Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10241 del 19/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10241 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
RIZZELLO Maria Addolorata,
Massafra Antonio Angelo,

nella qualità di erede di
RIZZELLO

Vittorio e RIZZELLO

Saverio, nella qualità di eredi di Rizzello Vincenzo
CIPOLLA Marina, nella qualità di erede di Contaldi Luigi,
rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del
ricorso, dall’Avvocato Cosimo Luperto, elettivamente
domiciliati in

Roma,

via dei Gracchi n. 39, presso

Annamaria Federico;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

320G
J ,.

rappresentato

pro

e difeso dall’Avvocatura Generale

Data pubblicazione: 19/05/2015

dello Stato, presso i cui uffici in Rama, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– controricorrente

RIZZELLO Salvatore e RIZZELLO Anna, in qualità di eredi di

di Contaldi Luigi;
– intimati avverso il decreto della Corte d’Appello di Potenza,
depositato in data 11 giugno 2013, n. 660 del 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19 marzo 2015 dal Presidente relatore Dott.
Stefano Petitti.
Ritenuto che, con ricorso depositato in data 13 maggio

2012 presso la Corte d’appello di Potenza, CONTALDI
Filippo e CIPOLLA Marina, quali eredi di Contaldi Luigi,
R/ZZELLO Maria Addolorata, nella qualità di erede di
Massafra Antonio Angelo, RIZZELLO Salvatore, RIZZELLO
Saverio, RIZZELLO Vittorio e RIZZELLO Anna, nella qualità
di eredi di Rizzello Vincenzo, chiedevano la condanna del
Ministero dalla giustizia al pagamento del danno non
patrimoniale derivato dalla irragionevole durata della
procedura concernente il fallimento della Venturi
Investimenti S.p.A. (già Me.Fi S.p.A.), iniziata con
dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di

-2-

Rizzano Vincenzo, e CONTALDI Filippo, in qualità di erede

Lecce in data 11 ottobre 1993 e non ancora conclusasi alla
data dalla domanda;
che l’adita Corte d’appello, stimata come ragionevole
una durata di nove anni in considerazione della

indennizzabile un ritardo di otto anni, tenuto conto della
complessità della controversia, del valore della stessa e
dell’atteggiamento “contemplativo” dei ricorrenti, e
considerando poi che l’inizio del procedimento per ciascun
creditore doveva essere individuato nella data di
insinuazione al passivo, liquidava un indennizzo di euro
500,00 in favore di Rizzello Maria Addolorata, in qualità
di erede di Massafra Antonio Angelo (deceduto in data

4

aprile 2003), nei limiti della quota ereditaria, e di euro
1.500,00 in favore di Rizzello Vittorio, Rizzello Saverio,
Rizzello Salvatore e Rizzello Anna, in qualità di eredi di
Rizzello Vincenzo (deceduto in data 8 marzo 2005), nei
limiti della quota ereditaria, oltre interessi al tasso
legale dalla data di presentazione della domanda al
soddisfo, applicando il criterio 4i euro 500,00 per anno
di ritardo in ragione dell’atteggiamento quasi
contemplativo degli stessi, nonché dall’applicazione
dell’art.

2-bis

della legge n. 89 del 2001, come

introdotto dalla legge n. 134 del 2012, da intendersi come
criterio interpretativo generale, secondo cui, in ogni

-3-

complessità della procedura, riteneva che fosse

caso, l’indennizzo non può essere superiore al valore
della causa e quindi, in relazione al caso di specie, al
all’importo del credito azionato da ciascun ricorrente;
che rigettava invece la domanda dei ricorrenti Cipolla

decesso era avvenuto in un momento (29 gennaio 2001) in
cui la durata dalla procedura non aveva ancora superato la
soglia di ragionevolezza;
che avverso questo decreto RIZZELLO Maria Addolorata,
nella qualità di erede di Massafra Antonio Angelo,
RIZZELLO Vittorio e RIZZELLO Saverio, nella qualità di
eredi di Rizzello Vincenzo, CIPOLLA Marina, nella qualità
di erede di Contaldi Luigi, hanno proposto ricorso,
affidato a tre motivi;
che

l’intimato

Ministero

ha

resistito

con

controricorso, mentre gli altri intimati non hanno svolto
attività difensiva;
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo i ricorrenti denunciano
violazione degli artt. 2 e ss. della

legge n. 89 del

2001, dell’art. 111 Cost., dell’art. l della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. l, della
CEDU, dell’art. 2056 cod. civ., nonché vizio di

-4-

Marina e Contaldi Filippo, eredi di Contaldi Luigi, il cui

motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti
decisivi, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia
determinato la durata ragionevole della procedura
fallimentare presupposta in nove anni, in contrasto con le

cui la detta durata può essere al massimo di sette anni;
che la Corte d’appello, ad avviso dei ricorrenti, non
avrebbe neanche illustrato le ragioni specifiche che nel
caso esaminato inducevano a ritenere ragionevole una
durata di nove anni, e non avrebbe considerato che dalla
relazione del curatore fallimentare emergevano elementi
nel senso della non complessità della procedura;
che l’adita Corte non avrebbe, poi, tenuto conto, ai
fini del computo della durata complessiva della procedura,
della data di deposito della sentenza dichiarativa di
fallimento, individuando, invece, il momento iniziale
della procedura nella data della domanda di insinuazione
allo stato passivo dei ricorrenti;
che, inoltre, la Corte d’appello si sarebbe discostata
dai parametri relativi all’entità degli indennizzi che la
giurisprudenza di questa Corte ha enucleato (e che
prevedono un indennizzo non inferiore a 750,00 euro per
ciascuno dei primi tre anni eccedenti la durata
ragionevole e a 1.000,00 euro per ciascuno di quelli

-5-

indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo

successivi), avendo riconosciuto ai ricorrenti un
indennizzo pari a 500,00 euro per ogni anno di ritardo;
che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione dell’art. 110 cod. proc. civ., nonché vizio di

decisivi, in relazione alla posizione dei ricorrenti
Cipolla Marina e Contaldi Filippo, in qualità di eredi di
Contaldi Luigi, di Rizzello Maria Addolorata, quale erede
di Massafra Antonio Angelo, e di Rizzello Vittorio e
Rizzello Saverio, quali eredi di Rizzello Vincenzo, per i
quali la Corte d’appello ha ritenuto che la durata
irragionevole della procedura si arrestasse alla data del
decesso dei rispettivi danti causa;
che con il terzo motivo i ricorrenti denunciano altra
violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, degli
artt. 2056, 1223 e 1226 cod. civ., dell’art. 1 della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. 1, della
CEDU, dell’art. 11 delle preleggi e dell’art. 2-bis della
legge n. 134 del 2012
n.

89 del 2001,

(recte: dell’art. 2 bis della legge

come modificata dal decreto-legge n.

del 2012, convertito con modificazioni nella legge n.
del 2012),

83
134

nonché vizio di motivazione contraddittoria e

omesso esame su fatti decisivi, censurando il decreto
impugnato per avere la Corte d’appello fatto applicazione
della disposizione da ultimo citata

-6-

la quale

motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti

effettivamente prevede che l’indennizzo non possa superare
il valore della causa

relazione alla quale viene

in

chiesto -, sebbene la stessa sia applicabile ai soli
ricorsi depositati dopo l’entrata in vigore dalla legge di

che all’esame dei motivi occorre premettere che la
presente controversia non è soggetta, ratione

tamporis,

all’applicazione delle disposizioni introdotte dal d.l. n.
83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n.
134 del 2012, applicabili ai ricorsi depositati a
decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di
entrata in vigore della legge di conversione;
che, del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012
non può neanche riconoscersi natura di norme di
interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per
alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della
giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
non vi è nulla nel decreto-legge n. 83 del 2012 che possa
indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso
attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva,
avendo anzi espressamente dettato una specifica previsione
per la entrata in vigore della nuova disciplina;
che, tanto premesso, il primo motivo di ricorso è
fondato per quanto di ragione;

-7-

conversione;

che, invero, questa Corte ha avuto modo di affermare
(Caos. n. 8468 del 2012), che la durata ragionevole delle
procedure fallimentari pile> essere , stimata in cinque anni
per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a

notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in
presenza di un numero elevato di creditori, di una
particolare natura o situazione giuridica dei beni da
liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.),
della proliferazione di giudizi connessi alla procedura,
ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata
dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle
procedure concorsuali interdipendenti;
che, all’evidenza, la Corte d’appello si è discostata
dall’indicato orientamento ritenendo ragionevole una
durata di nove anni, adducendo a sostegno di tale
valutazione elementi che già concorrono a determinare la
complessità della procedura e a considerare ragionevole la
durata di sette anni in luogo di cinque anni;
che il motivo è invece infondato nella parte in cui i
ricorrenti pretendono di far risalire l’inizio della
procedura rilevante ai fini dell’equa riparazione alla
dichiarazione di fallimento, atteso

che correttamente la

Corte d’appello ha fatto riferimento alla data della

-8-

sette anni, allorquando il procedimento si presenti

domanda di insinuazione al passivo (Cass. n. 2207 del
2010; Casa. n. 20732 del 2011);
che il motivo è altresì infondato quanto ai parametri
relativi all’entità degli indennizzi accordati ai

terzo motivo;
che, invero, questa Corte ha già avuto modo di
chiarire che, se è vero che il giudice nazionale deve, in
linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione
elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo
(secondo cui, data l’esigenza di garantire che la
liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane, tuttavia,
in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene,
in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della

singola

fattispecie, ravvisi elementi

concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Casa. n. 18617 del 2001;
Casa. n. 17922 del 2010);
che, d’altra parte, la Corte d’appello, pur affermando
di tenere conto del disposto dell’art.

-9-

2-bis della legge

ricorrenti, salvo quanto si dirà in sede di esame del

n. 89 del 2001,

ratione temporis non applicabile al caso

specie, ha

tuttavia proceduto alla liquidazione

di

dell’indennizzo adottando un criterio già presente nella
giurisprudenza di legittimità, e ritenuto congruo, con

pregiudizio sofferto;
che il criterio adottato dal giudice di merito appare,
infatti,

in

linea con le soglie dettate tanto dalla

giurisprudenza Europea quanto da quella nazionale, in cui
si è ritenuto che il criterio di 500,00 euro per anno di
ritardo è congruo in relazione alle procedure fallimentari
(di recente, Cass. n. 16311 del 2014);
che non vale ad inficiare la valutazione della Corte
d’appello il rilievo secondo cui, pur avendo la stessa
affermato di voler valorizzare il criterio del valore
della posta in gioco, ha poi finito per liquidare un
indennizzo uguale pur a fronte di creditori ammessi al
passivo per crediti significativamente differenti, proprio
perché la Corte territoriale non ha applicato la nuova
disciplina ma, in base ai criteri desumibili dalla
giurisprudenza di legittimità, ha inteso solo discostarsi,
in senso riduttivo, dall’ordinario criterio di
liquidazione;
che il secondo motivo di ricorso è infondato;
che la continuità della posizione processuale degli

riferimento alle procedure fallimentari, a ristorare il

eredi intervenuti rispetto a quella dei rispettivi danti
causa prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., nel caso di
specie dei ricorrenti Cipolla Marina, Rizzello Maria
Addolorata, Rizzello Vittorio e Rizzello Saverio, non

tradotto in norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001,
non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a
carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni
riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto
danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi
modulabili in relazione al concreto patema subito, il
quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse
alla sua rapida conclusione (principio oramai consolidato:
vedi, da ultimo, Cass. n. 10517 del 2013; Cass. n. 995 del
2012);
essendo

presupposto

ineliminabile

per

la

legittimazione a far valere l’equa riparazione l’incidenza
che la non congrua durata del giudizio abbia su chi di
quel giudizio sia chiamato a far parte, non vi è luogo a
discorrere di equa riparazione sin tanto che il chiamato
all’eredità non sia, quanto meno, evocato in riassunzione,
atteso che fino a quel momento può mancare addirittura la
prova dell’assunzione – per accettazione espressa o per
facta concludentla – della stessa qualità di erede (Cass.
n. 4003 del 2014);

toglie che il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e

che tale principio risulta estensibile anche al caso
in cui il procedimento presupposto sia una procedura
fallimentare in quanto, senza una espressa manifestazione
in tal senso da parte dell’erede, alcuna prova può essere

causa della lungaggine processuale;
che il terzo motivo di ricorso è, invece, fondato
nella parte in cui si contesta che ad alcuni ricorrenti
sia stato liquidato un indennizzo pari al valore del
credito da ciascuno di essi azionato nella procedura
concorsuale;
che,

infatti, esclusa la diretta applicabilità della

nuova normativa di cui all’art.

2-bis della legge n. 89

del 2001, introdotto dal decreto-legge n. 83 del 2012,
deve rilevarsi che la Corte d’appello, pur potendo – come
prima rilevato – discostarsi dagli ordinari criteri di
liquidazione, ha attuato una liquidazione che assume come
vincolante e come limite massimo il valore del credito
ammesso al passivo, mentre, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, la maggiore o minore
entità della posta in gioco può incidere sulla misura
dell’indennizzo, consentendo al giudice di scendere anche
al di sotto della soglia minima (Casa. n. 12937 del 2012),
ma non anche di parificare la liquidazione al valore della
causa in cui si è verificata la violazione;

– 12 –

data del patema d’animo sofferto in proprio dallo stesso a

che, dunque, accolto il primo motivo di ricorso
limitatamente alla ingiusta durata dalla procedura,
rigettato il secondo motivo, accolto altresì il terzo
motivo, il decreto impugnato deve essere cassato in

che, tuttavia, non apparendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.
civ.;
che, infatti, accertata la irragionevole durata della
procedura fallimentare in anni tre per la ricorrente
Rizzello Maria Addolorata, avendo ella agito nella qualità
di erede di Massafra Antonio Angelo, deceduto nel 2003; in
anni cinque per i germani Rizzano, avendo essi agito
quali eredi di Rizzello Vincenzo, deceduto nel 2005, alla
liquidazione dell’indennizzo può procedersi applicando il
criterio adottato dalla Corte territoriale, depurato
dall’erroneo abbattimento operato con riferimento al
valore della posta in gioco;
che il Ministero della giustizia deve quindi essere
condannato al pagamento, in favore della ricorrente
Rizzello Maria Addolorata, nella qualità di erede di
Màssafra Antonio Angelo, della somma di euro 1.500,00, nei
limiti della quota ereditaria, in favore dei ricorrenti
Rizzello Vittorio e Rizzellà. Saverio, nella qualità di

– 13 –

relazione alle censure accolte;

eredi di Rizzello Vincenzo, della somma di euro 2.500,00
da dividersi in proporzione delle rispettive quote
ereditarie, oltre agli interessi legali dalla domanda al
• soddisfo, ferme le statuizioni del decreto impugnato in

relativa alla distrazione;
che il ricorso di Cipolla Marina, quale erede di
Contaldi Luigi, va invece rigettato in quanto, pur
riducendo la durata ragionevole della procedura
fallimentare a sette anni, deve rilevarsi che alla data
del decesso del suo dante causa (29 gennaio 2001), la
procedura stessa, a far data dalla insinuazione al
passivo, aveva avuto una durata non eccedente quella
ragionevole;
che il Ministero deve essere condannato altresì alla
rifusione delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione;
cassa

il decreto impugnato in relazione alle censure

accolte e, decidendo nel merito,

condanna

il Ministero

della giustizia al pagamento, in favore della ricorrente
Rizzello Maria Addolorata, nella qualità di erede di
Màssafra Antonio Angelo, della somma di euro 1.500,00, nei
limiti della quota ereditaria, e in favore dei ricorrenti

– 14 –

ordine alle spese del giudizio, ivi compresa quella

Rizzello Vittorio e Rizzelli Saverio, nella qualità

di

eredi di Rizzello Vincenzo, della somma di euro 2500,00,
in proporzione delle rispettive quote ereditarie, oltre
agli interessi legali dalla data dalla domanda al saldo,

merito; rigetta il ricorso di Cipolla Marina, quale erede
di Contaldi Luigi;

condanna il Ministero della giustizia

alla rifusione delle spese giudizio di cessazione, in euro
700,00 per compensi, oltre agli accessori di legge e alle
spese forfettarie.
Così deciso in Roma,

nella camera di consiglio della

Vi – 2 Sezione civile della Corte suprema di cessazione,

ferme le statuizioni in ordine alle spese del giudizio di

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