Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10227 del 26/04/2017


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Cassazione civile, sez. un., 26/04/2017, (ud. 22/11/2016, dep.26/04/2017),  n. 10227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. PICCININI Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12813-2016 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO

NIBBY 7, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO GUARINO, che la

rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA, PROCURATORE GENERALE

DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, PROCURATORE

GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA, PROCURATORE

GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 26/2016 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

emessa il 24/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2016 dal Consigliere Dott. VIRGILIO BIAGIO;

udito l’Avvocato Giancarlo GUARINO;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.P. venne iscritta, in data 20 giugno 2013, nella sezione speciale degli avvocati stabiliti dell’albo di Roma, ai sensi del D.Lgs. n. 96 del 2001, art. 6, in virtù del titolo di avocat conseguito in Romania. Il COA di Roma, dopo ampia istruttoria avviata a seguito di nota del Ministero della giustizia e di circolare del CNF aventi ad oggetto l’organizzazione dell’avvocatura in Romania, con Delib. 7 novembre 2013, dispose la cancellazione dell’iscrizione poichè il titolo di avocat era stato rilasciato alla P. dalla Uniunea Nationala a Barourilor din Romania (UNBR), struttura Bota, con sede in Bucarest, Str. Academiei, cioè da un organo non abilitato al rilascio, essendo competente soltanto la Uniunea Nationala a Barourilor din Romania (UNBR), con sede in Bucarest, Palatul de Justitie, Splaiul Independentei n. 5.

Avverso la decisione del COA la P. propose ricorso al Consiglio nazionale forense, il quale lo ha rigettato con sentenza n. 26 del 2016, notificata il 19 aprile 2016.

Premesso di aver richiesto informazioni al Ministero della giustizia, il CNF ha ritenuto che la ricorrente non fosse iscritta presso la “competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine” (come richiede del D.Lgs. n. 96 del 2001, art. 6), requisito da accertare a mezzo del sistema di cooperazione tra autorità degli Stati membri dell’Unione europea denominato IMI (Internai Market Information System), il cui utilizzo è divenuto obbligatorio in materia ai sensi dell’art. 3 del Regolamento UE n. 1024/2012 del 25 ottobre 2012 (come confermato dalla Direttiva 2013/55/UE pubblicata il 28 dicembre 2013).

2. Avverso questa sentenza P.P. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato con memoria, chiedendo preliminarmente la sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato.

3. Il COA di Roma non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia “violazione di legge per travisamento dei fatti a proposito della cogenza del Regolamento UE 1024/12 rispetto alla Direttiva 98/5/CE e la normativa nazionale di riferimento di cui D.Lgs. n. 96 del 2001, art. 6, comma 2, erronea applicazione al caso delle Direttive 2005/36/CE e 2013/55/CE”.

Osserva, in sintesi, che: la sentenza del CNF si è basata su una nota del Ministero della giustizia (non parte in causa), priva di effetto vincolante; l’IMI costituisce mero strumento di cooperazione amministrativa, senza alcuna efficacia obbligatoria; è errato ritenere che l’individuazione dell’organismo competente ad emettere titoli professionali utili all’iscrizione negli albi speciali debba avvenire in base alla sua presenza nell’archivio IMI; la mancata iscrizione all’IMI di una associazione professionale non ha alcun effetto giuridico all’interno degli Stati membri.

Col secondo motivo, è denunciata “violazione degli artt. 11 e 12 preleggi, a proposito dell’efficacia della legge nel tempo e dell’interpretazione letterale della legge – difetto di motivazione. Violazione L. n. 241 del 1990, art. 3 e artt. 113 e 97 Cost., difetto di motivazione”.

La ricorrente deduce che, all’epoca della sua iscrizione nell’albo degli avvocati stabiliti (20 giugno 2013), il Regolamento (UE) n. 1024/2012 non era in ogni caso obbligatorio, essendolo semmai divenuto solo a seguito della citata Direttiva 2013/55/UE del 20 novembre 2013; aggiunge che la sentenza impugnata è priva della necessaria indicazione del percorso logico-giuridico in base al quale è pervenuta ad emettere la decisione.

1.2. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili.

Queste Sezioni unite hanno già affermato, in controversie del tutto analoghe alla presente (Cass., Sez. U., 4/11/2016, nn. 22398 e 22399; 7/11/2016, n. 22517; 9/11/2016, n. 22719, ed altre), che l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati comunitari stabiliti è subordinata, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della direttiva n. 98/5/CE, e del D.Lgs. n. 96 del 2001, art. 6, comma 2, al solo requisito dell’iscrizione “presso la competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine”.

Nel caso di specie, il CNF, sulla base della documentazione acquisita, e in particolare della nota del Ministero della giustizia italiano, che ha svolto i relativi accertamenti attraverso il sistema di informazione del mercato interno – denominato IMI – per la cooperazione amministrativa tra le autorità competenti degli Stati membri, ha ritenuto che il titolo esibito dalla ricorrente ai fini dell’iscrizione in Italia non fosse stato rilasciato dall’organismo competente, essendo questo individuato dalla Romania esclusivamente nella U.N.B.R. con sede nel palazzo di giustizia di Bucarest.

Ne deriva che la censura che investa l’esito negativo della detta verifica compiuta dal Consiglio nazionale forense – il quale non ha posto in discussione il sistema delineato dal D.Lgs. n. 96 del 2001, in attuazione della direttiva comunitaria 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998 – si risolve nella prospettazione di un vizio di motivazione che, giusta il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non può riguardare un erroneo apprezzamento delle risultanze istruttorie ovvero il travisamento di fatti comunque esaminati nella decisione impugnata.

2. Con la terza censura, è denunciata la violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., nonchè dell’art. 6 CEDU, per difetto di imparzialità del giudice, poichè il CNF aveva già espresso la propria posizione nella circolare del 25 settembre 2013.

Il motivo è inammissibile, in quanto l’ipotizzato difetto di terzietà avrebbe dovuto formare oggetto di istanza di ricusazione (Cass., Sez. U., 21/7/2016, n. 15043).

3. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies, per nullità del provvedimento di cancellazione in autotutela.

Il motivo è inammissibile, non risultando che sia stato proposto nel ricorso al CNF.

4.1. In memoria la ricorrente chiede di rimettere alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in via pregiudiziale, la questione dell’applicabilità e della efficacia, nella materia de qua, dell’IMI.

La richiesta deve essere disattesa, poichè nel caso di specie, come detto sopra al par. 1.2., non viene in rilievo una questione di interpretazione della normativa comunitaria concernente il predetto sistema di collaborazione tra Stati membri, ma unicamente la rilevanza che, sul piano probatorio, assumono le informazioni che dall’indicato organismo provengono: quindi, non interpretazione della normativa comunitaria, alla quale il ricorrente pretende di riconoscere un’efficacia diversa da quella ad essa attribuita dal CNF, ma unicamente apprezzamento delle prove, anche documentali, concernenti la provenienza del titolo abilitante all’esercizio della professione da un organismo effettivamente abilitato, nel proprio ordinamento, a rilasciare quel titolo (nello stesso senso, Cass., Sez. U., n. 22398 del 2016, cit.).

4.2. La ricorrente, infine, sempre in memoria, denuncia la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 17 e del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 43, nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., per non essere stata convocata dinanzi al COA di Roma prima dell’adozione del provvedimento di cancellazione dall’albo.

Il motivo è inammissibile in quanto proposto per la prima volta nella memoria ex art. 378 c.p.c..

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, non avendo svolto attività difensiva l’intimato Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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