Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10227 del 29/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/05/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 29/05/2020), n.10227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 12251-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI persona del Direttore pro

tempere, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHEI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta ed

difende;

– ricorrente –

contro

CENTRO ASSISTENZA DOGANALE LA SPEZIA SRL IN LIQUIDAZIONE,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. D’AREZZO 18, presso lo

STUDIO LEGALE E TRIBUTARIO CBA, rarresentato e difeso dagli avvocati

FERRI GIALUCA ANTONIO FRANCESCO, IACOBONE GIORGIO MARCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 636/2017 della COMM. TRIB. REG. della Liguria,

depositata il 02/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2019 dal Consigliere Dott. ARMONE GIOVANNI MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. l’Agenzia delle dogane e dei monopoli propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Genova n. 636, depositata il 2 maggio 2017, che ha confermato la sentenza di primo grado con cui è stato annullato l’atto di contestazione sanzioni n. (OMISSIS) del 6 maggio 2009 emesso dalla stessa Agenzia a carico della CAD La Spezia s.r.l.;

2. che il ricorso è affidato a tre motivi;

3. che resiste con controricorso la CAD La Spezia srl in liquidazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. preliminarmente, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controricorrente;

2. con la prima eccezione, la CAD La Spezia sostiene l’inammissibilità del ricorso avversario in ragione del fatto che la CTR, con la sentenza impugnata, non si è espressamente pronunciata su un motivo di appello concernente la responsabilità solidale del dichiarante rispetto alle violazioni contestate e il conseguente potere di applicare sanzioni nei suoi confronti; poichè tale motivo di gravame non è stato riproposto nel ricorso per cassazione con cui è stata impugnata la sentenza della CTR, si sarebbe formato il giudicato interno in relazione alla carenza di responsabilità del CAD per la sanzione in contestazione;

3. l’eccezione è infondata;

4. la sentenza impugnata, pur non pronunciandosi espressamente sul motivo di gravame dedotto dall’Agenzia, ha affrontato il merito della causa sottoposta al suo giudizio, escludendo la responsabilità del dichiarante-spedizioniere in concreto;

5. in tal modo la CTR ha esaminato una questione che implicava l’affermazione della astratta configurabilità di una responsabilità del dichiarante per le violazioni addebitabili all’importatore e ha così implicitamente accolto (e non già implicitamente respinto, come sostenuto nel controricorso) il primo motivo di appello dell’Agenzia;

6. non può dirsi dunque formato un giudicato favorevole all’attuale controricorrente, giacchè su quella questione essa era semmai soccombente;

7. la seconda eccezione, concernente la presunta violazione del principio di autosufficienza del ricorso, è infondata, poichè il ricorso deduce vizi della sentenza impugnata che non richiedono il reperimento di atti processuali, documenti o altri elementi esterni al ricorso e alla sentenza impugnata, e dunque non richiedono l’enunciazione in ricorso di dati necessari alla loro individuazione, che non siano i passaggi della sentenza che si affermano affetti dagli stessi vizi denunciati;

8. passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo motivo parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione degli art. 132 c.p.c., n. 3 e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 3; la sentenza non conterrebbe nè la concisa esposizione dello svolgimento del processo, nè le richieste delle parti;

9. il motivo è infondato, in quanto la sentenza della CTR, pur molto sintetica, contiene l’indicazione dell’oggetto dell’atto sanzionatorio originariamente impugnato, la descrizione dell’iter processuale, con l’esito del giudizio di primo grado, le ragioni dell’appello proposto dall’Agenzia, soccombente in primo grado, ragioni individuate per relationem mediante rinvio al fondamento dell’accertamento tributario da cui è scaturita la sanzione;

10. ciò è sufficiente a integrare i requisiti che la sentenza deve possedere ai sensi delle norme di cui si invoca la violazione e dunque a escluderne la nullità;

11. con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303, comma 3, (Testo Unico delle leggi Doganali, d’ora in avanti TULD);

12. in particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame abbia erroneamente ritenuto che il citato art. 303, nel prevedere l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria “qualora le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità ed al valore delle merci destinate alla importazione definitiva, al deposito o alla spedizione ad altra Dogana con bolletta di cauzione, non corrispondano all’accertamento”, non possa trovare applicazione quando venga riscontrata una differenza di origine delle merci;

13. con il terzo motivo, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5 e dell’art. 201 del Reg. CEE n. 2454/93 del 2 luglio 1993 (Codice Doganale Comunitario, d’ora in avanti CDC), vigente “ratione temporis”. In particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame abbia fondato la propria decisione sulla presunta buona fede dell’importatore, trascurando che nel sistema degli illeciti amministrativi tributari vige una presunzione di colpa di colui che commetta l’atto vietato, spettando a quest’ultimo l’onere di dimostrare l’inevitabilità della violazione;

14. il secondo e il terzo motivo, da analizzare congiuntamente, sono palesemente fondati;

15. secondo il costante orientamento di questa S.C., che va qui ribadito, “i termini adoperati dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 303, comma 1, (qualità, quantità, valore) costituiscono una esemplificazione dell’elemento oggettivo destinato all’importazione e specificamente considerato ai fini del pagamento del dazio e sottointendono la relazione di necessaria corrispondenza sostanziale che deve sussistere tra l’oggetto della dichiarazione doganale e l’oggetto dell’accertamento; poichè nel concetto di “qualità” di una merce rientra qualsiasi caratteristica, proprietà o condizione che serva a determinarne la natura e a distinguerla da altre simili, vi rientra anche l’origine (o la provenienza), in quanto elemento sintomatico delle specificità del prodotto”; l’art. 303, comma 1, “punisce anche la dichiarazione non veritiera sull’origine delle merci, poichè l’origine è elemento distintivo della qualità, coperto dall’interpretazione estensiva (non analogica) della norma sanzionatoria” (Cass., Sez. V, 25.1.2019, n. 2169 e ivi ampi riferimenti ai precedenti di questa Sezione);

16. come in altra occasione la S.C. ha avuto modo di osservare, “tale interpretazione si impone non solo in forza dei principi nazionali di interpretazione del diritto, quanto per la natura cogente della normativa comunitaria e delle pronunce della Corte di giustizia di materia. Ai sensi dell’art. 66 e ss. del Reg. CEE n. 2454/93 del 2.7.1993 della commissione, la comunità Europea accorda preferenze tariffarie a taluni prodotti originari di paesi in via di sviluppo. In forza di tale regolamento, applicabile in tutti paesi dell’Unione Europea, i parametri in base ai quali una determinata merce viene assoggettata ai diritti di confine sono: qualità, quantità, valore e origine. Pertanto l’esatta classificazione dell’origine della merce concorre nella tassazione in maniera determinante, contribuendo a realizzare misure protezionistiche, quali l’antidumping oppure misure a sostegno delle economie dei paesi sviluppati e, in tal caso, si parla di origine preferenziale quando la norma comunitaria prevede una deroga di favore al dazio e alla fiscalità ovrebbe essere assoggettata una determinata merce provenientE da paesi extracomunitari. Il certificato di origine, ai sensi dell’art. 81 Reg. CEE n. 2454/93 è condizione per l’ottenimento del beneficio daziario all’atto dell’introduzione della merce nella comunità, rappresentato dal certificato EUR 1 che costituisce prova dell’origine della merce, mentre l’autorità doganale del paese importatore, nella fattispecie la dogana italiana, non ha alcuno autonomo potere di determinazione in ordine all’accertamento dell’origine del prodotto, dovendo procedere al riscontro particolare del certificato d’origine” (Cass., Sez. V, 3.8.2012, n. 14030);

17. non includere l’origine, tra le qualità della merce che devono essere indicate in dichiarazione, equivarrebbe a vanificare un profilo fondamentale del sistema daziario di matrice comunitaria ed Eurounitaria;

18. non è pertanto corretta la conclusione cui è giunta la CTR nella sentenza impugnata, secondo cui la vera origine delle merci, a differenza degli altri elementi elencati dall’art. 303, non sarebbe verificabile dall’importatore, con la conseguenza che la falsa dichiarazione rispetto a tale elemento non potrebbe portare all’irrogazione delle sanzioni;

19. in tal modo, la sentenza impugnata sovrappone indebitamente l’elemento oggettivo dell’illecito con quello soggettivo; la possibilità di ricomprendere l’origine della merce tra le qualità che la contraddistinguono va valutata oggettivamente, sulla base di un’interpretazione letterale e funzionale del dato normativo del tipo sopra illustrato, che prescinde dalla conoscenza o conoscibilità in astratto della provenienza; solo dopo aver sciolto in senso affermativo tale nodo e aver dunque stabilito che anche l’origine rientra tra le qualità della merce che devono formare oggetto di dichiarazione veritiera, sarà possibile valutare, caso per caso, l’elemento soggettivo dell’infrazione; a voler diversamente ritenere, anche avendo la certezza che il dichiarante conoscesse l’origine effettiva della merce, e dunque in presenza di una sua falsa dichiarazione dolosa, l’importatore e gli altri obbligati andrebbero esenti da sanzione;

20. passando all’esame specifico del terzo motivo, concernente l’elemento soggettivo dell’illecito, ne va anzitutto valutata l’ammissibilità;

21. la controricorrente la mette in dubbio sulla base di due argomenti: da un lato, il motivo di ricorso, benchè dedotto in termini di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, tenterebbe di introdurre nel giudizio di legittimità questioni di fatto inerenti alla valutazione degli elementi di prova; dall’altro lato, e in forza di tale riqualificazione del motivo, lo stesso sarebbe inammissibile ex art. 348-ter c.p.c., comma 5;

22. le due eccezioni di inammissibilità non sono fondate;

23. il motivo di ricorso in esame non pretende di far compiere alla Corte un nuovo accertamento di fatto, ma sostiene che il giudice di merito, nel compiere tale accertamento con particolare riferimento all’elemento soggettivo dell’illecito, si è fatto guidare da canoni contrari alla legge, per avere sostanzialmente affermato che la buona fede dell’importatore, utile a escluderne la responsabilità, è presunta;

24. in tal modo, parte ricorrente denuncia – fondatamente, come tra breve si dirà – un errore di sussunzione del fatto nella fattispecie legale; il motivo ricade dunque sotto l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

25. da ciò discende l’infondatezza anche della seconda eccezione di inammissibilità, dato che l’art. 348-ter c.p.c., comma 5, esclude la ricorribilità per cassazione della doppia conforme solo per il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ipotesi che qui non ricorre;

26. quanto alla questione oggetto del motivo di ricorso, va rammentato che il D.Lgs. n. 513 del 1997, art. 5, sostanzialmente

riproducendo nella materia tributaria la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass., Sez. V, 3.8.2012, n. 14030); una volta integrata la fattispecie tipica, con le precisazioni sopra svolte a proposito dell’origine della merce, non spetta dunque all’Amministrazione dimostrare la presenza del dolo o della colpa, nè è rilevabile d’ufficio una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa (Cass., Sez. V, 14.3.2014, n. 5965; Cass., Sez. V, 3.8.2012, n. 14030; Cass., Sez. V, 15.6.2011, n. 13068; Cass., Sez. V, 25.10.2006, n. 22890);

27. come osservato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nel settore contiguo degli illeciti amministrativi in materia di intermediazione finanziaria, “negli illeciti di mera trasgressione, la loro stessa morfologia renda impossibile individuare, sul piano funzionale, un’intenzione o una negligenza nell’azione, ossia una condotta esterna onde ricostruire i tratti dell’atteggiamento interiore: l’azione, dolosa o colposa che sia, esaurendosi in una mera trasgressione, si identifica allora con la condotta inosservante (la cd. suitas), la quale appare neutra proprio sotto l’ulteriore profilo del dolo o della colpa. Ciò perchè la condotta illecita, in tal caso, è priva di un risvolto naturalistico e non fornisce indizi percepibili dell’atteggiamento soggettivo e psicologico, onde la tipicità del dolo o della colpa si riducono alla mera “suità” della condotta inosservante, il cui aspetto esteriore appare compatibile con entrambi i possibili atteggiarsi dell’elemento soggettivo dell’illecito. Così, tanto in caso di illecito monosoggettivo di mera trasgressione, quanto in caso di concorso omissivo nell’illecito medesimo (e con riferimento tanto a un divieto quanto a un comando), la mancanza di indizi visibili da cui inferire l’atteggiamento colpevole induce legittimamente a presumerlo entro la (soddisfacente) dimensione della suitas della condotta, e ciò per evitare impraticabili e defatiganti indagini di tipo introspettivo dal punto di vista dell’accertamento processuale, ove la mancanza in rerum natura di un’azione che rechi le stimmate di un atteggiamento predicabile come colpevole consente ed anzi impone al giudice di limitarsi ad individuare l’autore imputabile dell’inosservanza, senza necessità di ulteriori indagini in ordine ad una condotta da verificarsi come modulata sul piano del dolo o della colpa. In questi sensi ed entro questi limiti va pertanto condiviso l’acuta riflessione della migliore dottrina penalistica secondo cui il giudizio di colpevolezza è un giudizio “normativo”, inteso sia come verifica della mancanza di elementi di inesigibilità, sia come valutazione legale del processo motivazionale, così che per autori “normali” che agiscono in situazioni “normali” si può supporre la rimproverabilità della condotta, una volta constatatane con certezza la suitas, qualora possa specularmente escludersi l’esistenza di circostanze anomale che abbiano reso incolpevole il comportamento trasgressivo e, dunque, inesigibile quello osservante. Il giudizio di “colpevolezza colposa” è ancorato, dunque, a parametri normativi, esterni al dato puramente psicologico. Tale, condivisibile impostazione del problema della prova dell’elemento soggettivo è del tutto idonea, a giudizio di queste sezioni unite, a fondare, mutatis mutandis, la legittimità della cd. “presunzione di colpa”, e della conseguente “inversione” dell’onere probatorio: sarà lo stesso autore “normale” – e dunque presuntivamente colpevole – che dovrà allegare quelle circostanze “anomale” impeditive di un giudizio di riprovevolezza” (Cass., Sez. Un., 30.9.2009, n. 20930);

28. nel caso in esame, la CTR ha invece desunto l’assenza di colpa dell’importatore sulla base di una semplice quanto erronea inferenza logica, facendo derivare l’assenza di colpa dal tipo di irregolarità su cui si fondava l’avviso di rettifica, trascurando inoltre la natura di operatore professionale dello spedizioniere-dichiarante e dunque la necessità che a fortiori fosse tale operatore professionale a fornire gli elementi concreti a propria discolpa, idonei ad escluderne la responsabilità;

29. la sentenza impugnata va dunque cassata con riferimento ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della stessa CTR della Liguria, che deciderà uniformandosi ai principi sopra illustrati, provvedendo altresì in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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