Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10244 del 26/04/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 26/04/2017, (ud. 13/12/2016, dep.26/04/2017),  n. 10244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18613/2010 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’Avvocato DANTE ANGIOLELLI con studio in PESCARA VIA PISA

29 (avviso postale ex art. 135) giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI PESCARA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 209/2009 della COMM. TRIB. REG. dell’Abruzzo

SEZ. DIST. di PESCARA, depositata il 16/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso proposto dinanzi alla C.T.P. di Pescara A.S. impugnava il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza con la quale la contribuente aveva chiesto il rimborso delle ritenute IRPEF operate sulla somma di Euro 64.464,38, corrisposta alla A. dal Comune di Sulmona in esecuzione della sentenza emessa dal Tribunale civile di detta città. Deduceva la ricorrente che tale importo le era stato riconosciuto dal giudice civile a titolo di risarcimento del danno derivante dall’essere stata illegittimamente esclusa da un concorso pubblico per titoli bandito dal Comune di Sulmona con delibera poi impugnata dinanzi al giudice amministrativo e da questi annullata. Avverso la sentenza di rigetto del ricorso proponeva appello la contribuente dinanzi alla C.T.R dell’Abruzzo, sezione distaccata di Pescara, la quale, con sentenza del 16 luglio 2009, confermava la sentenza impugnata.

Rilevava, in particolare, il giudice di appello che le somme corrisposte alla contribuente erano soggette a tassazione ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, in quanto il risarcimento del danno subito a seguito della perdita del reddito seguiva la sorte fiscale riservata alla stessa categoria di reddito di quello venuto a mancare.

Avverso la suddetta sentenza la contribuente propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.

L’Agenzia delle Entrate non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce “erronea interpretazione e/o violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2, nonchè dell’art. 2043 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”. Sostiene la ricorrente che il danno riconosciuto dal Tribunale civile, che consisteva nella lesione del diritto all’accesso ad un pubblico impiego e non nella mancata percezione delle retribuzioni, non trovava la sua giustificazione nel rapporto di lavoro, ma solo nel mancato rispetto da parte della P.A. delle regole concorsuali; esso concerneva, difatti, una fase prodromica a quella dell’assunzione e non dipendeva, quindi, dalla cessazione o interruzione del rapporto lavorativo.

Il motivo è infondato.

Le somme sottoposte a tassazione sono state corrisposte dal Comune di Sulmona in esecuzione della sentenza di condanna dell’ente pubblico al risarcimento del danno subito dalla A. emessa dal Tribunale civile di detta città, a seguito dell’annullamento della Delib. Comunale che aveva illegittimamente escluso da un concorso pubblico l’odierna ricorrente. Poichè nelle more la A. era stata assunta presso altra amministrazione, l’importo alla stessa spettante era stato commisurato dal giudice civile ai redditi che la contribuente avrebbe percepito nel periodo ricompreso tra la data in cui la predetta avrebbe dovuto essere assunta presso il Comune di Sulmona e la data di assunzione dell’altro impiego pubblico.

Le somme sulle quali sono state operate le ritenute, pertanto, erano destinate a reintegrare un danno consistente nella mancata percezione di redditi sino all’assunzione della contribuente presso altra amministrazione, fattispecie in cui, per consolidata giurisprudenza, in base al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2, tali somme possono costituire materia imponibile (ex plurimis, Cass., sez. trib., 29-12-2011, n. 29579).

Va inoltre osservato che, poichè il pregiudizio subito dalla A. è cessato con l’assunzione di altro impiego pubblico, deve escludersi che le somme percepite dalla contribuente non costituiscano reddito imponibile in quanto integranti danno “da perdita di chance”, il quale si risolve nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell’attività lavorativa e consiste non – come nella specie – in un lucro cessante, bensì nel danno emergente da perdita di una possibilità attuale.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce “omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Travisamento dei fatti (art. 360 c.p.c., n. 5)”. Lamenta che la C.T.R. abbia omesso di pronunciarsi sull’unica ratio decidendi posta a fondamento della sentenza di primo grado, ovvero la circostanza che nell’analogo giudizio instaurato dal fratello della contribuente A.L. era stato riconosciuto, a differenza della odierna ricorrente, il danno biologico, il che avrebbe giustificato l’omessa tassazione della somma riscossa da questi e, per converso, la legittimità delle ritenute nei riguardi della ricorrente; mentre, in realtà, il ricorso proposto da A.L. e la decisione di accoglimento della commissione tributaria vertevano solo sulla somma liquidata per mancato introito di stipendi, e non su quella riconosciuta per danno biologico.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, essendo la C.T.R. pervenuta alla decisione di rigetto dell’appello sulla base di argomentazioni differenti rispetto a quelle poste a fondamento della sentenza di primo grado.

3. Il ricorso va dunque rigettato.

Stante l’assenza di attività difensiva dell’intimata, non vi è luogo a provvedere sulle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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