Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10235 del 26/04/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 26/04/2017, (ud. 28/09/2016, dep.26/04/2017),  n. 10235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12316/2010 proposto da:

IL PELLICANO COOPERATIVA SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

GIOVANNI VITELLESCHI 2 presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO

PASSALACQUA, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO PIZZUTO

(avviso postale ex art. 135) giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

SERIT SICILIA SPA AGENTE RISCOSSIONE PROVINCIA DI MESSINA in persona

del Procuratore Speciale pro tempore, elettivamente domiciliato in

OSTIA VIA CARLO DEL GRECO 59, presso lo studio dell’avvocato DORA LA

MOTTA, rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO VINCI giusta

delega in calce;

– controricorrenti –

e contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 12/2009 della COMM. TRIB. REG. della SICILIA

SEZ. DIST. di MESSINA, depositata il 06/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

udito per il ricorrente l’Avvocato PIZZUTO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS Mariella, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società cooperativa a responsabilità limitata Il Pellicano in liquidazione propone ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che, rigettandone l’appello, ha confermato la legittimità della pretesa espressa con la cartella di pagamento emessa a seguito della liquidazione, ai fini dell’IRPEF e dell’IRAP, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, delle dichiarazioni per i periodi d’imposta 2002 e 2003.

Il giudice d’appello ha infatti ritenuto che la normativa contenuta nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, non prevede alcun invio di previa comunicazione al contribuente a pena di nullità; che la notificazione della cartella di pagamento, relativa ai periodi d’imposta 2002 e 2003 era stata notificata alla contribuente tempestivamente, nel termine fissato dal D.L. 17 giugno 2005, n. 156, come convertito in legge; che non era ravvisabile carenza di motivazione della cartella conforme al decreto ministeriale anche sotto il profilo della sottoscrizione del concessionario -, concernente imposte a debito dichiarate e non versate, e recante in modo sufficiente le ragioni ed i dati del perchè delle somme iscritte a ruolo; che, con riguardo al mancato riconoscimento del credito d’imposta, non era stato compilato dalla contribuente l’apposito quadro RU della dichiarazione dei redditi; che non ricorreva nella specie l’ipotesi della necessità dell’invio al contribuente dell’invito di pagamento bonario di cui all’art. 6 dello statuto del contribuente, nè era stato esercitato il diritto alla riduzione delle sanzioni, di cui al D.Lgs. n. 471 del 1973, art. 13, mercè il pagamento entro trenta giorni dalla notifica della cartella.

Resistono, ciascuna con controricorso, l’Agenzia delle Entrate e la Serit Sicilia spa, agente per la riscossione per la provincia di Messina.

Diritto

RAGIONI DELLA ECISIONE

Con il primo motivo la società contribuente denuncia la “violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 148 c.p.c.”; con il secondo motivo lamenta la “violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25; con il terzo denuncia “violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 421 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis (primo profilo)”; con il quarto motivo lamenta la “violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 54 bis e 50”; con il quinto motivo si duole della “violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 17 e della L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 1 e 2”; con il sesto motivo, infine, denuncia la “violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, commi 2 e 5, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 2 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, comma 3”.

I motivi, con i quali si denuncia violazione di legge, si rivelano inammissibili, in quanto privi, come eccepito dall’Agenzia delle Entrate, del quesito di diritto.

E’ infatti inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi non sia accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte (Cass. sezioni unite, 26 marzo 2007, n. 7258); nei ricorsi per violazione o falsa applicazione di norme di diritto non può ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto può implicitamente desumersi dal motivo di ricorso, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., che ha introdotto, anche per l’ipotesi di ricorso in esame, il rispetto del requisito formale che deve esprimersi nella formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronunzia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte (Cass. sezioni unite 16 novembre 2007, n. 23723).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuno dei contro ricorrenti, liquidandole in Euro 8.000 oltre alle spese prenotate a debito per l’Agenzia delle Entrate, ed in Euro 8.000 oltre a spese generali nella misura forfetaria del 15% per l’agente della riscossione.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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