Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10241 del 29/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/05/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 29/05/2020), n.10241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 2465/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore

p.t., rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

EUROMILANO s.p.a., (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rapp.te

p.t., rapp.ta e difesa per procura speciale del (OMISSIS),

autenticata dal notaio D.P. rep. n. (OMISSIS), dall’avv.

Andrea Russo, presso il quale elettivamente domicilia in Roma al

Viale Castro Pretorio n. 122;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 132/43/10 depositata il 14 dicembre 2010 della

Commissione tributaria regionale di Milano;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 17 gennaio 2020 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Tommaso Basile che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

udito l’avv. G. Rocchitta per il ricorrente e l’avv. Di Iacovo per

delega dell’avv. Russo per il controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 132/43/10 la Commissione tributaria regionale di Milano respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Milano aveva accolto il ricorso della Euromilano s.p.a. avverso l’avviso di accertamento per Euro 374.000 a titolo di maggiore Irpeg per l’anno 2003, Euro 46.750 a titolo di maggiore Irap per l’anno 2003, Euro 220.000 a titolo di maggiore Iva per l’anno 2003, per un importo complessivo di Euro 640.750.

Osservava la CTR che la questione proposta dal ricorrente verteva sulla validità dell’atto di cessione a titolo gratuito al Comune di (OMISSIS) di alcune aree destinate alla localizzazione di diritti di terzi espressi nella stipulata convenzione generale per l’attuazione di un programma di riqualificazione urbana, costituendo un onere assolutamente necessario al fine di realizzare l’iniziativa urbanistica complessiva.

Quanto al comportamento contabile assunto dal contribuente, osservava la CTR che correttamente quest’ultimo aveva mantenuto invariati i valori delle rimanenze riferiti alle aree interessate dal programma, come si evinceva dalla copia del prospetto extracontabile, e correttamente le variazioni delle rimanenze contabilizzate in bilancio non avevano ad oggetto le predette aree.

Inoltre, la cessione a titolo gratuito non presentava alcuna criticità in tema di imposte indirette, nè poteva considerarsi rilevante in punto di fatturazione, dovendo la fattispecie essere inquadrata nella L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 51, essendo la cessione dell’area avvenuta in esecuzione di una convenzione attuativa del programma e dunque di una convenzione di lottizzazione.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a tre mezzi, l’Agenzia delle entrate; il contribuente resiste mediante controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi. Il contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare va esaminata la questione concernente l’inammissibilità del ricorso proposta dal controricorrente.

1.1. In particolare, poichè la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 14 dicembre 2010, il ricorso per cassazione sarebbe stato notificato quando la controparte era già decaduta dal diritto di impugnare, atteso il decorso del termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c..

1.2. Infatti, secondo il controricorrente, il giudizio in oggetto, pur se iniziato in data anteriore al 4 luglio 2009, dovrebbe essere sottoposto alla disciplina prevista dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17, che, modificando l’art. 327 c.p.c., ha previsto per l’impugnazione il termine semestrale, decorrente dalla pubblicazione della sentenza, laddove la previsione di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, (secondo la quale il nuovo termine riguarderebbe solo i processi iniziati dopo la sua entrata in vigore), troverebbe applicazione esclusivamente per i processi civili, con esclusione del contenzioso tributario.

1.3. Il rilievo è infondato.

1.4. Come condivisibilmente statuito da questa Corte, infatti, anche in tema di impugnazione nei giudizi tributari trova applicazione il principio secondo il quale la modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, che ha sostituito con il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza l’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cass. n. 19979/18 e 15741/13).

2. Con il primo motivo l’Ufficio si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 53 e 9, della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, e dei principi generali in materia di convenzione urbanistica e di lottizzazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo la CTR errato nel qualificare la cessione dell’area come negozio a titolo gratuito: allorchè, infatti, la convenzione urbanistica preveda come obbligatorie le cessioni di aree da parte del privato, tali cessioni non possono essere considerate atomisticamente ma costituiscono, con la convenzione, una serie di negozi collegati che concorrono alla formazione di un risultato finale, consistente nel rilascio in favore del privato dell’autorizzazione a costruire in conformità al progetto. Ne conseguirebbe, secondo il ricorrente, che la cessione, benchè formalmente gratuita, in realtà avviene a titolo oneroso, derivando dalla stessa non solo il trasferimento dell’area ma anche, per la parte privata, l’acquisto di diritti edificatori e dunque di ricavi pari al valore normale del terreno ceduto, del D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 9.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, le convenzioni di lottizzazione, riconducibili alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11, si configurano come accordi endoprocedimentali dal contenuto vincolante, diretto al rilascio delle autorizzazioni urbanistico – edilizie, venendo pertanto in rilievo un fenomeno connotato pur sempre da una posizione di disparità tra le parti e dovendo escludersi, in ragione dell’assenza di un reale sinallagma, l’esistenza di un contratto a prestazioni corrispettive. In tali accordi, pertanto, è assente una reale ed effettiva corrispondenza di tipo contrattuale tra cessioni immobiliari, opere di urbanizzazione, prestazioni e contributi, con cui si attuano gli obblighi convenzionali, e il perfezionamento del procedimento amministrativo finalizzato alla legittimazione dell’attività di lottizzazione, atteso che siffatte convenzioni mantengono integra la potestà pubblicistica del Comune in materia di disciplina del territorio e di regolamentazione urbanistica, ivi compresa la facoltà di liberarsi dal vincolo contrattuale, alla stregua di esigenze sopravvenute (cfr. Cass. n. 16533/18 e n. 15660/14).

2.3. Pertanto, il fatto che a fronte della cessione delle aree, programmata dalla convenzione di lottizzazione, il cedente riceva un successivo ed ulteriore vantaggio (consistente nella possibilità di procedere all’attività di trasformazione del territorio conseguente al rilascio del permesso a costruire), non consente di ritenere che la cessione da gratuita si trasformi in un negozio sinallagmatico, non trovandosi le due prestazioni in rapporto di corrispettività.

2.4. Del resto è opinione oggi largamente diffusa che l’esistenza di un interesse patrimoniale indiretto (futuro o c.d. di ritorno), perseguito dal dante causa nell’ambito di un negozio gratuito, non trasformi quest’ultimo in un contratto oneroso, essendo assolutamente compatibile la causa gratuita di un contratto con l’esistenza di interesse patrimoniale (diverso da una vera e propria controprestazione) perseguito dal disponente: d’altronde, se mancasse un interesse patrimoniale, il contratto gratuito andrebbe addirittura qualificato come liberalità donativa, cosa che dimostra la piena compatibilità tra negozi gratuiti non liberali e la sussistenza di un interesse patrimoniale indiretto perseguito dal dante causa, consistente nell’eventuale futuro rilascio del permesso di costruire.

3. Il secondo motivo lamenta l’omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non avendo la Euromilano diminuito, nell’anno della cessione, il valore delle rimanenze. Questa circostanza, secondo l’Ufficio, sarebbe innanzitutto decisiva, in quanto, se non fosse stato variato il valore delle rimanenze, pur restando fermi i ricavi determinati dall’Ufficio, ai fini del reddito si dovrebbe tenere conto del valore con cui il terreno era iscritto tra le rimanenze, riducendo di detto valore il reddito accertato. Il fatto, oltre che decisivo, era anche controverso, avendo dedotto l’Ufficio, nel proprio appello, che ciò non risultava provato e che anzi risultava il contrario.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. In primo luogo non sembra ravvisarsi, nel ragionamento della CTR, una motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria: il giudice di appello, esaminando e valutando le prove portate alla sua attenzione (e cioè un prospetto extracontabile ed il bilancio di esercizio al 31.12.2013), ne ha tratto un convincimento e cioè che le uniche variazioni delle rimanenze contabilizzate in bilancio avevano riguardato aree diverse da quelle interessate dal programma di riqualificazione urbana, mentre erano rimasti immutati i valori riferiti alle aree direttamente interessate; il ricorrente, poi, non ha chiaramente esplicitato la decisività di tale fatto controverso, cioè per quale ragione l’eventuale variazione delle rimanenze dovrebbe decisivamente incidere sul risultato finale del giudizio. Costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa, laddove nel caso in esame il ricorrente non ha in alcun modo chiarito per quale ragione, non essendo stata mai messa in dubbio l’effettività della cessione, la questione delle rimanenze dovrebbe avere un’incidenza diretta e certa sul reale oggetto della controversia e sulla sua soluzione finale.

4. Con il terzo motivo l’Ufficio si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2, della L. n. 342 del 2000, art. 51, e dell’art. 2697 c.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto l’art. 51 cit., applicato dalla CTR, andrebbe interpretato in modo restrittivo: la cessione di aree ai Comuni in esecuzione di una convenzione di lottizzazione, non rilevante ai fini Iva, dovrebbe essere solo quella che avvenga a scomputo dei contributi di urbanizzazione ed abbia ad oggetto aree destinate alla realizzazione di opere di urbanizzazione, laddove, nella specie, nessuna delle due condizioni sussisterebbe, essendo pacifico che le aree in questione non erano destinate alla realizzazione di opere di urbanizzazione, ma a consentire la localizzazione dei diritti volumetrici dei terzi.

4.1. Il motivo è infondato.

4.2. Ai sensi dell’art. 51 cit. “Non è da intendere rilevante ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, neppure agli effetti delle limitazioni del diritto alla detrazione, la cessione nei confronti dei comuni di aree o di opere di urbanizzazione, a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione”.

4.3. La chiarezza del dato normativo non lascia spazio ad interpretazioni difformi da quella resa evidente dal testo, per cui la cessione di aree in esecuzione di convenzioni di lottizzazione (ipotesi ricorrente nel caso in esame) è fattispecie che, in termini di irrilevanza ai fini Iva, si aggiunge a quella della cessione avvenuta a scomputo di contributi di urbanizzazione, sicchè, seguendo la lettera della norma, non occorre nè che le aree siano destinate alla realizzazione di opere di urbanizzazione nè che l’operazione avvenga a scomputo degli oneri di urbanizzazione.

4.4. In ogni caso la circostanza evidenziata dal ricorrente, e cioè che la cessione era destinata a consentire la localizzazione dei diritti volumetrici di terzi, non esclude di per sè che l’area potesse, secondo la convenzione di lottizzazione, essere interessata da opere di urbanizzazione, circostanza che nel caso in esame non può essere nemmeno concretamente verificata, avendo il ricorrente omesso di allegare il testo della richiamata convenzione.

5. Le ragioni che precedono impongono il rigetto del ricorso principale con conseguente assorbimento dei motivi del ricorso incidentale condizionato.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono il regime della

soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiarando assorbito quello incidentale.

Pone le spese del giudizio di legittimità a carico del ricorrente, liquidandole in Euro 13.000 per compensi ed Euro 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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