Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1023 del 17/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/01/2017, (ud. 05/10/2016, dep.17/01/2017),  n. 1023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5639-2015 proposto da:

L.A., LE.AD., L.F., B.N., nella

qualità di eredi legittimi di Br.Pi., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ANTONIO BAIAMONTI, 4, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA LIPPI, che li rappresenta e difende unitamente

e disgiuntamente all’avvocato GIANPIETRO ANELLO, giusta delega in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, emesso il

16/12/2013 e depositato il 09/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PICARONI ELISA;

udito l’Avvocato Andrea Lippi, per i ricorrenti, che si riporta al

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la Corte d’appello di Roma, con decreto depositato il 9 luglio 2014, ha accolto il ricorso proposto in data 24 settembre 2009 da L.P. nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, per il riconoscimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da irragionevole durata del giudizio di responsabilità per danno erariale, promosso a suo carico dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, con citazione in data 8 ottobre 1994 e concluso con sentenza di assoluzione in data 24 marzo 2009;

che, stimata in cinque anni la durata ragionevole del giudizio presupposto in ragione della particolare complessità, la Corte d’appello ha riconosciuto per l’eccedenza, pari ad anni 9 e mesi 5, la somma di Euro 13.500,00, con interessi dalla pronuncia al saldo;

che la stessa Corte ha ritenuto non provato il nesso causale tra la durata del giudizio presupposto e la patologia da stress, con sindrome nevrotico-depressiva, allegata dal ricorrente, che, per la cassazione del decreto, hanno proposto ricorso B.N., Le.Ad., L.A. e L.F., in qualità di eredi di L.P., sulla base di cinque motivi;

che il Ministero dell’economia e delle finanze resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata;

che con il primo motivo è denunciata nullità della sentenza per motivazione apparente, violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., art. 111 Cost., e si contesta che l’affermazione della Corte d’appello in ordine alla “mancanza di elementi concreti di valutazione” del danno biologico concretava una ipotesi paradigmatica di motivazione apparente, in quanto priva di riferimenti al materiale probatorio prodotto dal ricorrente, peraltro non contestato dall’Amministrazione;

che con il secondo motivo è denunciato, in subordine, omesso esame di un fatto decisivo con riferimento alla mancata valutazione della documentazione medica allegata al ricorso per equa riparazione;

che le doglianze, da esaminare congiuntamente per l’evidente connessione, sono infondate;

che questa Corte ha chiarito da tempo che il danno biologico che si assuma derivare dalla durata eccessiva del giudizio non può ritenersi presuntivamente sussistente come voce autonoma (ed ulteriore rispetto al paterna d’animo e alla sofferenza morale normalmente insiti nell’accertamento che il processo non si è concluso nei termini fisiologici), essendo necessaria la prova dell’esistenza del pregiudizio alla salute, fisica o psichica, e del nesso di causalità tra l’irragionevole durata del processo e il danno (Cass., sez. 2, sent. n. 14636 del 2012; Cass., sez. 1, sent. n. 6294 del 2007);

che, nel caso in esame, la Corte d’appello ha fatto applicazione del principio richiamato, ed ha escluso il risarcimento del danno biologico per carenza di prova del nesso causale, specificando che non vi erano elementi concreti di valutazione dai quali desumere il rapporto diretto ed immediato tra la durata della vicenda processuale e la patologia allegata dal ricorrente;

che non sussiste, all’evidenza, il vizio di omessa pronuncia nè di omesso esame del fatto decisivo, non essendo in tal senso rilevante la mancata specifica disamina del contenuto della produzione documentale della parte (ex plurimis, Cass., Sez. U, sent. n. 8053 del 2014), mentre la doglianza si risolve nella sollecitazione di un riesame dell’accertamento in fatto, che è precluso in questa sede;

che con il terzo motivo è denunciata violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 1123 c.c. e si contesta il mancato riconoscimento del danno patrimoniale derivante dall’immobilizzazione di beni fruttiferi – a mezzo sequestro – per un tempo non ragionevole;

che con il quarto motivo i ricorrenti denunciano, subordinatamente al motivo che precede, nullità della sentenza per motivazione apparente e violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., art. 111 Cost., e si contesta l’incongruenza dell’argomento svolto dalla Corte d’appello per giustificare il rigetto della richiesta di danno patrimoniale, e cioè che la durata della misura cautelare non comporta automaticamente l’ingiustizia del provvedimento adottato;

che le doglianze, da esaminare congiuntamente perchè connesse, sono infondate;

che il sistema delineato dal legislatore con la L. n. 89 del 2001 sanziona l’inefficienza dell’Amministrazione giudiziaria nell’esercizio della funzione giurisdizionale con riferimento alla durata del processo, rispetto alla quale assume rilievo esclusivo il tempo “irragionevole” trascorso tra l’introduzione del giudizio e la sua definizione, in ciò sostanziandosi l’ingiustizia che dà luogo all’obbligazione ex L. n. 89 del 2001;

che, con riferimento al danno patrimoniale, si deve ritenere esclusa in radice la risarcibilità ex L. n. 89 del 2001 del pregiudizio che si assuma derivato dall’emanazione e dal mantenimento di provvedimenti endoprocessuali, quali tipicamente le misure cautelari, strumentali alla decisione di merito;

che, in tali evenienze, il pregiudizio non discende direttamente dalla durata irragionevole del giudizio, bensì dalla eventuale mancanza dei presupposti della disposta cautela, da accertarsi secondo una valutazione ex ante, non essendo a tal fine sufficiente che nel merito il giudizio si sia concluso a favore della parte nei cui confronti sia stata disposta la cautela;

che con il quinto motivo è denunciata violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 1173, 1223, 1224 e 2056 c.c., e si contesta la statuizione sulla decorrenza degli interessi, che la Corte d’appello ha riconosciuto a far tempo dalla decisione anzichè dalla domanda di equa riparazione;

che la doglianza è fondata;

che dal carattere indennitario dell’obbligazione ex L. n. 89 del 2001 discende che gli interessi legali, ove richiesti, decorrono dalla data della domanda di equa riparazione (ex plurimis, e da ultimo, Cass., sez. 6 – 2, sent. n. 15732 del 2016);

che il ricorso va accolto limitatamente al quinto motivo e, non essendo necessari accertamenti di fatto, questa Corte può procedere nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e per l’effetto riconoscere gli interessi legali sull’importo come liquidato, a decorrere dalla data della domanda di equa riparazione;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, cassa il decreto impugnato relativamente al motivo accolto e, decidendo nel merito, riconosce al ricorrente gli interessi legali sull’importo di Euro 13.500,00 dalla data della domanda di equa riparazione. Condanna il Ministero dell’economia e delle finanze alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2017

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