Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10234 del 18/05/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 10234 Anno 2016
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n, 10444/2013 R.G. proposto da
DIMONTE MICHELE,
rappresentato e difeso dall’Avv. Antonino Aprea del Foro di Bari ed
elettivamente domiciliato in Roma, Piazza della libertà, n. 10, presso lo studio
dell’Avv. Gemma Paternostro, giusta procura in calce al ricorso,
– ricorrente –

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,
in persona dei Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende,
– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n.

Data pubblicazione: 18/05/2016

71/05/2012, depositata il 22/10/2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 maggio
2016 dal Relatore Cons. Emilio Iannello;
udito per il ricorrente l’Avv. Antonio Aprea;
udito per la controricorrente l’Avvocato dello Stato Bruno Dettori;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Rita

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 71/05/2012, depositata il 22/10/2012, la C.T.R. della
Puglia, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio di
Barletta, confermava la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei
confronti di Michele Dimonte con il quale si accertava, per l’anno d’imposta 2004,
un reddito pari ad C 106.702,58 determinato sinteticamente, ai sensi dell’art. 38
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in ragione di riscontrate spese, sostenute negli
anni dal 2004 al 2008, per l’acquisto di terreni e fabbricati per un complessivo
esborso di C 533.512,00.
Ritenevano infatti i giudici del gravame che il contribuente non aveva offerto
una attendibile giustificazione della cospicua spesa, non potendosi in particolare
ritenere probanti le dichiarazioni rilasciate dai propri nonni circa l’elargizione di
cospicue regalie nel corso degli anni liceali e universitari, in quanto non
supportate da formale e pertinente documentazione e in mancanza comunque di
prova della contemporaneità fra le regalie medesime e l’acquisto degli immobili
in questione; che l’ufficio aveva documentato la regolare notifica del questionario
al domicilio fiscale del contribuente; che inoltre, all’epoca dei fatti, non
sussisteva alcun obbligo di esperire preventivamente il contraddittorio.
2. Avverso tale decisione propone ricorso Michele Dimonte sulla base di

cinque motivi, per ciascuno di essi articolando diverse censure; l’Agenzia delle
entrate resiste con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

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Sanlorenzo, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Con il primo motivo il ricorrente ripropone, sotto vari profili di censura omessa pronuncia; violazione degli artt. 57 e 58 d.lgs. 31 dicembre 1992, n.
546; vizio di motivazione – l’eccezione di inammissibilità della documentazione
prodotta in grado d’appello dall’Agenzia delle entrate al fine di dimostrare
l’avvenuta rituale notifica del questionario.

di merito, non specifici e/o non pertinenti – sono manifestamente infondate.
Al riguardo appare assorbente il duplice rilievo per cui:
a) secondo pacifico insegnamento della giurisprudenza di legittimità non
ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un
punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita
di rigetto sul medesimo (v. in tal senso Cass., Sez. 1, n. 5351 del 08/03/2007,
Rv. 595288, in un caso in cui la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito
dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato
nel merito i motivi posti a fondamento del gravame): nel caso di specie
l’affermazione da parte della C.T.R. dell’esistenza in atti di prova della regolare
notifica del questionario al contribuente implica il rigetto dell’eccepita
inammissibilità della produzione della relativa documentazione per la prima volta
in grado d’appello;
b) l’art. 58 (rubricato «nuove prove in appello») del d.lgs. 31 dicembre
1992, n. 546, nei prevedere bensì, al primo comma, il divieto di nuove prove in
appello, al secondo comma fa espressamente salva tuttavia «la facoltà delle parti
di produrre nuovi documenti», ciò valendo inequivocabilmente a privare di pregio
alcuno l’eccezione di che trattasi.
4. Con la «terza parte» del motivo in esame il ricorrente censura inoltre
l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui

«all’epoca dei fatti non

sussisteva alcun obbligo, a pena di nullità, di esperire preventivamente il
contraddittorio». Sostiene, di contro, l’applicabilità retroattiva della norma che

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Le censure – a supporto delle quali il ricorrente richiama precedenti, anche

tale obbligo ha introdotto (art. 22 d.l. n. 78/2010) e conseguentemente
l’illegittimità dell’accertamento condotto in quanto non preceduto dal
contraddittorio.
Anche tale doglianza è palesemente destituita di fondamento.
Come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, alla data
dell’accertamento impugnato con il ricorso introduttivo non era, infatti, previsto

contribuente e questa Corte ha, in relazione al testo allora vigente dell’art. 38
quarto comma del d.RR. 29 settembre 1973, n. 600, esplicitamente affermato

che «al fini dell’accertamento sintetico dei redditi … è sufficiente che vi siano
elementi e circostanze di fatto certi, in base ai quali possa fondatamente
attribuirsi al contribuente un reddito complessivo superiore a quello risultante
dalla determinazione analitica, non occorrendo che l’individuazione e la raccolta
di quegli elementi e circostanze, che l’ufficio può attingere da qualsiasi fonte,
avvengano in contraddittorio con il contribuente. Tale contraddittorio si instaura,
invece, con la notifica dell’atto di accertamento, che, per ciò, deve contenere
l’indicazione dei fatti sui quali esso si fonda, in modo che il contribuente sia in
grado di conoscere sufficientemente la pretesa fiscale e svolgere le proprie difese
al riguardo» (v. Sez. 1, n. 9198 del 27/08/1991, Rv. 473674; conf. Sez. 5, n.
27079 del 18/12/2006, Rv. 595888).
L’obbligo del previo contraddittorio endoprocedimentale è stato introdotto
dall’art. 22, comma 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 maggio 2010,
convertito dalla legge 30 luglio 2010, n.

122, attraverso la sostituzione dei

commi dal quarto all’ottavo dell’art. 38 d.P.R. 600/73 ma, per espressa
disposizione transitoria, «con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i
quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in
vigore del decreto».
È appena il caso poi di rammentare che, con sentenza n. 24823 del
08/12/2015 le Sezioni Unite della S.C. hanno escluso, in materia di imposte

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l’obbligo, per l’amministrazione, di procedere a preventivo contraddittorio con il

dirette, la sussistenza di un obbligo generalizzato del preventivo contraddittorio
al di fuori delle ipotesi per le quali esso è normativamente previsto.
5. Con il secondo motivo parte ricorrente ripropone – sotto il duplice profilo
della omessa pronuncia e della inosservanza di norma processuale (artt. 22, 24 e
53 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) – l’eccezione di inammissibilità dell’appello
proposto dall’Agenzia delle entrate in ragione della mancata produzione, al

l’avvenuto perfezionamento della notifica dell’appello medesimo a mezzo posta.
La censura è infondata sotto entrambi i profili dedotti.
Quanto al primo, è appena il caso di rilevare che, per quanto già detto,
l’esame nel merito dell’appello implica di per sé il rigetto della preliminare
eccezione di inammissibilità dello stesso ed esclude pertanto la sussistenza del
dedotto vizio di omessa pronuncia.
Con riferimento al secondo – premesso che, secondo quanto esplicitamente
ammesso dallo stesso ricorrente, l’amministrazione appellante ha prodotto in
atti, avanti la C.T.R., in data 05/07/2011, copia dell’avviso di ricevimento della
raccomandata spedita per notifica a mezzo posta e che la doglianza si appunta
(solo) sul mancato deposito della stessa contestualmente all’atto d’appello occorre rammentare che l’art. 22, comma 1, d.lgs. 546/1992, richiamato dall’art.
53, comma 2, circa le forme da osservare per la proposizione dell’appello nei
giudizi tributari, impone al ricorrente l’onere di depositare, oltre alla copia del
ricorso stesso, la fotocopia della ricevuta del deposito o della spedizione della
raccomandata a mezzo del servizio postale; non impone, invece, il deposito
dell’avviso di ricevimento che attesti la ricezione del ricorso spedito per posta;
deposito che resta pur sempre necessario ai fini della dimostrazione del
perfezionamento del procedimento di notificazione e, dunque, dell’avvenuta
instaurazione del contraddittorio, ma che a tal fine potrà validamente essere
eseguito anche successivamente alla costituzione ma purché entro il termine
ultimo per la produzione di documenti (v. in tal senso Cass., Sez. U, n. 627 del

momento della costituzione in giudizio, dell’avviso di ricevimento comprovante

14/01/2008, Rv. 600790; cui

adde conf.,

ex aiiis,

Sez. 5, n. 13923 del

24/06/2011, Rv. 617630; Sez. 5, n. 14421 del 15/06/2010, Rv. 613599; Sez. 5,
n. 9487 del 21/04/2010, Rv. 612522).
6. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta ancora omessa pronuncia in
ordine alla eccezione di inammissibilità dell’appello per la mancata allegazione al
fascicolo di parte appellante della previa autorizzazione alla proposizione del

dell’art. 52 d.lgs. 546/92.
Anche in tal caso ad escludere il vizio dedotto di omessa pronuncia, pur in
mancanza di specifica motivazione sul punto, vale il fatto in sé dell’esame nel
merito dell’appello, ovviamente implicante, come detto, la ritenuta di
inammissibilità dello stesso.
Varrà inoltre soggiungere, con riferimento al merito della eccezione, che la
stessa fa riferimento a norma processuale (quella dettata dall’art. 52, comma 2,
d.Igs. 546/1992), non più vigente al momento della proposizione dell’appello de
quo, in quanto abrogata dall’art. 3, comma 1 lett. c), d.l. 25 marzo 2010, n. 40,

conv. in legge 22 maggio 2010, n. 73, con effetto per gli appelli notificati dopo il
26/3/2010 (e dunque anche per quello di che trattasi, notificato in data
22/6/2011, come precisato dallo stesso ricorrente).
7. Con il quarto motivo infine il ricorrente deduce violazione dell’art. 38
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 2697 cod. civ. nonché vizio di
motivazione, per avere la C.T.R. ritenuto legittimo l’accertamento ancorché
esclusivamente fondato sulla rilevata sussistenza di spese per incrementi
patrimoniali, in assenza di alcun altro elemento di riscontro e del previo
contraddittorio con il contribuente e per avere, comunque, omesso di considerare
la prova contraria da esso offerta attraverso la produzione delle dichiarazioni
sostitutive di atto notorio rese dei propri nonni nei sensi sopra indicati.
Anche tali doglianze sono manifestamente infondate.
7.1. Sotto il primo profilo occorre ribadire che la norma di cui all’art. 38

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gravame da parte della competente Direzione regionale delle entrate, ai sensi

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, legittima la presunzione, da parte
dell’amministrazione finanziaria, di un reddito maggiore di quello dichiarato dal
contribuente sulla base di elementi indiziari dotati dei caratteri della gravità,
precisione e concordanza richiesti dall’ad. 2729 cod. civ. e, in particolare, per
quel che in questa sede interessa, in ragione della

«spesa per incrementi

patrimoniali», la quale si presume sostenuta «salvo prova contraria, con redditi

precedenti» (art. 38, comma 5, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo
applicabile alla fattispecie ratione temporis).
In presenza, dunque, di tale presupposto (nella specie incontestatamente
identificato nel descritto esborso di 533.512,00 per l’acquisto di terreni e
fabbricati tra gli anni 2004 e 2008) la norma non impone altro onere
all’amministrazione ma piuttosto faculta (e onere) il contribuente a offrire la
prova contraria: prova testualmente riferita, nel successivo cornma 6, al fatto
che «il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito
in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte»,
con la espressa precisazione che «l’entità di tali redditi e la durata del loro
possesso devono risultare da idonea documentazione».
L’oggetto della prova contraria da parte del contribuente riguarda non solo,
dunque, la disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla
fonte) ma anche «l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso».

Come

questa Corte ha avuto modo di chiarire (Cass. Civ., Sez. 5, 18 aprile 2014, n.
8995, richiamata dalle successive Cass. 26 novembre 2014, n. 25104, 16 luglio
2015, n. 14885), pur non prevedendosi esplicitamente la prova che detti ulteriori
redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si chiede tuttavia
espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che
ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto io specifico
riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della «entità» di tali
eventuali ulteriori redditi e della «durata» del relativo possesso, previsione che

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conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro

ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e
temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della
maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al
contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano
stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico. Né la
prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente

conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la
«durata» del possesso dei redditi in esame, quindi non il loro semplice «transito»

nella disponibilità del contribuente.
Tanto premesso, la regula iuris applicata al caso concreto dal giudice a quo
appare pienamente rispettosa del quadro normativo così ricostruito, dovendosi in
particolare escludere che, nell’aver affermato la piena legittimità
dell’accertamento in quanto fondato sulla presunzione di maggior reddito
derivante dalle descritte spese per incrementi, esso sia incorso in violazione delle
citate norme e dei criteri di riparto dell’onere probatorio.
7.2. Quanto poi alla valutazione di inidoneità degli elementi offerti dal
ricorrente al fine di superare la presunzione predetta, è appena il caso di rilevare
che sul punto la sentenza offre specifica motivazione e che le censure al riguardo
mosse, peraltro chiaramente volte a sollecitare un nuovo sindacato di merito
comunque certamente precluso nella presente sede, si appalesano a fortiori
inammissibili in quanto esplicitamente dedotte con riferimento alla previsione – e
in relazione dunque ai requisiti contenutistici – di cui all’art. 360, comma primo
n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione previgente alla modifica introdotta
dall’art. 54, comma 1 lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134! norma però – quella previgente
– non applicabile nel caso in esame, essendo questo soggetto, ratione temporis,
alla nuova disciplina.
Questa, infatti, secondo la norma transitoria di cui al comma 3 del citato art.

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onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei

54 d.l. n. 83 del 2012, «si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno
successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione» e, dunque,
alle sentenze pubblicate a partire dall’Il settembre 2012 (ai sensi del comma 2
dell’art. 1 della legge di conversione n. 134 del 2012, quest’ultima è infatti
entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale e, dunque, essendo stata detta legge pubblicata sul

il 12 agosto 2012; il trentesimo giorno successivo al 12 agosto 2012 è 1’11
settembre 2012; la sentenza qui impugnata è stata pubblicata, come detto, il 22
ottobre 2012). è poi opportuno ribadire che la nuova disciplina trova applicazione
anche per i ricorsi avverso le sentenze emesse dal giudice tributario, secondo la
condivisibile interpretazione data dalle Sezioni Unite di questa Corte della
successiva disposizione di cui al comma 3-bis del cl,I. cit., inserito in sede di
conversione (v. Cass. Civ., Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, in motivazione, parr.
4 – 12).
8. Con un’ultima censura (par. 41 di pag. 65 del ricorso) parte ricorrente
infine si duole dell’omessa considerazione, da parte dei giudici d’appello,
dell’ulteriore «documentata circostanza» per cui, nell’arco temporale preso in
esame, egli aveva «addirittura assunto una posizione debitoria nei confronti delle
banche per un importo complessivo di C 280.000,00»: argomenta che «laddove
la C.T.R. avesse regolarmente proceduto a contrapporre

[tale debito] con la

spesa derivante dagli intervenuti acquisti immobiliari, sarebbe stato del tutto
logico escludere … l’asserito incremento del proprio patrimonio».
Anche tale censura è inammissibile.
È noto al riguardo che mentre, secondo la precedente formulazione del n. 5
del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., costituiva deducibile motivo di
ricorso per cassazione la «omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio», secondo quella risultante
dalla citata novella, la sentenza può essere censurata, sul piano della

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supplemento ordinario n. 171 alla Gazzetta Ufficiale dell’11 agosto 2012 n. 187,

motivazione, solo «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti».

Circa la portata innovativa di tale riforma le Sezioni Unite di questa Corte,
con le sentenze n. 8053 e n. 19881 del 2014, seguite da numerose conformi
delle sezioni semplici, hanno come noto enunciato i seguenti principi, cui questo
collegio intende dare continuità:
la riformulazione dell’art. 360, comma primo n. 5, deve essere

a)

interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come
riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di
giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di
legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo
della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si
esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di «sufficienza», nella
«mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico»,
«motivazione apparente»,

nel

nella

«contrasto irriducibile fra affermazioni

inconciliabili», nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»;

b)

il nuovo testo dell’art. 360, comma primo n. 5, introduce

nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o
dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e
abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un
esito diverso della controversia);
c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di
omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia
dato conto di tutte le risultanze probatorie;
d) la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di
cui all’art. 366, primo comma n. 6, e art. 369, secondo comma n. 4 cod. proc.

lo

L.

civ. – il fatto storico,

il cui

esame sia stato omesso, il

extratestuaie, da cui ne risulti l’esistenza, il

dato, testuale o

come e il quando (nel quadro

processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la decisività
del fatto stesso.
Orbene, posta che il fatto storico del quale il ricorrente denuncia l’omesso
esame è rappresentato, come detto, dall’assunzione di debiti con le banche, nel

complessivi E 280.000,00, appare dirimente il rilievo che – anche a tacere del
fatto che nulla il ricorrente dice sul come e quando (nel quadro processuale) esso
sia stato oggetto di discussione tra le parti – trattasi di circostanza non decisiva
ai fini del giudizio, essendo l’assunzione di siffatto debito con le banche indice
non univoco e pertanto inidoneo a giustificare gli esborsi considerati nei sensi
richiesti dalla norma.
9. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, liquidate in C 2.500, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso il 10/5/2016

medesimo periodo preso in considerazione ai fini dell’accertamento, per

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