Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10236 del 19/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10236 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
PASCA Maria Antonietta, in proprio e nella qualità di
erede di Cacciatore Giuseppina Vincenza, MAGGIULLI Anna,
nella qualità di erede di Maggiulli Antonio Italo,
MAGGIULLI Maria Marcella, MAGGIULLI Vincenzo e MAGGIULLI
Luigi, in proprio e nella qualità di eredi di Màggiulli
Antonio Italo, ASSAIVE Pasquale, rappresentati e difesi,
per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato
Cosimo Luperto, elettivamente domiciliati in Roma, via dei
Gracchi n. 39, presso Annamaria Federico;
ricorrenti contro

«5.

Data pubblicazione: 19/05/2015

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

avverso il decreto della Corte d’Appello di Potenza,
depositato in data 3 aprile 2013, n. 483 del 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19 marzo 2015 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti.
Ritenuto che, con ricorso depositato in data 29 marzo
2012 presso la Corte d’appello di Potenza, PASCA Maria
Antonietta, in proprio e nella qualità di erede di
Cacciatore Giuseppina Vincenza, MAGGIULLI Anna, nella
qualità di erede di Meggiulli Antonio Italo, MAGGIULLI
Maria Marcella, MAGGIULLI Vincenzo e MAGGIULLI Luigi, in
proprio e nella qualità di eredi di Maggiulli Antonio
Italo e ASSAIVE Pasquale chiedevano la condanna del
Ministero della giustizia al pagamento del danno non
patrimoniale derivato dalla irragionevole durata della
procedura concernente il fallimento della Venturi
Investimenti S.p.A. (già Me.Fi S.p.A.), iniziata con
dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di
Lecce in data 11 ottobre 1993 e non ancora conclusasi alla
data della domanda;

-2-

– controri corrente –

che l’adita Corte d’appello, stimata come ragionevole
una durata di nove anni, riteneva che fosse indennizzabile
ai ricorrenti un ritardo di otto anni, e di sette anni in
riferimento alla data di decesso di Maggiulli Antonio

complessità della controversia, del valore della stessa,
dell’atteggiamento “contemplativo” dei ricorrenti, della
data di insinuazione al passivo, liquidava un indennizzo
di euro 1.549,00 in favore di Assalve Pasquale, di euro
3.500,00 in favore di Maggiulli Anna, Maggiulli Luigi,
Maggiulli Maria ~cella e Maggiulli Vincenzo, nella
qualità di eredi di Maggiulli Antonio Italo, nei limiti
della loro quota ereditaria, di euro 845,00 in favore di
Maggiulli Maria ~cella e di euro 3.517,00 in favore di
Pasca Maria Antonietta, oltre interessi legali dalla data
della domanda al soddisfo, sul presupposto che, in
applicazione delle disposizioni modificative della legge
n. 89 del 2001, introdotte dal decreto-legge n. 83 del
2012, l’indennizzo non dovesse superare il valore della
causa;
che l’adita Corte liquidava, invece, ai ricorrenti
Maggiulli Luigi e Maggiulli Vincenzo un indennizzo di euro
4.000,00 pro capite, determinato sulla base del criterio
di 500,00 euro per ogni anno di ritardo;

Italo, avvenuto nel 2011, e, tenuto conto della

che la Corte distrettuale rigettava invece la domanda
della ricorrente Pasca Maria Antonietta, erede di
Cacciatore Giuseppina Vincenza, il cui decesso era
avvenuto in un momento (28 ottobre 2000) in cui la durata

ragionevolezza;
che avverso tale decreto i ricorrenti in epigrafe
indicati hanno proposto ricorso, affidato a quattro
motivi;
che

l’intimato

Ministero

ha

resistito

con

controricorso.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo i ricorrenti denunciano
violazione degli artt. 2 e ss. della legge n. 89 del
2001, dell’art. 111 Cost., dell’art. l della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. l, della
CEDU, dell’art. 2056 cod. civ., nonché vizio di
motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti
decisivi, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia
determinato la durata ragionevole della procedura
fallimentare presupposta in nove anni, in contrasto con le
indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo
cui la detta durata può essere al massimo di sette anni;

-4-

della procedura non aveva ancora superato la soglia di

che la Corte d’appello, ad avviso dei ricorrenti, non
avrebbe neanche illustrato le ragioni specifiche che nel
caso esaminato inducevano a ritenere ragionevole una
durata di nove anni, e non avrebbe considerato che dalla

nel senso della non complessità della procedura;
che l’adita Corte non avrebbe, poi, tenuto conto, ai
fini del computo della durata complessiva della procedura,
della data di deposito della sentenza dichiarativa di
fallimento, individuando, invece, il momento iniziale
della procedura nella data della domanda di insinuazione
allo stato passivo dei ricorrenti;
che, inoltre, la Corte d’appello si sarebbe discostata
dai parametri relativi all’entità degli indennizzi che la
giurisprudenza di questa Corte ha enucleato (e che
prevedono un indennizzo non inferiore a 750,00 euro per i
primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e a
1.000,00 per ciascuno di quelli successivi), avendo
riconosciuto ai ricorrenti Maggiulli Luigi e Maggiulli
Vincenzo un indennizzo pari a 500,00 euro per ogni anno di
ritardo e agli altri ricorrenti un indennizzo pari
all’importo del credito dallo stesso azionato nella
procedura concorsuale;
che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione dell’art. 110 cod. proc. civ., nonché vizio di

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relazione del curatore fallimentare emergevano elementi

motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti
decisivi, in relazione alla posizione della ricorrente
Pasca Maria Antonietta, in qualità di erede di Cacciatore
Giuseppina Vincenza, sostenendo che erroneamente la Corte

quest’ultima la durata della procedura fallimentare
risultava non ancora irragionevole, senza considerare che
la procedura fallimentare è permeata dall’impulso
officioso e che quindi gli eredi dei creditori ammessi al
passivo non avrebbero potuto presentare alcuna istanza di
ammissione al passivo;
che con il terzo motivo i ricorrenti denunciano altra
violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, degli
artt. 2056, 1223 e 1226 cod. civ., dell’art. l della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. l, della
CEDU, dell’art. 11 delle preleggi, dell’art. 55 del
decreto legge n. 83 del 2012 e dell’art.

2-bis della legge

n. 134 del 2012, nonché vizio di motivazione
contraddittoria e omesso esame su fatti decisivi,
censurando il decreto impugnato per avere la Corte
d’appello fatto applicazione della disposizione da ultimo
citata – la quale effettivamente prevede che l’indennizzo
non possa superare il valore della causa in relazione alla
quale viene chiesto -, sebbene la stessa sia applicabile

d’appello avrebbe ritenuto che alla data del decesso di

ai soli ricorsi depositati dopo l’entrata in vigore della
legge di conversione;
che con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la
violazione dell’art. 3 Cost., degli artt. 2056, 1223 e

su fatti decisivi, per avere la adita Corte liquidato
l’indennizzo tenendo conto del valore dei crediti ammessi
al passivo e dunque in misura non omogenea per tutti i
ricorrenti, nonché vizio di motivazione sul punto;
che all’esame dei motivi occorre premettere che la
presente controversia non è soggetta, ratione

temporis,

all’applicazione delle disposizioni introdotte dal d.l. n.
83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n.
134 del 2012, applicabili ai ricorsi depositati a
decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di
entrata in vigore della legge di conversione;
che, del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012
non può neanche riconoscersi natura di norme di
interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per
alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della
giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
non vi è nulla nel decreto-legge n. 83 del 2012 che possa
indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso
attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva,

-7-

1226 cod. civ., nonché vizio di motivazione e omesso esame

avendo anzi espressamente dettato una specifica previsione
per la entrata in vigore della nuova disciplina;
che, tanto premesso, il primo motivo di ricorso è
fondato per quanto di ragione;

(Cass. n. 8468 del 2012), che la durata ragionevole delle
procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni
per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a
sette anni, allorquando il procedimento si presenti
notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in
presenza di un numero elevato di creditori, di una
particolare natura o situazione giuridica dei beni da
liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.),
della proliferazione di giudizi connessi alla procedura,
ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata
dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle
procedure concorsuali interdipendenti;
che, all’evidenza, la Corte d’appello si è discostata
dall’indicato orientamento ritenendo ragionevole una
durata di nove anni, adducendo a sostegno di tale
valutazione elementi che già concorrono a determinare la
complessità della procedura e a considerare ragionevole la
durata di sette anni in luogo di cinque anni;
che il motivo è invece infondato nella parte in cui i
ricorrenti pretendono di far risalire l’inizio della

-8-

che, invero, questa Corte ha avuto modo di affermare

procedura rilevante ai fini dell’equa riparazione alla
dichiarazione di fallimento, atteso che correttamente la
Corte d’appello ha fatto riferimento alla data della
domanda di insinuazione al passivo (Casa. n. 2207 del

che il motivo è altresì infondato quanto ai parametri
relativi all’entità dell’indennizzo accordato ai
ricorrenti Maggiulli Luigi e Maggiulli Vincenzo;
che, invero, questa Corte ha già avuto modo di
chiarire che, se è vero che il giudice nazionale deve, in
linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione
elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo
(secondo cui, data l’esigenza di garantire che la
liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane, tuttavia,
in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene,
in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. n. 18617 del 2001;
Cass. n. 17922 del 2010);

-9-

2010; Cass. n. 20732 del 2011);

che il criterio adottato dal giudice di merito appare
in linea con le soglie dettate tanto dalla giurisprudenza
Europea quanto da quella nazionale, in cui si è ritenuto
che il criterio di 500,00 euro per ano di ritardo è

16311 del 2014);
che non vale ad inficiare la valutazione della Corte
d’appello il rilievo secondo cui, pur avendo la stessa
affermato di voler valorizzare il criterio del valore
della posta in gioco, ha poi finito per liquidare un
indennizzo uguale pur a fronte di creditori ammessi al
passivo per crediti significativamente differenti, proprio
perché la Corte territoriale non ha applicato la nuova
disciplina ma, in base ai criteri desumibili dalla
giurisprudenza di legittimità, ha inteso solo discostarsi,
in senso riduttivo, dall’ordinario criterio di
liquidazione;
che tali considerazioni consentono anche di ritenere
infondato il quarto motivo di ricorso;
che il secondo motivo di ricorso è infondato;
che la continuità della posizione processuale degli
eredi intervenuti rispetto a quella del dante causa
prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., nel caso di specie
della ricorrente Pasca Maria Antonietta, non toglie che il
sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in

congruo in relazione alle procedure fallimentari (Cass. n.

norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001, non si fonda
sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello
Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a
beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni

modulabili in relazione al concreto patema subito, il
quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse
alla sua rapida conclusione (principio oramai consolidato:
vedi, da ultimo, Cass. n. 10517 del 2013; Cass. n. 995 del
2012);
che, dunque, essendo presupposto ineliminabile per la
legittimazione a far valere l’equa riparazione l’incidenza
che la non congrua durata del giudizio abbia su chi di
quel giudizio sia chiamato a far parte, non vi è luogo a
discorrere di equa riparazione sin tanto che il chiamato
all’eredità non sia, quanto meno, evocato in riassunzione,
atteso che fino a quel momento può mancare addirittura la
prova dell’assunzione – per accettazione espressa o per
facta concludantia – della stessa qualità di erede (Cass.
n. 4003 del 2014);
che tale principio risulta estensibile anche al caso
in cui il procedimento presupposto sia una procedura
fallimentare in quanto, senza una espressa manifestazione
in tal senso da parte dell’erede, alcuna prova può essere
data del patema d’animo sofferto in proprio dallo stesso a

patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi

causa della lungaggine processuale;
che il terzo motivo di ricorso è fondato;
che, infatti, esclusa la diretta applicabilità al caso
di specie della nuova normativa di cui all’art. 2-bis

n. 83 del 2012, deve rilevarsi che la Corte d’appello, pur
potendo – come prima rilevato – discostarsi dagli ordinari
criteri di liquidazione, ha attuato una liquidazione che
assume come vincolante e come limite massimo il valore del
credito ammesso al passivo, mentre, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, la maggiore o minore
entità della posta in gioco può incidere sulla misura
dell’indennizzo, consentendo al giudice di scendere anche
al di sotto della soglia minima (Cass. n. 12937 del 2012),
ma non anche di parificare la liquidazione al valore della
causa in cui si è verificata la violazione;
che, dunque, accolto il primo motivo di ricorso
limitatamente alla ingiusta durata della procedura,
rigettato il secondo e il quarto motivo, accolto altresì
il terzo, il decreto impugnato deve essere cassato;
che, tuttavia, non apparendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.
civ.;

della legge n. 89 del 2001, introdotto dal decreto-legge

che, infatti, accertata la irragionevole durata della
procedura fallimentare in anni dieci per i ricorrenti
tutti, e in anni nove in riferimento alla data di decesso
di Maggiulli Antonio Italo, deceduto nel 2011, alla

criterio adottato dalla Corte territoriale, depurato
dall’erroneo abbattimento operato con riferimento al
valore della posta in gioco;
che il Ministero della giustizia deve quindi essere
condannato al pagamento, in favore dei ricorrenti Pasca
Maria Antonietta, Assalve Pasquale, Maggiulli Maria
Maggiulli Vincenzo e Maggiulli Luigi, della
somma di euro 5.000,00 ciascuno e, in favore di Maggiulli
Anna, Maggiulli Maria ~cella, Maggiulli Vincenzo e
Maggiulli Luigi, nella qualità di eredi di Maggiulli
Antonio Italo, della somma di euro 4.500,00, in
proporzione delle rispettive quote ereditarie, oltre agli
interessi legali dalla domanda al soddisfo, ferma la
statuizione relativa alle spese del giudizio di merito,
ivi compresa la distrazione in favore del difensore
antistatario;
che il Ministero deve essere condannato altresì alla
rifusione delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI

– 13 –

liquidazione dell’indennizzo può procedersi applicando il

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione;
cassa

il decreto impugnato in relazione alle censure

accolte e, decidendo nel merito,

condanna

il Ministero

della giustizia al pagamento, in favore di ciascuno dei

Maggiulli Maria ~cella, Maggiulli Vincenzo e Maggiulli
Luigi, della somma di euro 5.000,00 e, in favore dei
ricorrenti Maggiulli Anna, Maggiulli Maria ~cella,
Maggiulli Vincenzo e Maggiulli Luigi, nella qualità di
eredi di Maggiulli Antonio Italo, della somma di euro
4.500,00, in proporzione delle rispettive quote
ereditarie, oltre agli interessi legali dalla data della
domanda al saldo, ferme le statuizioni in ordine alle
spese del giudizio di merito;

condanna

altresì il

Ministero alla rifusione delle spese giudizio di
cassazione, in euro 700,00 per compensi, oltre agli
accessori di legge e alle spese forfettarie.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

ricorrenti Pasca Maria Antonietta, Assalve Pasquale,

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