Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10226 del 26/04/2017


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Cassazione civile, sez. un., 26/04/2017, (ud. 22/11/2016, dep.26/04/2017),  n. 10226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. PICCININI Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. BIELLI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14320/2016 R.G. proposto da:

S.M., nato a (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale in calce al ricorso, dall’avvocato Nicola Massari,

elettivamente domiciliato in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n.

18, presso lo studio associato Grez;

– ricorrente –

contro

Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi; Procuratore

generale presso la Corte di Cassazione; Consiglio Nazionale Forense;

– intimati –

322 avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 78 del 24

settembre 2015, depositata in pari data e notificata il 6 maggio

2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22

novembre 2016 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Bielli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore Generale

Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Nicola Massari, che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con sentenza n. 78 del 24 settembre 2015, depositata in pari data e notificata il 6 maggio 2016, il Consiglio Nazionale Forense (hinc: “CNF”) rigettava il ricorso proposto dall’avvocato S.M. avverso la decisione del 31 luglio 2012, depositata il 14 maggio 2013 e notificata il 2 luglio successivo, con la quale il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi (hinc: “COA”), in esito alla definizione di sette procedimenti disciplinari, riuniti e decisi congiuntamente, gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di dodici mesi.

La sentenza del CNF premetteva in punto di fatto (per quanto qui interessa) che: a) i procedimenti disciplinari riguardavano fatti commessi dal 2006 al 2010; b) in particolare, nell’ambito di tali procedimenti, quello n. 38/10 riguardava anche l’addebito di omessa informazione della cliente dell’esito di una richiesta risarcitoria avanzata nel 1995 (per la quale, già l’8 agosto 1995, era intervenuta dichiarazione liberatoria rilasciata dalla cliente in favore del destinatario della richiesta), e di tardiva consegna del carteggio della corrispondente pratica, avvenuta solo in data 11 febbraio 2008; c) l’incolpato aveva impugnato la decisione del COA eccependo: c.1) il mancato credito attribuito alla certificazione medica attestante il suo impedimento a comparire all’adunanza del 31 luglio 2012; c.2) la prescrizione del suddetto illecito; c.3) in relazione a tutti gli illeciti per i quali era stato ritenuto responsabile, la mancata verbalizzazione dei dispositivi delle decisioni endoprocedimentali prese del COA, ivi compresa quella di rigetto dell’istanza di rinvio proposta dall’incolpato per asseriti motivi di salute; c.4) per gli stessi addebiti, l’erroneità o il difetto di motivazione della pronuncia o vizi procedurali di natura istruttoria; c.5) la mancata comunicazione dell’esposto a base del procedimento n. 57/08.

Su queste premesse, lo stesso CNF, nel rigettare il ricorso, osservava che: a) l’impedimento a comparire all’adunanza del 31 luglio 2012 non emergeva dal certificato medico (attestante solo un “cardiopalmo”, con attribuzione di tre giorni di convalescenza o riposo); b) il comportamento di cui al suddetto addebito ricompreso nel procedimento n. 38/10 aveva natura continuata e, pertanto, non si era maturata la prescrizione invocata dall’incolpato (il termine prescrizionale dell’azione disciplinare decorreva dalla cessazione dell’illecito continuato, cioè dall’11 febbraio 2008, ed era stato interrotto sia dalla notifica in data 9 giugno 2011, della Delib. di apertura del procedimento disciplinare, sia dall’apertura in data 22 luglio 2013 del procedimento davanti al CNF); c) la documentazione in atti del procedimento, avente efficacia probatoria fino a querela di falso, era dettagliata e il ricorrente avrebbe dovuto censurare la decisione del COA e non i verbali del processo; d) la valutazione dei fatti contenuta nella decisione del COA era ampiamente motivata e non era infirmata dalla diversa ricostruzione sollecitata dal ricorrente; e) la mancata immediata comunicazione dell’apertura del procedimento n. 57/08 non era causa di nullità.

2.- Avverso la decisione del CNF il SALERNO ha proposto ricorso per cassazione notificato lunedì 6 giugno 2016 al CNF, al COA ed al Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Il ricorso è articolato in quattro complessi motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Va dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti del CNF, che – in quanto soggetto terzo rispetto alla controversia e organo autore della impugnata decisione – è privo di legittimazione nel presente giudizio, le cui parti vanno individuate esclusivamente nel soggetto destinatario del provvedimento impugnato, nel COA locale che, in sede amministrativa, ha deciso in primo grado e nel pubblico ministero presso la Corte di Cassazione (ex plurimis, Cass., Sezioni Unite, n. 9075 del 2003; n. 19513 del 2008; n. 26182 del 2006; n. 1716 del 2013; n. 3670 del 2015; n. 26996 del 2016).

2.- Il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, artt. 42 e 43 e dell’art. 24 Cost., perchè il CNF (nel considerare ingiustificata l’assenza dell’incolpato all’udienza 31 dicembre 2012 e nel valutare, con eccesso di potere, l’inattendibilità della presentata certificazione medica sull’impedimento a comparire dell’incolpato, senza valutare adeguatamente il referto) ha ritenuto legittimo che il COA decidesse senza aver sentito il S..

2.1.- Il primo motivo va interpretato come denuncia di violazione di legge consistita nell’avere il COA deciso degli illeciti senza aver “sentito il professionista”. Non possono essere qui presi in considerazione altri aspetti (pur adombrati nel motivo) attinenti a vizi della motivazione della sentenza nella parte in cui il CNF ha ritenuto adeguatamente motivata la decisione del COA circa l’inattendibilità della certificazione medica sull’impedimento a comparire dell’incolpato: tali vizi della motivazione, infatti, non potrebbero essere esaminati sotto il profilo (l’unico prospettato) della violazione di legge.

Il motivo, come sopra interpretato, non è fondato.

Infatti, come chiarito nella sentenza, il professionista non è stato sentito perchè è stata ritenuta inattendibile la certificazione medica sull’impedimento a comparire per la seduta fissata per l’audizione. Tale valutazione è sufficiente a giustificare la mancata audizione e ad escludere la dedotta violazione di legge (tra le altre, Cass., Sezioni Unite, n. 12608 del 2012).

Solo per completezza può qui aggiungersi che dalla sentenza del CNF risulta un attento esame del certificato medico prodotto dal professionista e la non irragionevole valutazione che detto certificato (nel diagnosticare un “cardiopalmo” e nel prescrivere tre giorni di convalescenza o riposo) non implicava l’attestazione di un impedimento assoluto a presenziare alla seduta (vedi, per casi simili, ex plurimis, Cass., Sezioni Unite, n. 3670 del 2015; n. 1715 del 2013).

3.- Il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, cumula diverse censure, tra loro non distinte.

Da un lato viene denunciata – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 111 Cost., per omessa pronuncia sul merito del procedimento disciplinare n. 38/2010 “avviato dalla signora M.”, pur avendo il CNF ritenuta non intervenuta la prescrizione per tale illecito e pur avendo l’incolpato sollevato uno specifico motivo di impugnazione in via subordinata alla preliminare eccezione di prescrizione. Dall’altro, viene denunciata – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per “vizio di motivazione in ordine all’omessa pronuncia nel merito del procedimento disciplinare n. 38/2010”. Nel motivo si afferma anche che l’indicata mancanza della motivazione integra violazione di legge e, infine, che la sentenza del CNF, in relazione al predetto illecito, alla pag. 3 ha rigettato l’eccezione di prescrizione, mentre alla pag. 11 ha affermato l’intervenuta prescrizione.

3.1.- Il secondo motivo, così come formulato dalla parte, è inammissibile per diverse ed autonome ragioni.

In primo luogo, il motivo propone in modo confuso ed inestricabile censure diverse (violazione di legge; non meglio specificato “vizio di motivazione in ordine all’omessa pronuncia”; omessa pronuncia; motivazione contraddittoria) che avrebbero richiesto un chiaro e separato sviluppo argomentativo.

In secondo luogo, il ricorrente, in punto di diritto, confonde omessa pronuncia (o carenza assoluta di motivazione) con il vizio di motivazione e con la violazione di legge.

In terzo luogo, lo stesso motivo, sul punto, difetta di chiarezza perchè omette di individuare l’oggetto della censura. Al riguardo va osservato che dalla sentenza impugnata emerge che: a) il procedimento disciplinare n. 38/2010 consta di “due” addebiti, contestati come commessi in Brindisi, con permanenza sino all’11 ottobre 2010 (pagg. 4 e 5 della sentenza: 1. omessa informazione di M.T. sul ristoro danni provocati da Alitalia; 2. trattenimento di somme percepite a titolo risarcitorio oltre il tempo necessario); b) in relazione al “secondo” addebito, il COA aveva dichiarato l’intervenuta prescrizione (pag. 5); c) in relazione al primo addebito (cosí individuato a pag. 7 della sentenza: omessa informazione della cliente dell’esito di una richiesta risarcitoria avanzata nel 1995 – per la quale, già l’8 agosto 1995, era intervenuta dichiarazione liberatoria rilasciata dalla cliente in favore del destinatario della richiesta – e tardiva consegna del carteggio della corrispondente pratica, avvenuta solo in data 11 febbraio 2008) l’incolpato aveva eccepito la prescrizione (pag. 7); d) tale eccezione è stata respinta dal CNF con la motivazione che il suddetto comportamento dell’incolpato aveva natura continuata e, pertanto, non era maturata la invocata prescrizione (pagg. 7 e 8); e) la doglianza “che investe il procedimento 38/2010” è valutata dal CNF non come motivo di impugnazione, ma solo come un infondato tentativo di screditare il COA, con la precisazione che “sui fatti” (non è chiaro, però, se solo su quelli per i quali era stata espressamente rilevata la prescrizione) era comunque intervenuta la prescrizione e che in ogni caso l’apertura del procedimento disciplinare ben poteva avvenire anche d’ufficio (pagg. 11-12, lettera f). In questo quadro, il ricorrente ha reso incerta la portata del ricorso omettendo di indicare a quale addebito (dei tre di fatto apparentemente esposti nella sentenza, anche se in questa sono indicati come “due”: 1. omessa informazione di M.T. sul ristoro danni provocati da Alitalia; 2. trattenimento di somme percepite a titolo risarcitorio oltre il tempo necessario; 3. omessa informazione dell’esito della richiesta risarcitoria e tardiva consegna del carteggio della pratica risarcitoria) ed a quale pronuncia del CNF (tra quelle riguardanti il procedimento n. 38/2010) si riferisce la sua censura.

In quarto luogo, nel motivo non viene precisato il contenuto del merito del motivo proposto contro la decisione del COA e in ordine al quale si assume che il CNF non abbia pronunciato.

In quinto luogo, nell’ambito del generico “vizio di motivazione” dedotto, non viene precisato il fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012.

In sesto luogo, il motivo non è pertinente al contenuto della sentenza del CNF, perchè tale organo ha pronunciato anche nel merito, interpretando la (peraltro non meglio chiarita) doglianza “che investe il procedimento 38/2010” come non integrante un motivo di impugnazione e osservando che, in ogni caso, il procedimento disciplinare poteva ben essere instaurato d’ufficio (profili motivazionali non aggrediti dal ricorso per cassazione).

4.- Il ricorrente, con il terzo motivo di ricorso, denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 42, artt. 24 e 111 Cost., per il mancato riporto integrale dei dispositivi delle deliberazioni del COA nel verbale, con conseguente lesione del diritto di difesa, erroneamente negata – a suo avviso – dalla impugnata sentenza, secondo cui la denunciata circostanza non comporterebbe nullità (pag. 8 della sentenza: “L’impugnazione deve investire la decisione assunta e non i verbali del processo”).

4.1.- Il motivo (al di là della sua genericità e del difetto di autosufficienza sia per la mancata trascrizione dei verbali, sia per la mancata indicazione dei dispositivi asseritamente non verbalizzati, considerato anche che l’evocato art. 42, non si riferisce alle deliberazioni in materia disciplinare, previste dall’art. 51) non è fondato. Va ricordato, infatti, che la formale mancata verbalizzazione di alcuni atti effettivamente compiuti nell’ambito del procedimento disciplinare davanti al COA (che, va ricordato, ha natura amministrativa e non giurisdizionale), non integra una ipotesi di nullità della deliberazione ove questa non sia espressamente prevista o non sia desumibile dai principi della materia. Al riguardo non risulta (nè è dedotto) che il COA abbia omesso di prendere in considerazione le difese dell’incolpato o che non abbia adottato le deliberazioni sue proprie. Ne segue che non vi è stata alcuna lesione dei diritti di difesa del professionista. I dispositivi delle deliberazioni in materia disciplinare, del resto, sono pubblicati mediante deposito dell’originale negli uffici di segreteria (art. 51, ultimo periodo dell’u.c., del R.D. n. 37 del 1934), come, del resto, tutti i dispositivi delle deliberazioni del COA (art. 44). Tale pubblicazione non è contestata. Pertanto, la lamentata irregolarità di omessa verbalizzazione non comporta la nullità della deliberazione (per lo stesso ordine di argomentazioni, Cass., Sezioni Unite, n. 6295 del 2003, che ha anche escluso, in particolare, la nullità delle deliberazioni in materia disciplinare del COA in caso di mancata rituale sottoscrizione del dispositivo ad opera del presidente e del segretario).

La sentenza del CNF, dunque, ha correttamente escluso (pag. 8) che la mera mancata integrale trascrizione dei dispositivi delle deliberazioni nel verbale comporti la nullità della deliberazione.

5.- Il ricorrente, con il quarto motivo di ricorso, denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 115 e 116c.p.c., nonchè – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; il tutto in ragione del “non aver posto a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti”, nonchè in ragione della “totale incomprensibilità del processo motivazionale” ovvero della “motivazione completamente assente o puramente apparente e non ricostruibile logicamente”. Tale duplice censura viene poi articolata con riferimento alle singole decisioni concernenti i seguenti procedimenti disciplinari: a) n. 16/2006 (” C.I. e Ma.Ro.”); b) n. 10/2008 (” Ca.”); c) n. 57/2008 (” P.O., S. e C.”); d) n. 52/2009 (” F.G.”), e) n. 1/2010 (” Co.Fr.”); f) n. 43/2010 (” Po.Pa.”).

5.1.- Sotto un primo profilo (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) viene lamentato che la decisione non si sia basata sulle “prove proposte dalle parti”, in quanto motivata senza tener conto degli elementi acquisiti in giudizio (così sembra doversi interpretare la censura, non del tutto perspicua).

Il profilo è inammissibile perchè: a) non viene precisato il fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis; b) non viene dedotto che il CNF abbia deciso in base a elementi non acquisisti in giudizio, ma viene prospettata una nuova valutazione dei fatti esaminati dal CNF, ritenuta migliore (ad avviso del ricorrente), senza però considerare che tale valutazione resta riservata al CNF.

In particolare, le censure proposte in riferimento ai seguenti procedimenti disciplinari sono inammissibili sia per le anzidette ragioni, sia per le ulteriori autonome ragioni qui di seguito accennate:

1) n. 16/2006 (” C.I. e Ma.Ro.”: recte, secondo la sentenza a pagg. 2 e 9, Ca.Vi. e Ma.Ro.): con riferimento all’addebito di non aver impugnato una sentenza pronunciata nei confronti di Ma.Ro. che gli aveva conferito mandato ed al quale aveva assicurato di averla proposta con esito positivo, il ricorrente lamenta la mancata considerazione della dichiarazione resa dal Ma. in ordine al rilascio della procura (“mi pare di aver firmato qualcosa”); tuttavia la censura non solo è priva di autosufficienza sull’oggetto completo della discussione e dell’addebito, ma il fatto non è decisivo sia perchè la dichiarazione non esclude di aver rilasciato la procura, sia perchè la firma non è necessaria per il mandato a difendere non in giudizio;

2) n. 10/2008 (” Ca.””: recte, secondo la sentenza a pagg. 2 e 9, Ca.Mo. e Cr. in relazione a c.c.): il ricorrente, nell’affermare che la decisione in materia disciplinare non si può fondare unicamente sulle dichiarazioni della parte esponente, argomenta su un motivo di violazione di legge da lui non proposto; lo stesso ricorrente, inoltre, si contraddice sul punto, dichiarando (pag. 15 del ricorso) che, “nella pronuncia de qua”, anche il CNF “ha condiviso detto orientamento”; infine, nel lamentare che il CNF avrebbe preferito altre testimonianze rispetto a quella del notaio Pe. (definito terzo ed imparziale), non chiarisce nè la decisività di tale testimonianza nè le ragioni per le quali il CNF avrebbe dovuto pretermettere le opposte diverse testimonianze, ed incorre anche in difetto di autosufficienza in ordine alle precedenti discussioni davanti al CNF sui punti allegati;

3) n. 57/2008 (” P.O., S. e C.”: v. sentenza pagg. 2 e 10: con riferimento all’addebito di omessa comunicazione ai clienti della sospensione dell’esercizio della professione, il ricorrente denuncia la mancata comunicazione dell’inizio dei procedimenti disciplinari ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 47 e del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 38, affermando di non aver saputo del procedimento e di essere stato perciò leso nei suoi diritti di difesa; tuttavia, in tal modo, l’incolpato: a) deduce (inammissibilmente) una violazione di legge sotto la censura di vizio di motivazione; b) non deduce se e quando il fatto è stato oggetto di discussione tra le parti; c) prospetta genericamente che P.S. non è mai stato suo cliente, con ciò allegando una propria valutazione e non un fatto); d) pone in rilievo le circostanze non decisive che i clienti non gli avevano chiesto se era stato sospeso dall’esercizio della professione e che il mandato non gli era stato revocato; e) si duole di vizi argomentativi della sentenza che non integrano, in quanto tali, un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti; f) incorre in difetto di autosufficienza in ordine alla precedente deduzione e discussione dei fatti allegati nel ricorso per cassazione (oltretutto sommariamente e frammentariamente descritti);

4) n. 52/2009 (avvocato ” F.G.”: sentenza pagg. 3 e 10): il ricorrente lamenta l’omessa valutazione delle testimonianze di D.V.M., D.S.R. e N.P., ma: a) trascura di rilevare che la valutazione del CNF è complessiva ed insindacabile (la sentenza ha esaminato le suddette testimonianze e le ha espressamente ritenute inattendibili nel quadro delle risultanze probatorie); b) non giustifica la credibilità e decisività delle testimonianze; c) deduce (inammissibilmente) l’insufficienza della motivazione);

5) n. 1/2010 (dottor ” Co.Fr.”, in relazione alla madre Fi.Id.: sentenza pagg. 3, 4, 10): il S. allega (senza neppure adempiere l’onere di autosufficienza) fatti non pertinenti alla censura prospettata in quanto attengono a asserite irregolarità del procedimento testimoniale o alla valutazione delle prove a prova, come: a) il fatto, non confortato da riscontri all’epoca allegati, che la Fi. non gli aveva voluto rilasciare il mandato e lo aveva pregato di temporeggiare; b) la doglianza circa la revoca dell’ammissione di testi e la mancata effettuazione di una perizia fonologica, dato il disconoscimento della registrazione acquisita; c) la asserita errata valutazione delle prove (per la quale il ricorrente invoca inesattamente la violazione dell’art. 115 c.p.c.); d) la ritenuta insufficienza delle dichiarazioni “del denunziante e della di lui moglie” a fondare la decisione; e) il suo dissenso circa l’attribuzione a suo carico della falsificazione della data su una sola copia;

6) n. 43/2010 (” Po.Pa.: sentenza pagg. 5 e 12): viene dedotto che: a) la sentenza è “viziata sotto il profilo della valutazione delle risultanze istruttorie” per omesso esame della nota dell’Il gennaio 2008 (doc. 6), per aver considerato il 2008 un mero lapsus per 2009 e per aver trascurato l’omessa comunicazione della sospensione; b) non sarebbe vero che aveva ricevuto l’incarico di difendere C.M., moglie del geom. Po. prima del decorso dei due anni dalla sospensione e che tale incarico era connesso con il precedente; tuttavia non solo in nessun caso viene indicato il punto in cui tali fatti furono discussi in giudizio nè viene precisato il contenuto della discussione (incorrendo così in palese difetto di autosufficienza del ricorso), si tratta spesso di richieste di una nuova valutazione di fatti già esaminati dal CNF.

5.2.- Sotto un secondo profilo (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) viene lamentata la “totale incomprensibilità del processo motivazionale” e, quindi, viene dedotta la mera apparenza della motivazione.

Il profilo di censura è palesemente infondato.

La sentenza, infatti, esibisce una motivazione nella quale sono perfettamente individuabili e comprensibili le rationes decidendi, come dimostrato dallo stesso contenuto complessivo del ricorso per cassazione (vedi la parte narrativa della presente sentenza).

6.- Con ulteriore istanza (pag. 32 del ricorso per cassazione) il ricorrente richiede la sospensione dell’esecuzione della impugnata decisione del CNF, ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 4, adducendo la sussistenza del fumus boni iuris (per le ragioni esposte con i motivi di ricorso) e del periculum in mora (dato il rischio di perdere clienti e di non poterne acquisire di nuovi durante l’esecuzione della sanzione).

L’istanza è assorbita dal rigetto nel merito del ricorso.

7.- Non deve essere emessa una pronuncia sulle spese di lite, dato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del CNF e del COA.

Sussistono (non risultando elementi ostativi) i presupposti per l’applicazione dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte, a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Consiglio Nazionale Forense; rigetta il ricorso proposto nei confronti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 22 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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