Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10231 del 29/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/05/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 29/05/2020), n.10231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3318/2018 R.G. proposto da:

F.G., rappresentato e difeso dall’avv. Luisa Acampora del

Foro di Torre Annunziata, con domicilio eletto in Roma, Via Porpora

n. 12, presso lo studio Traisci Abbamonte;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, Sezione staccata di Salerno, n. 6289/9/17 pronunciata il

21.6.2017 e depositata il 6.7.2017.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

9.10.2019 dal Consigliere Giuseppe Saieva.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. F.G., già dipendente della N.A.T.O. Joint Force Command of Naples (JFC), Quartiere Generale Militare Internazionale, istituito in base al Trattato Nord Atlantico, proponeva ricorso avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione Finanziaria sull’istanza di rimborso dell’IRPEF versata sul trattamento pensionistico per gli anni 2010/2014, complessivamente ammontante a 97.302,62 Euro, ritenendo che tale imposta non fosse dovuta, in quanto gli stipendi ed emolumenti corrisposti agli impiegati del Quartieri Generali Interalleati delle Forze Alleate del Sud Europa dalla Nato fossero equiparabili a “retribuzione differita” privi di natura pensionistica e pertanto esenti da IRPEF ai sensi del D.P.R. 18 settembre 1962, n. 2083, art. 8.

2. La Commissione Tributaria Provinciale di Avellino rigettava il ricorso proposto dal contribuente il cui appello veniva egualmente rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno che con sentenza n. 6289/9/17 pronunciata il 2.6.2017 e depositata il 6.7.2017 riteneva trattarsi di somme assoggettabili ad Irpef.

3. Il F. ha quindi proposto ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi.

4. L’Agenzia delle entrate ritualmente intimata non si costituiva in giudizio.

5. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio del 9.10.2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 2083 del 1962, art. 8, accordo eseguito, lett. c), per non avere la commissione di appello tenuto conto che la norma esenta non solo gli emolumenti e retribuzione del personale Nato, ma anche i redditi da essi derivanti, oltre che erronea interpretazione della norma invocata”.

1.2. Detto motivo è privo di fondamento.

1.3. Il citato D.P.R. n. 2083 del 1962, art. 8, lett. c), prevede infatti che il personale civile assunto direttamente dai Quartieri generali interalleati è esente dal pagamento delle imposte erariali e locali sui redditi derivanti dagli stipendi ed emolumenti ad esso corrisposti dai quartieri generali interalleati. Dalla lettura della norma si evince che l’esenzione dal pagamento delle imposte sui redditi richiede che si tratti di “redditi derivanti dagli stipendi ed emolumenti” e che detti redditi siano corrisposti al personale civile “dai Quartieri generali interalleati nella loro qualità di impiegati di detti quartieri generali”. Tale esenzione concerne espressamente gli stipendi e gli emolumenti ad essi correlati percepiti in costanza del rapporto lavorativo, mentre la norma agevolativa non contiene alcuna menzione delle pensioni corrisposte dopo la cessazione del medesimo rapporto (cfr. Cass. Sez. V n. 5571/19).

1.4. Va pertanto disatteso l’assunto del ricorrente secondo cui il trattamento pensionistico erogato dalla N.A.T.O. in suo favore debba essere qualificato come “retribuzione differita” esente da tassazione.

1.5. Invero detta interpretazione non può essere condivisa, derivando da una interpretazione estensiva dell’art. 8 citato non consentita. In base all’art. 14 preleggi, infatti, le norme speciali, com’è quella agevolativa in esame, non sono applicabili al di là dello specifico caso concreto cui si riferiscono; in base a tale principio, questa Corte con indirizzo assolutamente consolidato, ha costantemente affermato che le norme che prevedono agevolazioni fiscali sono norme di stretta interpretazione, non applicabili a casi e situazioni non riconducibili al relativo significato letterale (cfr. ex plurimis: Cass. Sez. V, n. 16531 del 2019; n. 7517 del 2016).

1.6. La interpretazione letterale del D.P.R. n. 2083 del 1962, art. 8, comma 1, lett. c), che impone di attribuire la esenzione unicamente agli emolumenti derivanti dai rapporti di lavoro in corso di svolgimento, trova, peraltro, conferma nei principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 16098 del 18/8/2004 (che ha deciso in ipotesi analoga in cui era prevista l’esenzione per i redditi da lavoro prestato all’estero), secondo cui ” i redditi da pensione sono equiparati ai redditi da lavoro dipendente solo ai fini della loro inclusione nella base imponibile, ma non anche ai fini della loro esclusione, per cui l’esenzione disposta per gli uni (quali, appunto, i redditi da lavoro dipendente prestato all’estero) non si estende, in mancanza di una espressa disposizione di legge, ai redditi da pensione derivanti dal medesimo lavoro”, e ciò in quanto “le norme fiscali che prevedono esclusioni o esenzioni sono regole di stretta interpretazione, che non trovano applicazione se non nelle ipotesi da esse espressamente contemplate”. L’equiparazione dei redditi da pensione a quelli da lavoro dipendente è, infatti, dettata dalla finalità di “omogeneizzare il relativo trattamento tributario” e non anche per estendere ai primi una disposizione speciale prevista solo per una categoria ben precisa di lavoro dipendente (cfr. Cass. Sez. V n. 5571/19).

1.7. Va, d’altro, ricordato che le Sezioni Unite, sempre nell’ambito di controversie di lavoro, hanno precisato che gli emolumenti pensionistici, anche qualora siano erogati dallo stesso datore di lavoro ed abbiano natura di “retribuzione differita”, conservano la loro funzione previdenziale e non sono esattamente equiparabili ai redditi da lavoro dipendente, perchè “sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa” (Cass. Sez. U., n. 974 del 1/2/1997) e sono conseguentemente sottratti al criterio inderogabile di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro che caratterizza gli emolumenti da lavoro.

1.8. Alla stregua di tali principi è evidente l’erroneità della tesi che pretende di estendere il beneficio dell’esenzione dall’IRPEF, previsto dall’art. 8, citato in rubrica per gli stipendi, anche agli emolumenti percepiti dal personale NATO a titolo di trattamento pensionistico, valorizzando un elemento – quello della natura non previdenziale, ma retributiva dell’emolumento de quo – comunque destinato a non incidere sul regime fiscale ad esso applicabile. (cfr. Cass. Sez. V, n. 4422/19).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per mancata corretta valutazione dell’orientamento costante prevalente formatosi innanzi alle altre commissioni di secondo grado e delle motivazioni delle sentenze depositate”.

3. Con il terzo motivo deduce “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per errata interpretazione della risoluzione n. 285/e, nonchè mancato esame del motivo di ricorso”.

3.1. Con tali motivi il ricorrente ribadisce il proprio disappunto per essersi la C.T.R. discostata dall’orientamento di altri giudici di merito e per avere completamente ignorato le peculiarità degli emolumenti di quiescenza oggetto di contenzioso, omettendo di pronunciarsi sulla natura (retributiva o pensionistica) del trattamento di quiescenza NATO da lui percepito, trascurando in questo modo di sviluppare un punto cruciale per la decisione della controversia.

3.2. Tali motivi, suscettibili di trattazione unitaria in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.

3.3. Invero, trattandosi di sentenza pubblicata il 6.7.2017 deve essere applicato l’art. 360, comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale deve essere interpretato come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

3.4. In base a tale principio, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

3.5. Nel caso in esame il ricorrente non denuncia alcun omesso esame di un fatto storico, ma censura globalmente ed indistintamente la motivazione con cui la C.T.R. non avrebbe chiarito i motivi del proprio dissenso dalla corretta valutazione dell’orientamento costante prevalente formatosi innanzi alle altre commissioni di secondo grado e delle motivazioni delle sentenze depositate, pervenendo ad un’interpretazione normativa in senso diverso da quello da lui auspicato.

4. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in 5.600,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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