Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10233 del 19/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10233 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
PITARDI Antonia Giovanna, AVENTAGGIATO Anna Concetta,
»!POLO Rita Raffaella, ARCIERA Antonio, LEJCZAK Pedro
Eduardo, GRECO Luigia, CARCAGNI’ Luigia, TOMA Fernanda,
ACCOGLI Francesco, CAVALLO Umberto, SCARZIA Francesco,
PARROTTO Leonardo Salvatore, rappresentati e difesi, per
procura speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato
Cosimo Luperto, elettivamente domiciliati in Roma, via
Oderisi da Gubbio n. 214, presso Remo Colaci;
ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

Data pubblicazione: 19/05/2015

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

controricorrente

avverso il decreto della Corte d’Appello di Potenza,

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19 marzo 2015 dal Presidente relatore Dott.
Stefano Petitti.
Ritenuto

che, con ricorso depositato in data 29

settembre 2011 presso la Corte d’appello di Potenza
PITARDI Antonia Giovanna, ACCOGLI Francesco„ AMPOLO Rita
Raffaela, ARCIERA Antonio, AVENTAGGIATO Anna Concetta,
CARCAGNI’ Luigia, CAVALLO Umberto, GRECO Luigia, LEJCZAK
Pedro Eduardo, PARROTTO Leonardo Salvatore, SCARZIA
Francesco, TOMA Fernanda chiedevano la condanna del
Ministero della giustizia al pagamento del danno non
patrimoniale derivato dalla irragionevole durata della
procedura concernente il fallimento della Ditta Antonio De
Rocco S.p.A., iniziata con dichiarazione di fallimento da
parte del Tribunale di Lecce in data 7 giugno 1988 e non
ancora conclusasi alla data della domanda;
che l’adita Corte d’appello, stimata come ragionevole
una durata di nove anni in considerazione della
complessità della procedura, riteneva che fosse
indennizzabile un ritardo di 14 anni, tenuto conto che

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depositato in data 30 aprile 2013, n. 499 del 2013.

l’inizio del procedimento doveva essere individuato nella
data di insinuazione al passivo, e liquidava ai
ricorrenti, in considerazione dell’atteggiamento quasi
contemplativo degli stessi e tenuto conto del criterio

della legge n. 89 del 2001, introdotte dal decreto-legge
n. 83 del 2012, un indennizzo pari al valore del credito,
debitamente convertito in euro, da ciascuno di essi
azionato nella procedura fallimentare, oltre interessi al
tasso legale dalla data di presentazione della domanda al
soddisfo;
che, quindi, la Corte d’appello condannava il
Ministero della giustizia al pagamento, in favore dei
ricorrenti, delle seguenti somme: Pitardi Antonia
Giovanna: e 3.549,00; Accogli Francesco: e3.949,00; Ampolo
Rita Raffaella: e 4.436,00; Arciere Antonio: e 2.117,00;
Aventaggiato Anna Concetta:

4.131,00; Carcagnì Luigia: e

2.403,00; Cavallo Umberto: e 3.694,00; Greco Luigia: e
3.360,00; Lejczak Pedro Eduardo:

2.227,00; Parrotto

Leonardo Salvatore: e 3.318,00; Scarzia Francesco:
1.444,00; Torna Fernanda: e 4.409,00;
che avverso questo decreto i ricorrenti in epigrafe
indicati hanno proposto ricorso, affidato a cinque motivi;
che

l’intimato

Ministero

controricorso.

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ha

resistito

con

interpretativo desumibile dalle disposizioni modificative

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo i ricorrenti deducono

legge n. 89 del 2001, dell’art. 2056 cod. civ., dell’art.
111 Costituzione e dell’art. 6, par. l., della CEDU,
nonché vizio di motivazione omessa e contraddittoria ed
omesso esame su fatti decisivi, dolendosi del fatto che la
Corte d’appello abbia determinato la durata ragionevole
della procedura fallimentare presupposta in nove anni, in
contrasto con le indicazioni della giurisprudenza di
legittimità, secondo cui la detta durata può essere al
massimo di sette anni;
che la Corte d’appello, ad avviso dei ricorrenti non
avrebbe neppure adeguatamente illustrato le ragioni
specifiche che nel caso esaminato inducevano a ritenere
ragionevole una durata di nove anni, né avrebbe
considerato che dalla relazione del curatore fallimentare
emergevano elementi nel senso della non complessità della
procedura;
che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano
altra violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001,
dell’art. 2056 cod. civ., dell’art. l della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. 1, della

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violazione o falsa applicazione degli artt. 2 e ss. della

CEDU e dell’art. 111 Costituzione, nonché vizio di
motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti
decisivi, censurando il decreto impugnato per essersi la
Corte d’appello discostata dai parametri relativi

Suprema Corte di Cassazione ha enucleato (e che prevedono
un indennizzo non inferiore a 750,00 euro per ogni anno di
ritardo in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata
ragionevole e 1.000,00 per quelli successivi), avendo
riconosciuto a tutti i ricorrenti un indennizzo pari
all’importo del credito da ciascuno di essi azionato nella
procedura concorsuale;
che con il terzo motivo i ricorrenti denunciano altra
violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, degli
artt. 2056, 1223 e 1226 cod. civ., dell’art. l della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. l, della
CEDU, dell’art. 11 delle preleggi, dell’art. 55 del
decreto-legge n. 83 del 2012 e dell’art.

2-bis della legge

n. 134 del 2012, nonché vizio di motivazione
contraddittoria e omesso esame su fatti decisivi,
censurando il decreto Impugnato per avere la Corte
d’appello fatto applicazione della disposizione da ultimo
citata – la quale effettivamente prevede che l’indennizzo
non possa superare il valore della causa in relazione alla
quale viene chiesto -, sebbene la stessa sia applicabile

-5-

all’entità degli indennizzi che la giurisprudenza della

ai soli ricorsi depositati dopo l’entrata in vigore della
legge di conversione;
che con il quarto motivo i ricorrenti lamentano che la
Corte di appello abbia liquidato l’indennizzo tenendo

in misura non omogenea per tutti i ricorrenti, in
violazione dell’art. 3 Cost. e degli artt. 2056, 1223,
1226 cod. civ., nonché vizio di motivazione
contraddittoria e omesso esame su fatti decisivi;
che con il quinto motivo i ricorrenti denunciano
ulteriore violazione degli artt. 1223, 1226 e 2056 cod.
civ., violazione dell’art. 429 cod. proc. civ. e dell’art.
2 della legge n. 89 del 2001, nonché vizio di motivazione
contraddittoria ed omesso esame su fatti decisivi, per
avere, l’adita Corte d’appello, liquidato indennizzi pari
al valore dei crediti di lavoro vantati dai ricorrenti
senza averli previamente attualizzati, vale a dire senza
che essi siano stati ricalcolati tenendo conto della
rivalutazione monetaria e degli interessi legali, dalla
maturazione al soddisfo;
che all’esame dei motivi occorre premettere che la
presente controversia non è soggetta,

ratione temporis,

all’applicazione delle disposizioni introdotte dal d.l. n.
83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n.
134 del 2012, applicabili ai ricorsi depositati a

-6-

conto del valore dei crediti ammessi al passivo, e dunque

decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di
entrata in vigore della legge di conversione;
che, del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012
non può neanche riconoscersi natura di norme di

alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della
giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
non vi è nulla nel decreto-legge n. 83 del 2012 che possa
indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso
attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva,
avendo, anzi, espressamente dettato una specifica
previsione per l’entrata in vigore della nuova disciplina;
che, tanto premesso, il primo motivo di ricorso è
fondato;
che, invero, questa Corte ha avuto modo di affermare
(Case. n. 8468 del 2012) che la durata ragionevole delle
procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni
per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a
sette anni allorquando il procedimento si presenti
notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in
presenza di un numero elevato di creditori, di una
particolare natura o situazione giuridica dei beni da
liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.),
della proliferazione di giudizi connessi alla procedura,

-7-

interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per

ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata
dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle
procedure concorsuali interdipendenti;
che, nel caso di specie, la Corte d’appello si è

ragionevole una durata di nove anni per via della
“complessità del caso”; elemento – questo – che già
concorre a considerare ragionevole la durata di sette anni
in luogo di cinque;
che il secondo e il terzo motivo di ricorso, all’esame
dei quali può procedersi congiuntamente, sono fondati;
che, invero, questa Corte ha già avuto modo di
chiarire che, se è vero che il giudice nazionale deve, in
linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione
elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo
(secondo cui, data l’esigenza di garantire che la
liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane, tuttavia,
in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene,
in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi

-8-

discostata dall’indicato orientamento ritenendo

concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. n. 18617 del 2001;
Cass. n. 17922 del 2010);
che, nella specie, esclusa la diretta applicabilità

89 del 2001, introdotto dal decreto-legge n. 83 del 2012,
deve rilevarsi che la Corte d’appello, pur potendo – come
prima rilevato – discostarsi dagli ordinari criteri di
liquidazione, ha attuato una liquidazione che assume come
vincolante e come limite massimo il valore del credito
ammesso al passivo, mentre, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, la maggiore o minore
entità della posta in gioco può incidere sulla misura
dell’indennizzo, consentendo al giudice di scendere anche
al di sotto della soglia minima (Cass. n. 12937 del 2012),
ma non anche di parificare la liquidazione al valore della
causa in cui si è verificata la violazione;
che il quarto ed il quinto motivo di ricorso rimangono
assorbiti dall’accoglimento del precedente;
che, dunque, accolto il primo, il secondo e il terzo
motivo, assorbiti il quarto e il quinto, il decreto
impugnato deve essere cassato;
che, tuttavia, non apparendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel

della nuova normativa di cui all’art. 2-bis della legge n.

merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.
civ.;
che, infatti, accertata la irragionevole durata della
procedura fallimentare in anni 16 (eccedenti i 7 previsti

quale quella in oggetto, stante l’altissimo numero di
domande di ammissione allo stato passivo e la pluralità di
azioni giudiziarie intraprese nell’interesse del
fallimento per il recupero di crediti), alla liquidazione
dell’indennizzo può procedersi applicando il criterio di
500,00 euro per anno di ritardo, giudicato come congruo
nell’ormai prevalente e più recente giurisprudenza di
questa Corte Suprema in relazione alle procedure
fallimentari (Cass. n. 16311 del 2014) e determinando
l’ammontare dell’indennizzo, in favore di ciascuno dei
ricorrenti, in euro 8.000,00;
che il Ministero della giustizia deve quindi essere
condannato al pagamento, in favore dei ricorrenti, della
somma di euro 8.000,00, oltre agli interessi legali dalla
domanda al soddisfo, ferma la statuizione relativa alle
spese del giudizio di merito, ivi compresa la distrazione
in favore del difensore antistatario;
che il Ministero deve essere condannato altresì alla
rifusione delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate come da dispositivo.

per procedure fallimentari di particolare complessità

PER QUESTI MOTIVI
La Corte

accoglie

motivo di ricorso,

il primo, il secondo e il terzo

assorbiti il quarto e il quinto; cassa

il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e,
condanna

il Ministero della

giustizia al pagamento, in favore di ciascuno dei
ricorrenti, della somma di euro 8.000,00, oltre agli
interessi legali dalla data della domanda al saldo, ferme
le statuizioni in ordine alle spese del giudizio di
merito; condanna altresì il Ministero alla rifusione delle
spese giudizio di cassazione, in euro 700,00 per compensi,
oltre agli accessori di legge e alle spese forfettarie.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

decidendo nel merito,

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