Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10240 del 19/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10240 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

sentenza con motivazione
senrplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FILONI

Giacinto e FILONI Grazia, in proprio

e

qualità di eredi di Filoni Giuseppe Salvatore,

nella
Z OC C O

Donato, ZOCCO Antonio, rappresentati e difesi, per procura
speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato Cosimo
Luperto, elettivamente domiciliati in Roma, via dei
Gracchi n. 39, presso Annamaria Federico;
ricorrenti
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro

pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale
dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

2101

vi

Data pubblicazione: 19/05/2015

-

controricorrente –

e nei confronti di
MIGGIANO Giuseppa, in qualità di erede di Filoni Giuseppe
Salvatore;

avverso il decreto della Corte d’Appello di Potenza,
depositato in data 11 giugno 2013, n. 662 del 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19 marzo 2015 dal Presidente relatore Dott.
Stefano Petitti.
Ritenuto che, con ricorso depositato in data 8 maggio

2012 presso la Corte d’appello di Potenza, MIGGIANO
Giuseppa, FILONI Giacinto, FILONI Grazia, in proprio e
nella qualità di eredi di Filoni Giuseppe Salvatore, ZOCCO
Antonio e ZOCCO Donato chiedevano la condanna dal
Ministero della giustizia al pagamento del danno non
patrimoniale derivato dalla irragionevole durata della
procedura concernente il fallimento della Venturi
Investimenti S.p.A. (già Me.Fi S.p.A.), iniziata con
dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di
Lecce in data 11 ottobre 1993 e non ancora conclusasi alla
data della domanda;
che l’adita Corte d’appello, stimata come ragionevole
una durata di nove anni in considerazione della
complessità della stessa, riteneva che fosse

-2-

– intimata –

indennizzabile un ritardo di 8

anni,

tenuto conto che

l’inizio dal procedimento doveva essere individuato nella
data di insinuazione al passivo, e, facendo applicazione
del criterio di 500,00 euro per ogni anno di ritardo,

un indennizzo di euro 4.000,00 ciascuno, e in favore dà
bliggiano Giuseppa, Filoni Giacinto e Filoni Grazia, nella
qualità, di euro 500,00 nei limiti della quota ereditaria;
che, in applicazione della disposizioni

modificative

della legge n. 89 del 2001, introdotte dal decreto-legge
n. 83 del 2012, l’adita

Corte liquidava, invece, un

indennizzo di euro 1.731,00 in favore di Filoni Grazia, di
euro 657,00 in favore di Zocco Antonio e di euro 1.603,00
in favore di Zocco Donato, oltre interessi legali dalla
data di presentazione della domanda al soddisfo, sul
presupposto che l’indennizzo non dovesse superare il
valore della causa, e quindi dovesse essere pari
all’importo del credito azionato da ciascun ricorrente
nella procedura fallimentare;
che avverso questo decreto FILONI Giacinto e FILONI
Grazia, in proprio e nella qualità di eredi di Filoni
Giuseppe Salvatore, ZOCCO Donato, ZOCCO Antonio hanno
proposto ricorso, affidato a quattro motivi;

-3-

liquidava in favore di Miggiano Giuseppa e Filoni Giacinto

che

l’intimato

Ministero

ha

resistito

con

controricorso, mentre l’intimata Màggiano Giuseppa non ha
svolto difese;
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione

sentenza;
che con il primo motivo i ricorrenti denunciano
violazione degli artt. 2 e es. della legge n. 89 del
2001, dell’art. 111 Cost., dell’art. 1 della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. l, della
CEDU, dell’art. 2056 cod. civ., nonché vizio di
motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti
decisivi, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia
determinato la durata ragionevole della procedura
fallimentare presupposta in nove anni, in contrasto con le
indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo
cui la detta durata può essere al massimo di sette anni;
che la Corte d’appello, ad avviso dei ricorrenti, non
avrebbe neanche illustrato le ragioni specifiche che nel
caso esaminato inducevano a ritenere ragionevole una
durata di nove anni, e non avrebbe considerato che dalla
relazione della curatrice fallimentare emergevano elementi
nel senso della non complessità della procedura;
che l’adita Corte non avrebbe, poi, tenuto conto, ai
fini del computo della durata complessiva della procedura,

-4-

della motivazione semplificata nella redazione della

della data di deposito della sentenza dichiarativa di
fallimento, individuando, invece, il momento iniziale
della procedura nella data della domanda di insinuazione
allo stato passivo dei ricorrenti;
si

deduce violazione

dell’art. 110 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione
contraddittoria e omesso esame su fatti decisivi, in
relazione alla posizione dei ricorrenti Filoni Giacinto e
Filoni Grazia, in qualità di eredi di Filoni Giuseppe
Salvatore, per i quali viene fatta cessare la durata non
ragionevole del processo alla data del decesso di
quest’ultimo (25 marzo 2004);
che con il terzo motivo i ricorrenti denunciano altra
violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, degli
artt. 2056, 1223 e 1226 cod. civ., dell’art. 1 della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. l, della
CEDU, dell’art. 11 delle preleggi, dell’art. 55 del
decreto legge n. 83 del 2012 e dell’art. 2-bis della legge
n. 134 del 2012, nonché vizio di motivazione
contraddittoria e omesso esame su fatti decisivi,
censurando il decreto impugnato per avere la Corte
d’appello fatto applicazione della disposizione da ultimo
citata – la quale effettivamente prevede che l’indennizzo
non possa superare il valore della causa in relazione alla
quale viene chiesto -, sebbene la stessa sia applicabile

-5-

che con il secondo motivo

ai soli ricorsi depositati dopo l’entrata in vigore della
legge di conversione;
che con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la
violazione dell’art. 3 Cost., degli artt. 2056, 1223 e

SU fatti

decisivi,

per avere la adita Corte liquidato

l’indennizzo tenendo conto del valore dei crediti ammessi
al passivo e dunque in misura non omogenea per tutti i
ricorrenti, nonché vizio di motivazione sul punto;
che all’esame dei motivi occorre premettere che la
presente controversia non è soggetta, ratione

temporis,

all’applicazione delle disposizioni introdotte dal d.l. n.
83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n.
134 del 2012, applicabili ai ricorsi depositati a
decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello dà
entrata in vigore della legge di conversione;
che, del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012
non può neanche riconoscersi natura di norme di
interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per
alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della
giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
non vi è nulla nel decreto-legge n. 83 del 2012 che possa
indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso
attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva,

-6-

1226 cod. civ., nonché vizio di motivazione e omesso esame

avendo anzi espressamente dettato una specifica previsione
per la entrata in vigore della nuova disciplina;
che, tanto premesso, il primo motivo di ricorso è
fondato per quanto di ragione;

(Case. n. 8468 del 2012), che la durata ragionevole delle
procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni
per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a
sette anni, allorquando il procedimento si presenti
notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in
presenza di un numero elevato di creditori, di una
particolare natura o situazione giuridica dei beni da
liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.),
della proliferazione di giudizi connessi alla procedura,
ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata
dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle
procedure concorsuali interdipendenti;
che, all’evidenza, la Corte d’appello si è discostata
dall’indicato orientamento ritenendo ragionevole una
durata di nove anni, adducendo a sostegno di tale
valutazione elementi che già concorrono a determinare la
complessità della procedura e a considerare ragionevole la
durata di sette anni in luogo di cinque anni;

che il motivo è invece infondato nella parte in cui i
ricorrenti pretendono di far risalire l’inizio della

-7-

che, invero, questa Corte ha avuto modo di affermare

procedura rilevante ai fini dell’equa riparazione alla
dichiarazione di fallimento, atteso che correttamente la
Corte d’appello ha fatto riferimento alla data della
domanda di insinuazione al passivo (Cass. n. 2207 del

che il motivo è altresì infondato quanto ai parametri
relativi all’entità degli indennizzi accordati ai
ricorrenti, salvo quanto si dirà in sede di esame del
terzo motivo;
che, invero, questa Corte ha già avuto modo di
chiarire che, se è vero che il giudice nazionale deve, in
linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione
elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo
(secondo cui, data l’esigenza di garantire che la
liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a

Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane, tuttavia,
in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene,
in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dai quali

-8-

2010; Cass. n. 20732 del 2011);

deve dar conto in motivazione (Cass. n. 18617 del 2001;
Caso. n. 17922 del 2010);
che, d’altra parte, la Corte d’appello, pur affermando
di tenere conto del disposto dell’art. 2-bis dalla legge

di specie, ha tuttavia proceduto alla liquidazione
dell’indennizzo adottando un criterio già presente nella
giurisprudenza di legittimità, e ritenuto congruo, con
riferimento alle procedure fallimentari, a ristorare il
pregiudizio sofferto;
che il criterio adottato dal giudice di merito appare,
infatti, in linea con le soglie dettate tanto dalla
giurisprudenza Europea quanto da quella nazionale,

in cui

si è ritenuto che il criterio di 500,00 euro per ano di
ritardo è congruo in relazione alle procedure fallimentari
(di recente, Cass. n. 16311 del 2014);
che non vale ad inficiare la valutazione della Corte
d’appello il rilievo secondo cui, pur avendo la stessa
affermato di voler valorizzare il criterio del valore
della posta in gioco, ha poi finito per liquidare un
indennizzo uguale pur a fronte di ereditari ammessi al
passivo per crediti significativamente differenti, proprio
perché la Corte territoriale non ha applicato la nuova
disciplina ma, in base ai criteri desumibili dalla
giurisprudenza di legittimità, ha inteso solo discostarsi,

-9-

n. 89 del 2001, ratione temporis non applicabile al caso

in

senso

riduttivo,

dall’ordinario

criterio

di

liquidazione;
che il secondo motivo di ricorso è infondato;
che la continuità della posizione processuale degli

prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., nel caso di specie
dei ricorrenti Filoni Giacinto e Filoni Grazia, non toglie
che il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e
tradotto in norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001,
non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a
carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni
riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto
danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi
modulabili in relazione al concreto patema subito, il
quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse
alla sua rapida conclusione (principio oramai consolidato:
vedi, da ultimo, Cass. n. 10517 del 2013; Cass. n. 995 del
2012);
che, dunque, essendo presupposto ineliminabile per la
legittimazione a far valere l’equa riparazione l’incidenza
che la non congrua durata del giudizio abbia su chi di
quel giudizio sia chiamato a far parte, non vi è luogo a
discorrere di equa riparazione sin tanto che il chiamato
all’eredità non sia, quanto meno, evocato in riassunzione,
atteso che fino a quel momento può mancare addirittura la

eredi intervenuti rispetto a quella dal dante causa

prova dell’assunzione – per accettazione espressa o per
facta concludentia

della stessa qualità di erede (Cass.

n. 4003 del 2014);
che tale principio risulta estensibile anche al caso

fallimentare in quanto, senza una espressa manifestazione
in tal senso da parte dell’erede, alcuna prova può essere
data del patema d’animo sofferto in proprio dallo stesso a
causa della lungaggine processuale;
che il terzo motivo di ricorso à, invece, fondato
nella parte in cui si contesta che ad alcuni ricorrenti
sia stato liquidato un indennizzo pari al valore del
credito da ciascuno di essi azionato nella procedura
concorsuale;
che, infatti, esclusa la diretta applicabilità della
nuova normativa di cui all’art. 2-bis della legge n. 89
del 2001, introdotto dal decreto-legge n. 83 del 2012,
deve rilevarsi che la Corte d’appello, pur potendo – come
prima rilevato – discostarsi dagli ordinari criteri di
liquidazione, ha attuato una liquidazione che assume come
vincolante e come limite massimo il valore del credito
ammesso al passivo, mentre, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, la maggiore o minore
entità della posta in gioco può incidere sulla misura
dell’indennizzo, consentendo al giudice di scendere anche

in cui il procedimento presupposto sia una procedura

al di sotto della soglia minima (Cass. n. 12937 del 2012),
ma non anche di parificare la liquidazione al valore della
causa in cui si è verificata la violazione;
che il quarto motivo di ricorso rimane assorbito

che, dunque, accolto il primo motivo di ricorso
limitatamente alla ingiusta durata della procedura,
rigettato il secondo motivo, accolto altresì il terzo
motivo, assorbito il quarto, il decreto impugnato deve
essere cassato in relazione alle censure accolte;
che, tuttavia, non apparendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.
civ.;
che, infatti, accertata la irragionevole durata della
procedura fallimentare

in anni

dieci per i ricorrenti

tutti, e in tre anni quanto alla posizione di Filoni
Giuseppe Salvatore, deceduto nel 2004, dante causa dei
ricorrenti Filoni Giacino e Filoni Grazia, alla
liquidazione dell’indennizzo può procedersi applicando il
criterio adottato dalla Corte territoriale, depurato
dall’erroneo abbattimento operato con riferimento al
valore della posta in gioco;
che il Ministero della giustizia deve quindi essere
condannato al pagamento, in favore dei ricorrenti Filoni

– 12 –

dall’accoglimento del precedente;

Giacinto e Filoni Grazia, in proprio, e di Zocco Donato e
Zocco Antonio, della somma di euro 5.000,00 ciascuno e, in
favore di Filoni Giacinto e Filoni Grazia, nella qualità
di eredi di Filoni Giuseppe Salvatore, della somma di euro
proporzione

delle rispettive quote

ereditarie, oltre agli interessi legali dalla domanda al
soddisfo, ferme le statuizioni del decreto impugnato in
ordine alle

spese

del

giudizio, ivi

compresa quella

relativa alla distrazione;
che il Ministero deve essere condannato altresì alla
rifusione delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte accoglie il
cassa

ricorso per quanto di ragione;

il decreto impugnato in relazione alle censure

accolte e, decidendo nel merito,

condanna

il Ministero

della giustizia al pagamento, in favore di ciascuno dei
ricorrenti Filoni Giacinto e Filoni Grazia, in proprio,
Zocco Donato e Zocco Antonio, della somma di euro 5.000,00
e, in favore dei ricorrenti Filoni Giacinto e Filoni
Grazia, nella qualità di eredi di Filoni Giuseppe
Salvatore, della somma di euro 1.500,00, in proporzione
delle rispettive quote ereditarie, oltre agli interessi
legali dalla data della domanda al saldo, ferme le
statuizioni in ordine alle spese del giudizio di merito;

– 13 –

1.500,00, in

condenna altresì il Ministero alla rifusione delle spese
giudizio di cessazione, in euro 700,00 per compensi, oltre
agli accessori di legge e alle spese forfettarie.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della

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