Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10242 del 19/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10242 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
NUZZACHI Giuseppe, CURSANO Damiana, SCHITO Teodoro,
CORVAGLIA Concetta Immacolata, in proprio e quale unica
erede di Marsella Luigi Salvatore, LEONE Isabella,
rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del
ricorso, dall’Avvocato Cosimo Luperto, elettivamente
domiciliati in Roma, via dei Gracchi n. 39, presso l’Avv.
Annamaria Federico;
ricorrenti –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

9%5
5;- •

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

Data pubblicazione: 19/05/2015

in Roma,

dello Stato, presso i cui uffici

via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

– contrari corrente
e nei confronti di

– intimata avverso il decreto

della

Corte d’Appello di Potenza,

depositato in data 11 giugno 2013, n. 659 del 2013.
Udita la relazione della causa

svolta nella pubblica

udienza del 19 marzo 2015 dal Presidente relatore Dott.
Stefano Petitti.
Ritenuto

che, con ricorso depositato in data 8 maggio

2012 presso la Corte d’appello di Potenza, CORVAGLIA
Concetta Immacolata, quale erede di ~sella Luigi
Salvatore, CURSANO Damiana, LEONE Isabella, NUZZACHI
Giuseppe, NUZZACHI Grazia e SCHITO Teodoro chiedevano la
condanna del Ministero della giustizia al pagamento del
danno non patrimoniale derivato dalla irragionevole durata
della procedura concernente il fallimento della Venturi
Investimenti S.p.A. (già Me.Fi S.p.A.), iniziata con
dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di
Lecce in data 11 ottobre 1993 e non ancora conclusasi alla
data della domanda;
che l’adita Corte d’appello, stimata come ragionevole
una durata di nove anni in considerazione della

-2-

NUZZACHI Grazia;

complessità

della

stessa,

riteneva

che

fosse

indennizzabile un ritardo di 8 anni, tenuto conto che
l’inizio del procedimento doveva essere individuato nella
data di insinuazione al passivo, e liquidava alla

determinato sulla base del criterio di 500,00 euro per
ogni anno di ritardo in ragione del comportamento
contemplativo della stessa;
che, in applicazione delle disposizioni modificative
della legge n. 89 del 2001, introdotte dal decreto-legge
n. 83 del 2012, l’adita Corte liquidava, invece, agli
altri ricorrenti un indennizzo pari all’importo del
credito da ciascuno di essi azionato nella procedura
concorsuale, e cioè: e 714,00 per CORVAGLIA Concetta
Immacolata;

e

3.642,00 per LEONE Isabella; 1.345,00 per

NUZZACHI Giuseppe; 439,00 per SCHITO Teodoro;
che l’adita Corte d’Appello rigettava, invece, la
domanda di equa riparazione proposta iure

successionis da

CORVAGLIA Concetta Immacolata (erede di Mersella Luigi
Salvatore), ritenendo che alla data del decesso del suo
dante causa (31 marzo 2000), il termine di ragionevole
durata non fosse ancora decorso;
che avverso questo decreto NUZZACHI Giuseppe, CURSANO
Damiana, SCHITO Teodoro, CORVAGLIA Concetta Immacolata, in
proprio e quale unica erede di Màrsella Luigi Salvatore,

-3-

ricorrente CURSANO Damiana un indennizzo di euro 4.000,00,

LEONE Isabella hanno proposto ricorso, affidato a cinque
motivi;
che

l’intimato

Ministero

ha

resistito

con

controricorso.

dalla motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo i ricorrenti deducono
violazione o falsa applicazione degli artt. 2 e ss. della
legge n. 89 del 2001, dell’art. 2056 cod. civ., dell’art.
111 Costituzione e dell’art. 6.1. della CEDU, nonché vizio
di motivazione omessa e contraddittoria ed omesso esame su
fatti decisivi, dolendosi del fatto che la Corte d’appello
abbia determinato la durata ragionevole della procedura
fallimentare presupposta in nove anni, in contrasto con le
indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo
cui la detta durata può essere al massimo di sette anni;
che la Corte d’appello, ad avviso dei ricorrenti non
avrebbe neppure adeguatamente illustrato le ragioni
specifiche che nel caso esaminato inducevano a ritenere
ragionevole una durata di nove anni, né avrebbe
considerato che dalla relazione della curatrice
fallimentare emergevano elementi nel senso della non
complessità della procedura;

-4-

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione

che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano
altra violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001,
dell’ art. 2056 cod. civ., dell’art. l della legge
• costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. l, della

motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti
decisivi, censurando il decreto impugnato per essersi la
Corte d’appello discostata dai parametri relativi
all’entità degli indennizzi che la giurisprudenza della
Suprema Corte di Cessazione ha enucleato (e che prevedono
un indennizzo non inferiore a 750,00 euro per ciascuno dei
primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e a
1.000,00 euro per ciascuno di quelli successivi), avendo
riconosciuto alla ricorrente CURSANO Damiana un indennizzo
pari a 500,00 euro per ogni anno di ritardo; ed ai
ricorrenti CORVAGLIA Concetta Immacolata, LEONE Isabella,
NUZZACHI Giuseppe e SCHITO Teodoro un indennizzo pari
all’importo dei crediti da ciascuno di essi azionato nella
procedura concorsuale;
che con il terzo motivo i ricorrenti denunciano altra
violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, degli
artt. 2056, 1223 e 1226 cod. civ., dell’art. l della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. 1, della
CEDU, del].’ art. 11 delle preleggi, dell’art. 55 D.L.
83/2012 e dell’art. 2-bis della legge n. 134 del 2012,

-5-

CEDU e dell’art. 111 Costituzione, nonché vizio di

nonché vizio di motivazione contraddittoria e omesso esame
su fatti decisivi, censurando il decreto impugnato per
avere la Corte d’appello fatto applicazione dalla
disposizione da ultimo citata – la quale effettivamente

della causa in relazione alla quale viene chiesto -,
sebbene la stessa sia applicabile ai soli ricorsi
depositati dopo l’entrata

in

vigore della legge di

conversione;
che con il quarto motivo i ricorrenti lamentano che la
Corte di appello abbia liquidato l’indennizzo tenendo
conto del valore dei crediti ammessi al passivo, e dunque
in misura non omogenea per tutti i ricorrenti, in
violazione dell’art. 3 Cost. e degli artt. 2056, 1223,
1226 cod.civ., nonché vizio di motivazione contraddittoria
e omesso esame su fatti decisivi;
che con il quinto motivo di ricorso i ricorrenti
denunciano violazione dell’art. 110 cod. proc. civ.,
nonché vizio di motivazione contraddittoria ed omesso
esame su fatti decisivi in relazione alla posizione della
ricorrente CORVAGLZA Concetta Immacolata (erede di
~sella Luigi Salvatore) alla quale l’adita Corte
d’Appello ha liquidato un indennizzo iure proprio (pari al
credito dalla stessa azionato nella procedura concorsuale)
ma non

iure 512°0~10m:e,

ritenendo che, alla data del

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prevede che l’indennizzo non possa superare il valore

decesso del suo dante causa, la durata della procedura
fallimentare non risultasse ancora irragionevole;
che all’esame dei motivi occorre premettere che la
presente controversia non è soggetta,

rat.ione temporls,

83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n.
134 del 2012, applicabili ai ricorsi depositati a
decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di
entrata in vigore della legge di conversione;
che, del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012
non può neanche riconoscersi natura di norme di
interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per
alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della
giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
non vi è nulla nel decreto-legge n. 83 del 2012 che possa
indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso
attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva,
avendo, anzi, espressamente dettato una specifica
previsione per l’ entrata in vigore della nuova
disciplina;
che, tanto premesso, il primo motivo di ricorso è
fondato per quanto di ragione;
che, invero, questa Corte ha avuto modo di affermare
(Cass. n. 8468 del 2012) che la durata ragionevole delle

-7-

all’applicazione delle disposizioni introdotte dal d.l. n.

procedure fallimentari può essere

stimata in cinque anni

per quelle di media complessità, ed è elevabile

fino a

sette anni allorquando il procedimento si presenti
• notevolmente complesso;

ipotesi,

questa, ravvisabile in

particolare natura o situazione giuridica dei beni da
liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.),
della proliferazione di giudizi connessi alla procedura,
ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata
dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle
procedure concorsuali interdipendenti;
che, nel caso di specie, la Corte d’appello si è
discostata dall’indicato orientamento
ragionevole una durata di nove

ritenendo

anni per via

della

“complessità del caso”; elemento – questo – che già
concorre a considerare ragionevole la durata di sette anni
in luogo di cinque;
che il motivo è invece infondato nella parte in cui i
ricorrenti pretendono di far risalire l’inizio della
procedura rilevante al fini dell’equa riparazione alla
dichiarazione di fallimento, atteso che correttamente la
Corte d’appello ha

fatto

riferimento alla data della

domanda di insinuazione al passivo (Cass. n. 2207 del
2010; Case. n. 20732 del 2011);
che il secondo motivo di ricorso è infondato;

-8-

presenza di un numero elevato di creditori, di una

che, invero, questa Corte ha già avuto modo di
chiarire che, se è vero che il giudice nazionale deve, in
linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione
elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo

liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a

Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane, tuttavia,
in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene,
in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. n. 18617 del 2001;
Casa. n. 17922 del 2010);
che, d’altra parte, la Corte d’appello, pur affermando
di tenere conto del disposto dell’art. 2-bis della

legge

n. 89 del 2001, ratione temporis non applicabile al caso
di specie, ha tuttavia proceduto alla liquidazione
dell’indennizzo adottando un criterio già presente nella
giurisprudenza di legittimità, e ritenuto congruo, con
riferimento alle procedure fallimentari, a ristorare il
pregiudizio sofferto;

-9-

(secondo cui, data l’esigenza di garantire che la

che il criterio adottato dal giudice di merito appare,
infatti, in linea con le soglie dettate tanto dalla
giurisprudenza Europea quanto da quella nazionale, in cui
si è ritenuto che il criterio di 500,00 euro per ano di

(di recente, Case. n. 16311 del 2014);
che non vale ad inficiare la valutazione della Corte
d’appello il rilievo secondo cui, pur avendo la stessa
affermato di voler valorizzare il criterio del valore
della posta

in

gioco, ha poi finito per liquidare

un

indennizzo uguale pur a fronte di creditori ammessi al
passivo per crediti significativamente differenti, proprio
perché la Corte territoriale non ha applicato la nuova
disciplina ma, in base ai criteri desumibili dalla
giurisprudenza di legittimità, ha inteso solo discostarsi,
in senso riduttivo, dall’ordinario criterio di
liquidazione;
che il terzo motivo di ricorso è fondato;
che il terzo motivo di ricorso è, invece, fondato
nella parte in cui si contesta che ad alcuni ricorrenti
sia stato liquidato un indennizzo pari al valore del
credito da ciascuno di essi azionato nella procedura
concorsuale;
che, infatti, esclusa la diretta applicabilità della
nuova normativa di cui all’art. 2-bis della legge n. 89

ritardo è congruo in relazione alle procedure fallimentari

del 2001, introdotto dal decreto-legge n. 83 del 2012,
deve rilevarsi che la Corte d’appello, pur potendo – come
prima rilevato – discostarsi dagli ordinari criteri di
liquidazione, ha attuato una liquidazione che assume come

ammesso al passivo, mentre, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, la maggiore o minore
entità della posta in gioco può incidere sulla misura
dell’indennizzo, consentendo al giudice di scendere anche
al di sotto della soglia minima (Cass. n. 12937 del 2012),
ma non anche di parificare la liquidazione al valore dalla
causa in cui si è verificata la violazione;
che il quarto motivo di ricorso rimane assorbito
dall’accoglimento del precedente;
che il quinto motivo di ricorso è infondato;
che

la continuità della posizione processuale degli

eredi intervenuti rispetto a quella del dante causa
prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., nel caso di specie
della ricorrente CORVAGLIA Concetta Immacolata, non toglie
che il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e
tradotto in norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001,
non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a
carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni
riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto
danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi

vincolante e come limite massimo il valore del credito

modulabili

in

relazione al concreto patema subito, il

quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse
alla sua rapida conclusione (principio oramai consolidato:
vedi, da ultimo, Caos. n. 10517 del 2013; Casa. n. 995 del

che, dunque, essendo presupposto ineliminabile per la
legittimazione a far valere l’equa riparazione l’incidenza
che la non congrua durata del giudizio abbia su chi di
quel giudizio sia chiamato a far parte, non vi è luogo a
discorrere di equa riparazione sin tanto che il chiamato
all’eredità non sia, quanto meno, evocato in riassunzione,
atteso che fino a quel momento può mancare addirittura la
prova dell’assunzione – per accettazione espressa o per
facta concludentia

della stessa qualità di erede (Cass.

n. 4003 del 2014);
che tale principio risulta estensibile anche al caso
in cui il procedimento presupposto sia una procedura
fallimentare in quanto, senza una espressa manifestazione
in tal senso da parte dell’erede, alcuna prova può essere
data del patema d’animo sofferto in proprio dallo stesso a
causa della lungaggine processuale;
che, dunque, accolto il primo motivo di ricorso
limitatamente alla ingiusta durata della procedura,
rigettato il secondo ed il quinto, accolto il terzo,

– 12 –

2012);

assorbito il quarto, il decreto impugnato deve essere
cassato in relazione alle censure accolte;
che, tuttavia, non apparendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel

civ.;
che, infatti, accertata la irragionevole durata della
procedura fallimentare in anni 10 (eccedenti i 7 previsti
per procedure fallimentari di particolare complessità
quale quella in oggetto, stante l’altissimo numero di
domande di ammissione allo stato passivo e la pluralità di
azioni giudiziarie ancora pendenti intraprese
nell’interesse del fallimento per il recupero di crediti),
alla liquidazione dell’indennizzo può procedersi
applicando il criterio di 500,00 euro per anno di ritardo,
determinandone così l’ammontare, in favore di ciascuno dei
ricorrenti Corvaglia Concetta Immacolata, in proprio,
Nuzzachi Giuseppe, Cursano Damiana, Schito Teodoro e Leone
Isabella, in euro 5.000,00;
che il Ministero della giustizia deve quindi essere
condannato al pagamento, in favore dei menzionati
ricorrenti, della somma di euro 5.000,00, oltre agli
interessi legali dalla domanda al soddisfo, ferme le
statuizioni del decreto impugnato in ordine alle spese del
giudizio, ivi compresa quella relativa alla distrazione;

– 13 –

merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.

che va invece rigettato il ricorso di Corvaglia
Concetta Immacolata, in quanto, pur riducendo la durata
ragionevole della procedura fallimentare a sette anni,
deve rilevarsi che alla data del decesso dal suo dante

dalla insinuazione al passivo, aveva avuto una durata non
eccedente quella ragionevole;
che il Ministero deve essere condannato altresì alla
rifusione delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
cassa

accoglie il ricorso per quanto di ragione;

il decreto impugnato in relazione alle censure

accolte e, decidendo nel merito,

condanna

il Ministero

della giustizia al pagamento, in favore di Corvaglia
Concetta Immacolata, in proprio, Nuzzachi Giuseppe,
Cursano Damiana, Schito Teodoro e Leone Isabella, della
somma di euro 5.000,00, oltre agli interessi legali dalla
data della domanda al saldo, ferme le statuizioni in
ordine alle spese del giudizio di merito; rigetta il
ricorso di Corvaglia Concetta Immacolata, quale erede di
Màrsella Luigi Salvatore;

condanna

il Ministero della

giustizia alla rifusione delle spese giudizio di
cassazione, in euro 700,00 per compensi, oltre agli
accessori di legge e alle spese forfettarie

– 14-

causa (31 marzo 2000), la procedura stessa, a far data

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della

VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

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