Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10245 del 12/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10245 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 22194-2010 proposto da:
NARDO NICOLA GERARDO NRDNLG45P25I854K, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 123, presso lo
studio degli avvocati MAIORANA ROBERTO e GIANNINI
LUCIANO, rappresentato e difeso dall’avvocato LEONE
e

AURELIO giusta procura speciale a margine;
– ricorrente –

2014
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contro

COMUNE ROMA 01057861005, in persona del Sindaco On.le
GIOVANNI ALEMANNO, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA ADRIANA 8, presso lo studio dell’avvocato

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Data pubblicazione: 12/05/2014

BIASIOTTI MOGLIAZZA GIOVANNI FRANCESCO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIETRO
BONANNI giusta delega in calce;
– controricorrente nonchè contro

– intimato –

avverso la sentenza n. 2475/2009 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/06/2009, R.G.N.
415/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/02/2014 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;
udito l’Avvocato DANIELA GAMBARDELLA per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso;

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MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 15 giugno 2009 la Corte di appello di
Roma ha rigettato l’appello proposto da Nicola Gerardo Nardo,
confermando la sentenza del Tribunale di Roma n. 22189 del 19
luglio 2004 che aveva rigettato la domanda proposta dal Nardo

Giustizia per il risarcimento danni conseguenti
all’abbattimento degli infissi di un immobile di sua proprietà
da parte dei Vigili Urbani nel corso dell’esecuzione di un
decreto di perquisizione emesso dai P.M. di Roma.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Nicola Gerardo Nardo, svolgendo tre motivi.
Ha resistito il Comune di Roma, depositando controricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte
dell’altro intimato Ministero della Giustizia.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE

l. La Corte di appello – precisato che la dedotta
responsabilità risarcitoria avrebbe potuto configurarsi a
termini dell’art. 2043 cod. civ. solo nell’ipotesi in cui la
materiale condotta degli operanti avesse esorbitato dai poteri
loro delegati o fosse stata almeno sproporzionata rispetto
allo scopo previsto dal provvedimento di perquisizione – ha
escluso che, in concreto, ricorressero siffatti presupposti,
segnatamente evidenziando che i soggetti presenti al momento
delle operazioni di cui trattasi (il custode dell’immobile e
il figlio dell’appellante, intervenuto dopo l’inizio delle
operazioni) non avevano la disponibilità delle chiavi e che

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nei confronti del Comune di Roma e del Ministero della

l’urgenza di eseguire l’ordine, oltre che

in re ipsa,

era

esplicitata dalla facoltà concessa agli agenti di effettuare
la perquisizione anche in ora notturna. Ne ha, dunque,
inferito l’inevitabilità della rottura degli infissi per
eseguire l’ordine e, per converso, l’inconsistenza della

dell’eventuale arrivo del detentore delle chiavi, pretesa del
tutto incompatibile con la stessa natura dell’operazione di
polizia da portare a compimento.
2. Il ricorso – avuto riguardo alla data della pronuncia
della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e
antecedente al 4 luglio 2009) – è soggetto, in forza del
combinato disposto di cui al d.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,
art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58,
alla disciplina di cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg.
come risultanti per effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006.
Si applica, in particolare, l’art. 366 bis cod. proc. civ.,
stante l’univoca volontà del legislatore di assicurare
l’ultra-attività della norma

(ex multis,

cfr. Cass. 27 gennaio

2012, n. 1194), a tenore della quale, nei casi previsti dai
nn. l, 2, 3 e 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. l’illustrazione
di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi
con la formulazione di un quesito di diritto; mentre la
censura prevista dal n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. deve
concludersi o almeno contenere un momento di sintesi (omologo
del quesito di diritto), da cui risulti
indicazione»

«la chiara

non solo del “fatto controverso”, ma anche, se

non soprattutto, la “decisività” del vizio.

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pretesa del ricorrente di sospendere le operazioni in attesa

2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa e insufficiente
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, rappresentato dalla sussistenza o meno di una
condotta esorbitante o sproporzionata dei delegati

2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. insufficiente motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio,
rappresentato dalla possibilità di eseguire la perquisizione
con modalità meno dannose.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. nullità della sentenza per
violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.. A conclusione del
motivo si chiede a questa Corte ai sensi dell’art. 366
cod. proc. civ.

bis

«se la sentenza impugnata ha violato o

falsamente applicato l’art. 112 c.p.c. omettendo di
pronunciare su uno specifico motivo di gravame e dica la
Suprema Corte di cassazione se l’attività lecita posta in
essere dalla P.A. che cagiona danni alla proprietà privata
comporta il diritto del danneggiato alla corresponsione di un
equo indennizzo e/o risarcimento, commisurato al danno
effettivo, in applicazione analogica delle disposizioni
relative al procedimenti ablatori».
3. I motivi di ricorso sono tutti inammissibili.
Valga considerare quanto segue.
3.1. I primi due motivi, che denunciano entrambi vizi
motivazionali, non si concludono e neppure contengono

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«la

dell’Autorità giudiziaria.

chiara indicazione»,

richiesta dalla seconda parte dell’art.

366 bis cod. proc. civ. in relazione al vizio di cui all’art.
360 n.5 cod. proc. civ., all’uopo occorrendo un momento di
sintesi, omologo del quesito di diritto. Invero il c.d.
quesito di fatto deve consistere – come da questa Corte

rappresenti un

quid pluris rispetto alla mera illustrazione

delle critiche alla decisione impugnata, imponendo un
contenuto specifico autonomamente e immediatamente
individuabile, volto a circoscrivere i limiti delle allegate
incongruenze argomentative, in maniera da non ingenerare
incertezze sull’oggetto della doglianza e sulla valutazione
demandata alla Corte (confr. Cass. 10 ottobre 2007, n. 20603).
Occorre, in altri termini, la formulazione conclusiva e
riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso,
nel quale e comunque anche nel quale si indichi non solo il
fatto controverso riguardo al quale si assuma omessa,
contraddittoria od insufficiente la motivazione, ma anche, se
non soprattutto, quali siano le ragioni per cui la motivazione
è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass.,
ord. 13 luglio 2007, n. 16002). Tale requisito non può,
dunque, ritenersi rispettato quando solo la completa lettura
dell’illustrazione del motivo – all’esito di
un’interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione
della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto
ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007,
n. 16002).
3.2. Il terzo e ultimo motivo è inammissibile per un

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ripetutamente precisato in un elemento espositivo che

duplice ordine di ragioni, che depongono entrambe per il
difetto di specificità del motivo.
3.2.1. Innanzitutto si osserva che, secondo i canoni
elaborati da questa Corte per la rilevanza dei quesiti ex art.
366 bis cod. proc. civ., il quesito di diritto deve essere

5 gennaio 2007, n. 36), nonché risolutivo del punto della
controversia, tale non essendo la richiesta di declaratoria di
un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di
legittimità (cfr. Cass., 3 agosto 2007, n. 17108); inoltre,
con esso non può introdursi un tema nuovo ed estraneo ( cfr.
Cass., 17 luglio 2007, n. 15949). In sostanza il quesito di
diritto deve comprendere (tanto che la carenza di uno solo di
tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso: Cass. 30
settembre 2008, n. 24339) sia la riassuntiva esposizione degli
elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; sia la
sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal
quel giudice; sia ancora la diversa regola di diritto che, ad
avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di
specie.
Nel caso di specie il motivo, proposto ai sensi del n. 4
dell’art. 360 cod. proc. civ. in relazione all’art. 112 cod.
proc. civ., è corredato da un quesito che è privo di tutti e
tre i requisiti indicati, dal momento che esso si risolve,
nella prima parte, in un interrogativo meramente circolare,
mentre, nella seconda parte, è privo di contestualizzazione
nella fattispecie concreta, come ricostruita dai giudici di
merito, ponendo una domanda alla Corte che – prima ancora che

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specifico e riferibile alla fattispecie (cfr. Cass., Sez. Un.,

essere scarsamente comprensibile per l’incerto riferimento a
diversi concetti di

«indennizzo e/o risarcimento»

risulta

priva di correlazione con lo stesso vizio denunciato di
mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
Orbene l’inidonea formulazione del quesito di diritto

dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide
anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al
ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto
imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta
fattispecie (v. Cass., 7 aprile 2009, n. 8463; Cass. Sez. un.,
30 ottobre 2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25 novembre 2008.
n. 28054), Pure in tal caso rimanendo invero vanificata la
finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio
della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del
quesito introdotta con il d.Lgs. n. 40 del 2009.
3.2.2.

Come già preannunciato,

sussiste un’ulteriore

ragione di inammissibilità. Invero – per consolidata
giurisprudenza di questa Corte – la parte che impugna una
sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su
una domanda o eccezione ha l’onere, per il principio di
autosufficienza del ricorso, ora canonizzato negli artt. 366
n.6 e 369 n.4 cod. proc. civ., di specificare, a pena di
inammissibilità per genericità del motivo, non solo in quale
atto difensivo o verbale di udienza l’abbia formulata, per
consentire al giudice di verificarne la ritualità e
tempestività, ma anche quali ragioni abbia specificatamente
formulate a sostegno di essa. Ciò in quanto, pur configurando

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equivale alla relativa omessa formulazione, in quanto nel

la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. un
procedendo,

error in

per il quale la Corte di Cassazione è giudice

anche del “fatto processuale”, non essendo tale vizio
rilevabile d’ufficio, il diretto esame degli atti processuali
è sempre condizionato ad un apprezzamento preliminare della

Nel caso di specie parte ricorrente lamenta che la Corte di

AC

appello nonv sia pronunciata
gravame»,

«su uno specifico motivo di

lasciando intendere che la domanda andava valutata,

alternativamente, sotto il profilo risarcitorio e
indennitario; con la conseguenza che – a fronte di una
sentenza che circoscrive l’oggetto del giudizio nell’ambito
della responsabilità extracontrattuale – sarebbe stato onere
del ricorrente non solo di riportare lo specifico motivo di
appello con cui si proponeva la questione, ma anche di
precisare se, quando e come sia stata (tempestivamente)
introdotta una pretesa indennitaria.
In conclusione il ricorso dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140
del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in favore del controricorrente in C 4 500,00 (di cui
C 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge.
Roma 18 febbraio 2014

decisività della questione (Cass. 11 giugno 2004, n.11126).

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