Sezione giurisdizionale per il Lazio, nel ritenere sussistente la colpa grave del B., ha condiviso la prospettazione della Procura regionale, secondo cui l’importo pattuito con la transazione era stato corrisposto in violazione dei limiti tariffari previsti dal D.P.R. n. 645 del 1994 e recepiti tanto dal socio unico con la delibera della Giunta comunale n. 215 del 23 maggio 2007, quanto dall’assemblea dei soci, con atto n. 243 del 28 luglio 2010: limiti che avrebbero dovuto trovare applicazione per tutta la durata dell’incarico di componente del collegio sindacale, a prescindere da eventuali mutamenti che fossero successivamente intervenuti.

2. – L’appello del B. è stato respinto dalla Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello, con sentenza n. 52/2019 depositata in segreteria il 26 febbraio 2019.

2.1. – Il giudice contabile – affermata la propria giurisdizione, sul rilievo che lo statuto di ATAC qualifica l’azienda come società in house del Comune di Roma – ha disatteso l’istanza di sospensione del processo formulata dall’appellante in relazione alla pendenza di un procedimento civile instaurato dinanzi al Tribunale di Roma da ATAC contro il C., avente ad oggetto sia la domanda principale della società per la restituzione dell’importo corrisposto al professionista, previa declaratoria di nullità della stipulata transazione, sia la domanda riconvenzionale che quest’ultimo aveva rivolto nei confronti di ATAC avverso la compensazione da questa operata su altri compensi comunque dovuti.

Al riguardo, la Corte dei conti – richiamati i principi di autonomia della giurisdizione contabile rispetto a quella degli altri plessi giurisdizionali, fatta salva la disciplina di cui agli artt. 651 e 652 c.p.p. – ha osservato che il passaggio in giudicato di una sentenza pronunciata in esito ad un giudizio civile imperniato su un’azione a carattere personale, esperita con finalità esclusivamente restitutorie ed indipendentemente dalla condotta dell’accipiens e dalla sua connotazione soggettiva, qual è, appunto, quella per la ripetizione di un indebito, non può vincolare il procedimento invece incardinato per l’accertamento della responsabilità amministrativa, atteso che in tale giudizio la causa petendi e il relativo petitum si basano su una condotta causale caratterizzata dal dolo o dalla colpa grave e che come tale si deve considerare foriera di un danno all’integrità patrimoniale pubblica, risarcibile ad iniziativa del requirente contabile.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello, ha proposto ricorso il Dott. B., con atto notificato il 10-13 giugno 2019, sulla base di due motivi.

Ha resistito, con controricorso, il Procuratore Generale presso la Corte dei conti.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Il pubblico ministero presso questa Corte ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Il ricorrente, a sua volta, ha depositato una memoria illustrativa in prossimità della camera di consiglio. Con la memoria sono state prodotte due sentenze: la sentenza del Tribunale di Roma n. 12055/2019, pubblicata il 7 giugno 2019, che, definendo il giudizio promosso da ATAC, ha, tra l’altro, dichiarato la nullità della transazione; la sentenza del Tribunale di Roma n. 982/2021, pubblicata il 19 gennaio 2021, che ha rigettato l’opposizione proposta dal B. avverso il precetto a lui notificato da ATAC sulla scorta della sentenza emessa dalla Sezione giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei conti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (violazione dei limiti esterni di giurisdizione con riferimento alla denegata istanza di sospensione, ai sensi del combinato disposto dell’art. 111 Cost., comma 8, art. 362 c.p.c., D.Lgs. n. 174 del 2016, artt. 207 e 106; eccesso di potere) il ricorrente lamenta che la Corte dei conti abbia di fatto negato la propria giurisdizione là dove non ha concesso all’appellante la chiesta sospensione del procedimento a norma del D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 106. Ad avviso del ricorrente, la Corte dei conti era tenuta a disporre la sospensione, giacchè la definizione della controversia da parte del giudice civile, chiamato a quantificare i corrispettivi spettanti al C. in ragione dell’attività di sindaco da questo prestata in favore di ATAC s.p.a., ossia gli stessi corrispettivi per i quali è stata configurata responsabilità erariale a carico del B., costituirebbe il presupposto logico della decisione del giudice contabile. Secondo il ricorrente, nell’ipotesi in cui il giudice civile dovesse ritenere corretti i corrispettivi pagati da ATAC s.p.a. al C. o spettanti al medesimo gli ulteriori compensi richiesti nella misura prevista dalle tariffe professionali entrate in vigore con il D.M. 2 settembre 2010, n. 169, cadrebbe il presupposto di ogni addebito mosso nei confronti del Dott. B., chiamato in causa nel giudizio civile e contemporaneamente ritenuto responsabile, nell’ambito del giudizio contabile, di averli elargiti a mezzo dell’atto di transazione. La commissione di errores in procedendo da parte del giudice contabile – il cui accertamento, per regola generale, rientra nell’ambito del sindacato afferente i limiti interni della giurisdizione – costituirebbe, in un caso, come quello di specie, di manifesta gravità, il sintomo del superamento dei limiti esterni della giurisdizione. La Corte dei conti si sarebbe rifiutata di giudicare perchè, a seguito dell’erronea interpretazione della norma processuale, non avrebbe somministrato la forma di tutela prevista dalla legge, denegando, in concreto, la giurisdizione.

Con il secondo motivo (violazione dei limiti esterni di giurisdizione con riferimento all’omessa valutazione delle risultanze della sentenza assolutoria n. 2157/2018 e n. 2156/2018 del GIP presso il Tribunale di Roma, divenute entrambe irrevocabili in data 5 maggio 2018, ai sensi del combinato disposto dell’art. 111 Cost., comma 8, art. 362 c.p.c., del D.Lgs. n. 174 del 2016, 207, art. 95, comma 1 e art. 101, comma 3; eccesso di potere) il ricorrente deduce che la Corte dei conti avrebbe, di fatto, ulteriormente negato la propria giurisdizione, là dove non ha preso in alcuna considerazione le statuizioni rese dal GIP presso il Tribunale di Roma, che l’appellante aveva allegato alla propria memoria, e ciò pur avendo la sentenza impugnata affermato che deve essere sempre fatta salva la disciplina di cui agli artt. 651 e 652 c.p.p. Osserva il ricorrente che il GIP di Roma è stato chiamato a giudicare in ordine alle identiche vicende per cui il Dott. B. è stato ritenuto responsabile di danno erariale (e cioè sempre con riguardo ai compensi riconosciuti al Dott. C. a mezzo dell’atto di transazione) e, all’esito del giudizio abbreviato, lo ha assolto dal reato di abuso d’ufficio perchè il fatto non costituisce reato, rilevando che la scelta di stipulare un atto di transazione rientra nella discrezionalità dell’amministratore delegato e non costituisce spia della volontà inequivocabile di attribuire al privato un vantaggio nella consapevolezza che questo non sia dovuto. Il GIP – prosegue la difesa del ricorrente – ha concluso per l’insussistenza del fatto ipotizzato”. Secondo il ricorrente, la Corte dei conti aveva l’obbligo di esaminare dette sentenze, che erano state prodotte con la memoria, munite dell’attestazione di irrevocabilità. L’insussistenza dei fatti dal punto di vista materiale, acclarata dal giudice penale, non poteva che portare all’assoluzione del Dott. B. anche dal punto di vista della responsabilità erariale; in ogni caso, la Sezione giurisdizionale centrale di appello avrebbe dovuto tenerne conto. La Corte dei conti – si afferma – non si è neppure soffermata sulla questione. Si sarebbe di fronte ad un diniego evidente di giustizia: la Corte dei conti non ha somministrato al Dott. B. la forma di tutela prevista dalla legge e quindi ha denegato, in concreto, la propria giurisdizione.

2. – I due motivi – che possono essere esaminati congiuntamente, stante la stretta connessione – sono inammissibili.

3. – Occorre premettere che il ricorso per cassazione contro le decisioni della Corte dei conti non è incondizionato, ma può essere proposto soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione (artt. 111 Cost., comma 8, art. 362 c.p.c. e 207 codice di giustizia contabile, approvato con il D.Lgs. n. 174 del 2016) (Cass., Sez. Un., 19 marzo 2020, n. 7457).

Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare (Cass., Sez. Un., 13 maggio 2020, n. 8848), l’eccesso di potere denunciabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici); e poichè la nozione di eccesso di potere giurisdizionale non ammette letture estensive, neanche limitatamente ai casi di sentenza abnormi, anomale ovvero caratterizzate da uno stravolgimento radicale delle norme di riferimento, il relativo vizio non è configurabile in relazione a denunciate violazioni di legge sostanziale o processuale riguardanti il modo di esercizio della giurisdizione speciale.

E’ naturale che qualsiasi erronea interpretazione o applicazione di norme in cui il giudice possa incorrere nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ove incida sull’esito della decisione, può essere letta in chiave di lesione della pienezza della tutela giurisdizionale cui ciascuna parte legittimamente aspira, perchè la tutela si realizza compiutamente se il giudice interpreta ed applica in modo corretto le norme destinate a regolare il caso sottoposto al suo esame. Non per questo, però, ogni errore di giudizio o di attività processuale imputabile al giudice è qualificabile come eccesso di potere giurisdizionale assoggettabile al sindacato della Corte di cassazione, quale risulta delineato dall’art. 111 Cost., comma 8, e dall’art. 362 c.p.c. e art. 207 codice di giustizia contabile. Ne risulterebbe altrimenti del tutto obliterata la distinzione tra limiti interni ed esterni della giurisdizione e il sindacato di questa Corte sulle sentenze del giudice speciale verrebbe di fatto ad avere una latitudine non dissimile da quella che ha sui provvedimenti del giudice ordinario: ciò che la norma costituzionale e le disposizioni processuali dianzi richiamate non sembrano invece consentire (Cass., Sez. Un., 14 settembre 2020, n. 19085).

Si è ribadito (Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2018, n. 32773; Cass., Sez. Un., 9 aprile 2020, n. 7762) che la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali o processuali, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sè sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione.

4. – Nello specifico, ciò di cui il ricorrente si duole è che la Corte dei conti, per un verso, non abbia concesso la richiesta sospensione del processo, a norma dell’art. 106 codice di giustizia contabile, e, per l’altro verso, abbia omesso di valutare le risultanze di sentenze penali di assoluzione in relazione agli stessi fatti per i quali il Dott. B. è stato condannato in sede contabile.

Si sostiene, infatti, che la Corte dei conti sarebbe incorsa in eccesso di potere giurisdizionale e avrebbe di fatto negato la propria giurisdizione: (a) per non avere sospeso il processo contabile a fronte della pendenza dinanzi al Tribunale ordinario di Roma di un giudizio civile promosso da ATAC per ottenere la restituzione, da parte del Dott. C., dei compensi conseguiti in eccedenza rispetto ai minimi tariffari (processo nel quale il C., a propria volta, aveva avanzato domanda riconvenzionale e chiesto ed ottenuto la chiamata in causa del B. al fine di essere da questo mantenuto indenne in caso di declaratoria di nullità dell’atto di transazione) (primo motivo); (b) per non avere preso in considerazione le sentenze del GIP del Tribunale di Roma (in particolare, la sentenza n. 2157/18, riferendosi la sentenza n. 2156/18 alla posizione del Dott. C.) che hanno assolto il B., perchè il fatto non costituisce reato, dall’imputazione ascrittagli di abuso d’ufficio in relazione alla medesima vicenda (secondo motivo).

5. – Le doglianze articolate dal ricorrente non integrano il vizio di eccesso di potere giurisdizionale per diniego di giustizia.

L’omessa sospensione del processo contabile per danno erariale in attesa della definizione del processo civile, promosso da ATAC dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, in cui si discuteva dell’entità dei compensi percepiti dal Dott. C. a seguito della transazione stipulata con il Dott. B. in veste di amministratore delegato della società, e la mancata considerazione, ai fini dell’esito del giudizio di responsabilità amministrativa, della pronuncia assolutoria del B. in sede penale, possono, al più ed in ipotesi, rappresentare degli errori attinenti al modo in cui la giurisdizione è stata esercitata, ma non costituiscono una violazione inerente all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa.

Al di là della formale autoqualificazione come motivi attinenti alla giurisdizione, le censure articolate si risolvono, tutte, nella denuncia di meri errores in procedendo o in iudicando compiuti dalla Corte dei conti, come tali non sindacabili dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 9 marzo 2021, n. 6473).

Il mancato esercizio, da parte della Corte dei conti, del potere di sospendere il processo, ai sensi dell’art. 106 codice di giustizia contabile, non integra una violazione dei limiti esterni della giurisdizione contabile, ma piuttosto un errore in procedendo, come tale insindacabile dalle Sezioni Unite (cfr. Cass., Sez. Un., 23 settembre 2020, n. 19952). Sono pertanto condivisibili le conclusioni scritte del pubblico ministero presso questa Corte là dove osserva che la eventuale violazione delle regole in materia di sospensione del processo non rientra in un’ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (per invasione o sconfinamento o, al contrario, per arretramento) ovvero di difetto relativo di giurisdizione.

Del pari, si risolve in un error in iudicando sui limiti interni della giurisdizione il non avere, la Corte dei conti investita del giudizio di responsabilità per danno erariale, tenuto conto, nel deliberare sul merito dell’azione promossa dal pubblico ministero contabile, dell’intervenuta assoluzione in sede penale dell’amministratore delegato di ATAC, in relazione alla medesima vicenda, perchè il fatto non costituisce reato (Cass., Sez. Un., 7 settembre 2018, n. 21926). L’eventuale interferenza tra il giudizio penale e quello contabile pone, difatti, esclusivamente un problema di proponibilità dell’azione di responsabilità erariale o di fondatezza della pretesa risarcitoria (Cass., Sez. Un., 28 dicembre 2017, n. 31107). La censura proposta, ancora una volta, non rientra in un motivo attinente alla giurisdizione, ma investe il modo di esercizio della funzione giurisdizionale.

6. – Il ricorso è inammissibile.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, stante la posizione di parte solo in senso formale del Procuratore generale della Corte dei conti. Il Procuratore generale, infatti, così come non può sostenere l’onere delle spese processuali nel caso di sua soccombenza, al pari di ogni altro ufficio del pubblico ministero, non può essere destinatario di una pronuncia attributiva della rifusione delle spese quando, come nella specie, soccombenti risultino i suoi contraddittori.

7. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2021

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