Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10232 del 19/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10232 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

sentenza con motivazione
semplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

SCORRANO Tommaso; FRACASSO Sabina Maria; GARZIA Lucia;
TRIDICI Ippazio Antonio; ASTORE Gabriella; BARTOLOMEO
Gabriella; RUSSO FERILLI Laura; DE MARCO Antonio; FERRARO
Vincenzina; PIZZOLANTE Eugenia Francesca; SERGI Maria
Teresa; SPINELLI Pasquale; STEFANO Salvatore; CUCINELLI
Francesco, nella qualità di erede di Fosca Maria;
SALVATORE Maria Rosaria; AVENTAGGIATO Mirella; PERFETTO
Antonella; CAVALLO Tommaso, rappresentati e difesi, per
procura speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato Cosimo
Luperto, elettivamente domiciliati in Roma, via Dei
Gracchi n. 39, presso l’Avvocato Annamaria Federico;
– ricorrenti –

Data pubblicazione: 19/05/2015

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

– controricorrente avverso il decreto della Corte d’Appello di Potenza,
depositato in data 30 aprile 2013, n. 497 del 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19 marzo 2015 dal Presidente relatore Dott.
Stefano Petitti.
Ritenuto

che, con ricorso depositato in data 29

settembre 2011 presso la Corte d’appello di Potenza,
FRACASSO Sabina Maria, ASTORE Gabriella, AVENTAGGIATO
Mirella, BARTOLOMEO Gabriella, CAVALLO Tommaso, DE MARCO
Antonio, FERRARO Vincenzina, GARZIA Lucia, PIZZOLANTE
Eugenia Francesca, RUSSO FERILLI Laura, SCORRANO Tommaso,
SERGI Maria Teresa, SPINELLI Pasquale, TRIDICI Ippazio
Antonio, SALVATORE Maria Rosaria, STEFANO Salvatore,
PERFETTO Antonella e, CUCINELLI Francesco, nella qualità
di erede di Fosca Maria, chiedevano la condanna del
Ministero della giustizia al pagamento del danno non
patrimoniale derivato dalla irragionevole durata della
procedura concernente il fallimento della Ditta Antonio De
Rocco S.p.a., iniziata con dichiarazione di fallimento da

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Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

parte del Tribunale di Lecce in data 7 giugno 1988, non
ancora conclusasi alla data della domanda, e nella quale
essi erano stati ammessi al passivo;
che l’adita Corte d’appello, stimata come ragionevole

complessità della procedura, riteneva che fosse
indennizzabile un ritardo di quattordici anni, atteso che
l’inizio del procedimento per ciascun creditore doveva
essere individuato nella data di insinuazione al passivo;
che, quanto all’indennizzo, la Corte d’appello, tenuto
conto del valore dei crediti ammessi e dell’atteggiamento
“contemplativo” dei ricorrenti, nonché sul presupposto che
l’indennizzo per irragionevole durata non dovesse superare
il valore della causa, liquidava un indennizzo di euro
1.804,00 in favore di Fracasso Sabina Maria, di euro
1.183,00 in favore di Astore Gabriella, di euro 3.508,00
in favore di Aventaggiato Mirella, di euro 4.494,00 in
favore di Bartolomeo Gabriella, di euro 3.616,00 in favore
di Cavallo Tommaso, di euro 6.024,00 in favore di De Marco
Antonio, di euro 3.235,00 in favore di Ferraro Vincenzina,
di euro 2.755,00 in favore di Grazia Lucia, di euro
2.474,00 in favore di Pizzolante Eugenia Francesca, di
euro 3.467,00 in favore di Russo Ferilli Laura, di euro
3.747,00 in favore di Scorrano Tommaso, di euro 887,00 in
favore di Sergi Maria Teresa, di euro 4.017,00 in favore

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una durata di nove anni in considerazione della

di

Spinelli

Tridici

Pasquale,

di

euro

3.254,00

in

favore

di

Ippazio Antonio,

di euro

3.538,00

in

favore

di

Salvatore Maria Rosaria,

di euro

2.174,00

in

favore

di

Stefano Salvatore, di euro 4.227,00 in favore di Perfetto

Francesco, nella qualità di erede di Fosca Maria, nei
limiti della quota ereditaria, oltre interessi al tasso
legale dalla data di presentazione della domanda al
soddisfo;
che avverso tale decreto i ricorrenti in epigrafe
indicati hanno proposto ricorso, affidato a sei motivi;
che l’intimato Ministero ha resistito con
controricorso.
Considerato che

il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo i ricorrenti deducono
violazione o falsa applicazione dell’art. 2 della legge n.
89 del 2001, dell’art. 6, par. l, della CEDU, dell’art.
111 Cost. e dell’art. 2056 cod. civ., nonché vizio di
motivazione, dolendosi del fatto che la Corte d’appello
abbia determinato la durata ragionevole della procedura
fallimentare presupposta in nove anni, in contrasto con le
indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo
cui la detta durata può essere al massimo di sette anni;

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Antonella e di euro 4.500,00 in favore di Cucinelli

che la Corte d’appello, ad avviso dei ricorrenti, non
avrebbe neanche illustrato le ragioni specifiche che nel
caso esaminato inducevano a ritenere ragionevole una
durata di nove anni, e non avrebbe considerato che dalla

nel senso della non complessità della procedura;
che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano
altra violazione degli artt. 2 e ss. della legge n. 89 del
2001, dell’art. 111 Cost., dell’art. l della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. l, della
CEDU, dell’art. 2056 cod. civ., nonché vizio di
motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti
decisivi, dolendosi della esiguità dell’indennizzo
riconosciuto, nonché del vizio di motivazione;
che, in particolare, i ricorrenti sostengono che la
Corte d’appello avrebbe errato nel qualificare come
contemplativo il loro comportamento, omettendo di
considerare che nella procedura fallimentare non sono
previsti strumenti sollecitatori in favore dei creditori e
nel ritenere che la posta in gioco non fosse rilevante;
che con il terzo motivo i ricorrenti denunciano
violazione dell’art. 110 c.p.c., nonché vizio di
motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti
decisivi, in relazione alla posizione del ricorrente
Cucinelli Francesco, in qualità di erede di Fosca Maria,

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relazione del curatore fallimentare emergevano elementi

dolendosi che la Corte d’appello abbia ritenuto rilevante
il solo periodo anteriore al decesso di quest’ultima;
che con il quarto motivo i ricorrenti denunciano altra
violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, degli

costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6, par. l, della
CEDU, dell’art. 11 delle preleggi, dell’art. 55 del
decreto legge n. 83 del 2012 e dell’art.

2-bis della legge

n. 134 del 2012, nonché vizio di motivazione
contraddittoria e omesso esame su fatti decisivi,
censurando il decreto impugnato per avere la Corte
d’appello fatto applicazione della disposizione da ultimo
citata – la quale effettivamente prevede che l’indennizzo
non possa superare il valore della causa in relazione alla
quale viene chiesto -, sebbene la stessa sia applicabile
ai soli ricorsi depositati dopo l’entrata in vigore della
legge di conversione;
che con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la
violazione dell’art. 3 Cost., degli artt. 2056, 1223 e
1226 cod. civ., nonché vizio di motivazione e omesso esame
su fatti decisivi, per avere la adita Corte liquidato
l’indennizzo tenendo conto del valore dei crediti ammessi
al passivo e dunque in misura non omogenea per tutti i
ricorrenti, nonché vizio di motivazione sul punto;

artt. 2056, 1223 e 1226 cod. civ., dell’art. l della legge

che con il sesto motivo i ricorrenti lamentano la
violazione dell’art. 429, terzo comma, cod. proc. civ.,
nella parte in cui il giudice non ha concesso, in aggiunta
alla condanna della sorte capitale, il maggior danno

gli interessi legali, da accordarsi, come previsto per i
giudizi di lavoro, dalla maturazione al soddisfo;
che all’esame dei motivi occorre premettere che la
presente controversia non è soggetta,

ratione temporis,

all’applicazione delle disposizioni introdotte dal d.l. n.
83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n.
134 del 2012, applicabili ai ricorsi depositati a
decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di
entrata in vigore della legge di conversione;
che, del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012
non può neanche riconoscersi natura di norme di
interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per
alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della
giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
non vi è nulla nel decreto-legge n. 83 del 2012 che possa
indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso
attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva,
avendo anzi espressamente dettato una specifica previsione
per la entrata in vigore della nuova disciplina;

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subito dai lavoratori per la diminuzione del credito oltre

che, tanto premesso, il primo motivo di ricorso è
fondato per quanto di ragione;
che, invero, questa Corte ha avuto modo di affermare
(Cass. n. 8468 del 2012), che la durata ragionevole delle

per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a
sette anni, allorquando il procedimento si presenti
notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in
presenza di un numero elevato di creditori, di una
particolare natura o situazione giuridica dei beni da
liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.),
della proliferazione di giudizi connessi alla procedura,
ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata
dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle
procedure concorsuali interdipendenti;
che, all’evidenza, la Corte d’appello si è discostata
dall’indicato orientamento ritenendo ragionevole una
durata di nove anni, adducendo a sostegno di tale
valutazione elementi che già concorrono a determinare la
complessità della procedura e a considerare ragionevole la
durata di sette anni in luogo di cinque anni;
che il primo motivo è invece infondato nella parte in
cui i ricorrenti pretendono di far risalire l’inizio della
procedura, rilevante ai fini dell’equa riparazione, alla
dichiarazione di fallimento, atteso che correttamente la

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procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni

Corte d’appello ha fatto riferimento alla data della
domanda di insinuazione al passivo (Cass. n. 2207 del
2010; Cass. n. 20732 del 2011);
che il secondo e il quarto motivo di ricorso,

fondati;
che, come già rilevato e come disposto dall’art. 55,
comma 2, del decreto-legge n. 83 del 2012, modificativo
della legge n. 89 del 2001, le previsioni nello stesso
contenute si applicano ai ricorsi depositati dal
trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore
della legge di conversione del decreto;
che, essendo stato il ricorso in questione depositato
in un momento antecedente a tale data, nessuna delle nuove
disposizioni può essere ad esso direttamente applicata,
con la conseguenza che il decreto impugnato è errato nella
parte in cui statuisce che, non potendo l’indennizzo
superare il valore della causa, lo stesso deve essere
liquidato nella minor somma in concreto ammessa al passivo
della procedura;
che il terzo motivo di ricorso è infondato;
che la continuità della posizione processuale degli
eredi intervenuti rispetto a quella del dante causa
prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., nel caso di specie
del ricorrente Cucinelli Francesco, non toglie che il

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all’esame dei quali può procedersi congiuntamente, sono

sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in
norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001, non si fonda
sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello
Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a

patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi
modulabili in relazione al concreto paterna subito, il
quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse
alla sua rapida conclusione (principio oramai consolidato:
vedi, da ultimo, Cass. n. 10517 del 2013; Cass. n. 995 del
2012);
che, dunque, essendo presupposto ineliminabile per la
legittimazione a far valere l’equa riparazione l’incidenza
che la non congrua durata del giudizio abbia su chi di
quel giudizio sia chiamato a far parte, non vi è luogo a
discorrere di equa riparazione sin tanto che il chiamato
all’eredità non sia, quanto meno, evocato in riassunzione,
atteso che fino a quel momento può mancare addirittura la
prova dell’assunzione – per accettazione espressa o per
facta concludentia – della stessa qualità di erede (Cass.
n. 4003 del 2014);
che tale principio risulta estensibile anche al caso
in cui il procedimento presupposto sia una procedura
fallimentare in quanto, senza una espressa manifestazione
in tal senso da parte dell’erede, alcuna prova può essere

beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni

data del patema d’animo sofferto in proprio dallo stesso a
causa della lungaggine processuale;
che il quinto e il sesto motivo di ricorso rimangono
assorbiti dall’accoglimento dei precedenti;

motivo di ricorso, rigettato il terzo, assorbiti il quinto
e il sesto, il decreto impugnato deve essere cassato;
che, tuttavia, non apparendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.
civ.;
che, in proposito, accertata la irragionevole durata
della procedura in sedici anni, alla liquidazione
dell’indennizzo può procedersi applicando il criterio di
500,00 euro per anno di ritardo, giudicato come congruo
nell’ormai prevalente e più recente giurisprudenza di
questa Corte Suprema in relazione alle procedure
fallimentari (Cass. n. 16311 del 2014) e determinando
l’ammontare dell’indennizzo, in favore di ciascuno dei
ricorrenti, in euro 8.000,00;
che, dunque, il Miniustero della giustizia deve essere
condannato al pagamento, in favore dei ricorrenti Scorrano
Tommaso, Fracasso Sabina Maria, Grazia Lucia, Tridici
Ippazio Antonio, Astore Gabriella, Bartolomeo Gabriella,
Russo Ferilli Laura, De Marco Antonio, Ferraro Vincenzina,

che, dunque, accolti il primo, il secondo e il quarto

Pizzolante Eugenia Francesca, Sergi Maria Teresa, Spinelli
Pasquale, Stefano Salvatore, Salvatore Maria Rosaria,
Aventaggiato Mirella, Perfetto Antonella e Cavallo
Tommaso, della somma di euro 8.000,00, oltre agli

che, in riferimento al ricorrente Cucinelli Francesco,
essendo la sua dante causa deceduta nel 2006, ed avendo
pertanto la stessa sofferto solo undici dei sedici anni di
durata irragionevole, il Ministero della giustizia deve
essere condannato al pagamento della somma di euro
5.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al
soddisfo;
che, quanto alle spese del giudizio, per quelle di
merito si ritiene debba essere confermata la liquidazione
effettuata con il decreto impugnato, con la disposta
distrazione in favore del difensore antistatario, mentre
quelle del giudizio di cassazione vanno poste a carico del
Ministero, in applicazione del principio della
soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
cassa

accoglie

il ricorso per quanto di ragione;

il decreto impugnato in relazione alle censure

accolte e, decidendo nel merito,

condanna

il Ministero

della giustizia al pagamento, in favore di ciascuno dei
ricorrenti Scorrano Tommaso, Fracasso Sabina Maria, Grazia

– 12 –

interessi legali dalla data della domanda al soddisfo;

Lucia, Tridici Ippazio Antonio, Astore Gabriella,
Bartolomeo Gabriella, Russo Ferilli Laura, De Marco
Antonio, Ferraro Vincenzina, Pizzolante Eugenia Francesca,
Sergi Maria Teresa, Spinelli Pasquale, Stefano Salvatore,

Antonella e Cavallo Tommaso di euro 8.000,00, oltre agli
interessi legali dalla data della domanda al saldo, e in
favore del ricorrente Cucinelli Francesco, in qualità di
erede di Fosca Maria, della somma di euro 5.500,00, oltre
agli interessi legali dalla data della domanda al saldo,
ferme le statuizioni in ordine alle spese del giudizio di
merito; condanna altresì il Ministero alla rifusione delle
spese giudizio di cassazione, in euro 700,00 per compensi,
oltre agli accessori di legge e alle spese forfettarie.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

Salvatore Maria Rosaria, Aventaggiato Mirella, Perfetto

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