Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10238 del 19/05/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 6 Num. 10238 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

sentenza con motivazione
sempecata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

MAGLIE Edoardo Donato, MORCIANO Fernanda, ABATE Amedeo,
rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del
ricorso, dall’Avvocato Cosimo Luperto, elettivamente
domiciliati in Roma, via dei Gracchi n. 39, presso l’Avv.
Annamaria Federico;
ricorrenti
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA,

in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale
dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– controrícorrente –

Data pubblicazione: 19/05/2015

avverso il decreto dalla Corte d’Appello di Potenza,
depositato in data 11 giugno 2013,

n. 661 del 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19 marzo 2015 dal Presidente relatore Dott.

Ritenuto che, con ricorso depositato in data 8 maggio
2012 presso la Corte d’appello di Potenza, ABATE Amedeo,
MAGLIE Edoardo Donato e MORCIANO Fernanda chiedevano la
condanna dal Ministero della giustizia al pagamento del
danno non patrimoniale derivato dalla irragionevole durata
della procedura concernente il fallimento della Venturi
Investimenti S.p.A. (già Me.Fi S.p.A.), iniziata con
dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di
Lecce in data 11 ottobre 1993 e non ancora conclusasi alla
data della domanda;
che l’adita Corte d’appello, stimata come ragionevole
una durata di nove anni in considerazione della
complessità della stessa, riteneva che fosse
indennizzabile un ritardo di 8 anni, tenuto conto che
l’inizio del procedimento doveva essere individuato nella
data di insinuazione al passivo, e liquidava ai ricorrenti
MAGLIE Edoardo Donato, MORCIANO Fernanda, ABATE Amedeo un
indennizzo di euro 4.000,00 ciascuno, determinato sulla
base del criterio di 500,00 euro per ogni anno di ritardo
in ragione dell’atteggiamento quasi contemplativo degli

-2-

Stefano Petitti.

stessi, nonché del disposto dell’art. 2-bis della legge n.
89 del 2001, come introdotto dalla legge n. 134 del 2012,
in base al quale l’indennizzo non può essere,

in

ogni

caso, superiore al valore della causa, e, dunque, nel caso

dei ricorrenti;
che avverso questo decreto i ricorrenti in epigrafe
indicati hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi;
che l’intimato Ministero ha resistito con
controricorso.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo i ricorrenti deducono
violazione o falsa applicazione degli artt. 2 e ss. della
legge n. 89 del 2001, dell’art. 2056 cod. civ., dell’art.
111 Costituzione e dell’art. 6.1. della CEDU, nonché vizio
di motivazione omessa e contraddittoria ed omesso esame su
fatti decisivi, dolendosi del fatto che la Corte d’appello
abbia determinato la durata ragionevole della procedura
fallimentare presupposta in nove anni, in contrasto con le
indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo
cui la detta durata può essere al massimo di sette anni;
che la Corte d’appello, ad avviso dei ricorrenti non
avrebbe neppure adeguatamente illustrato le ragioni

-3-

di specie, all’importo del credito azionato da ciascuno

specifiche che nel caso esaminato inducevano a ritenere
ragionevole una durata di nove anni, né avrebbe
considerato che dalla relazione dalla curatrice
fallimentare emergevano elementi nel senso della non

che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano
altra violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001,
dell’ art. 2056 cod. civ., dell’art. 1 della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. l, della
CEDU e dell’art. 111 Costituzione, nonché vizio di
motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti
decisivi, censurando il decreto impugnato per essersi la
Corte d’appello discostata dai parametri relativi
all’entità degli

indennizzi

che la giurisprudenza della

Suprema Corte di Cessazione ha enucleato (e che prevedono
un indennizzo non inferiore a 750,00 euro per ciascuno dei
primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e a euro
1.000,00 per ciascuno di quelli successivi), avendo
riconosciuto ai ricorrenti un indennizzo pari a 500 euro
per ogni anno di ritardo;
che con il terzo motivo i ricorrenti denunciano altra
violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, degli
artt. 2056, 1223 e 1226 cod. civ., dell’art. l della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. l, della
CEDU, dell’art. 11 delle preleggi, dell’art. 55 D.L.

-4-

complessità della procedura;

83/2012 e dell’art.

2-bis della legge n. 134 del 2012,

nonché vizio di motivazione contraddittoria e omesso esame
su fatti decisivi, censurando il decreto impugnato per
avere la Corte d’appello fatto applicazione della

prevede che l’indennizzo non possa superare il valore
della causa in relazione alla quale

viene

chiesto –

sebbene la stessa sia applicabile ai soli ricorsi
depositati dopo l’entrata in vigore della legge di
conversione;
che all’esame dei motivi occorre premettere che la
presente controversia non è soggetta,

ratione temporis,

all’applicazione delle disposizioni introdotte dal d.l. n.
83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n.
134 del 2012, applicabili ai ricorsi depositati a
decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di
entrata in vigore della legge di conversione;
che, del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012
non può neanche riconoscersi natura di norme di
interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per
alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della
giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
non vi è nulla nel decreto-legge n. 83 del 2012 che possa
indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso

-5-

disposizione da ultimo citata – la quale effettivamente

attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva,
avendo, anzi, espressamente dettato una specifica
previsione per l’ entrata in vigore della nuova
disciplina;

fondato per quanto di ragione;
che, invero, questa Corta ha avuto modo di affermare
(Cass. n. 8468 del 2012) che la durata ragionevole delle
procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni
per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a
sette anni allorquando il procedimento si presenti
notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in
presenza di un numero elevato di creditori, di una
particolare natura o situazione giuridica dei beni da
liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.),
della proliferazione di giudizi connessi alla procedura,
ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata
dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle
procedure concoxsuali interdipendenti;
che, nel caso di specie, la Corte d’appello si è
discostata dall’indicato orientamento ritenendo
ragionevole una durata di nove anni per via della
“complessità del caso”; elemento – questo – che già
concorre a considerare ragionevole la durata di sette anni
in luogo di cinque;

-6-

che, tanto premesso, il primo motivo di ricorso è

che il motivo è invece infondato nella parte in cui i
ricorrenti pretendono di far risalire l’inizio della
procedura rilevante ai fini dell’equa riparazione alla
dichiarazione di fallimento, atteso che correttamente la

domanda di insinuazione al passivo (Cass. n. 2207 del
2010; Cass. n. 20732 del 2011);
che il secondo motivo di ricorso è infondato;
che, invero, questa Corte ha già avuto modo di
chiarire che, se è vero che il giudice nazionale deve, in
linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione
elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo
(secondo cui, data l’esigenza di garantire che la
liquidazione sia satisf attiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane, tuttavia,
in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene,
in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. n. 18617 del 2001;
Cass. n. 17922 del 2010);

-7-

Corte d’appello ha fatto riferimento alla data della

che il criterio adottato dal giudice di marito appare
in linea con le soglie dettate tanto dalla giurisprudenza
Europea quanto da quella nazionale, in cui si è ritenuto
che il criterio di 500,00 euro per anno di ritardo è

16311 del 2014);
che non vale ad inficiare la valutazione della Corte
d’appello il rilievo secondo cui, pur avendo la stessa
affermato di voler valorizzare il criterio del valore
della posta in gioco, ha poi finito per liquidare un
indennizzo uguale pur a fronte di creditori ammessi al
passivo per crediti significativamente differenti, proprio
perché la Corte territoriale non ha applicato la nuova
disciplina ma, in base ai criteri desumibili dalla
giurisprudenza di legittimità, ha inteso solo discostarsi,
in senso riduttivo, dall’ordinario criterio di
liquidazione;
che il terzo motivo di ricorso è infondato;
che, invero, la Corte d’appello, pur affermando di
tenere conto del disposto dell’art. 2-bis della legge n.
89 del 2001,

ratione temporis non applicabile al caso di

specie, ha tuttavia proceduto alla liquidazione
dell’indennizzo adottando un criterio già presente nella
giurisprudenza di legittimità, e ritenuto congruo, con

-8-

congruo in relazione alle procedure fallimentari (Cass. n.

riferimento alle procedure fallimentari, a ristorare il
pregiudizio sofferto;
che, dunque, accolto il primo motivo di ricorso e
rigettati il secondo e il terzo, il decreto impugnato deve

che, tuttavia, non apparendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.
civ.;
che, infatti, accertata la irragionevole durata della
procedura fallimentare in anni 10 (eccedenti i 7 previsti
per procedure fallimentari di particolare complessità
quale quella in oggetto, stante l’altissimo numero di
domande di ammissione allo stato passivo e la pluralità di
azioni giudiziarie intraprese nell’interesse del
fallimento per il recupero di crediti), alla liquidazione
dell’indennizzo può procedersi applicando il criterio
adottato dalla Corte territoriale, determinandone
l’ammontare, in favore di ciascun ricorrente, in euro
5.000,00;
che il Ministero della giustizia deve quindi essere
condannato al pagamento, in favore di ciascun ricorrente,
della somma di euro 5.000,00, oltre agli interessi legali
dalla domanda al soddisfo, ferma la statuizione relativa

-9-

essere cassato;

alle spese del giudizio di merito, ivi compresa la
distrazione in favore del difensore antistatario;
che il Ministero deve essere condannato altresì alla
rifusione delle spese del giudizio di cassazione •

PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta
il secondo e il terzo;

cassa

il decreto impugnato in

relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito,
condanna

il Ministero della giustizia al pagamento, in

favore di ciascuno dei ricorrenti, della somma di euro
5.000,00, oltre agli interessi legali dalla data dalla
domanda al saldo, ferme le statuizioni in ordine alle
spese del giudizio di merito;
Ministero alla rifusione delle

condanna
spese

altresì il
giudizio di

cassazione, in euro 700,00 per compensi, oltre agli
accessori di legge e alle spese forfettarie.
Così deciso in Rama, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

liquidate come da dispositivo.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA