Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10224 del 18/05/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 10224 Anno 2016
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 11887-2011 proposto da:
SCARPONI

ANTONIO,

SCARPONI

ANNITA

nq

di

amministratore di sostegno Dr. MARCO MANOVELLI,
elettivamente domiciliati in

TREVIGNANO

VIA DELLA

RENA 23, presso lo studio dell’avvocato GIAMPAOLO
SCOTTI, rappresentati e difesi dall’avvocato

2016
1418

ANTONELLA TAGLIANI con domicilio presso la
cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR
ROMA giusta delega in calce;
– ricorrenti –

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DI CIVITAVECCHIA in persona del

Data pubblicazione: 18/05/2016

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controxicorrente

avverso la sentenza n. 109/2010 della COMM.TRIB.REG.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/04/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO
MARIA STALLA;

udito per il controricorrente l’Avvocato PUCCIARIELLO
che si riporta agli atti;
udito il P.M. in

persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. LUIGI CUOMO che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

di ROMA, depositata il 23/03/2010;

Svolgimento del giudizio.
Antonio ed Annita Scarponi propongono tre motivi di ricorso per la cessazione
della sentenza n. 23/02/2010 del 23 marzo 2010 con la quale la commissione
tributaria regionale di Roma, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo
l’avviso di rettifica e liquidazione loro notificato dall’agenzia delle entrate di
Civitavecchia con riguardo alla dichiarazione di successione di Luigia Scarponi
(deceduta il 10 ottobre 2000). La commissione tributaria regionale, in particolare, ha

marito della de cujus con riservato dominio; nonché la presuntiva correttezza della
valutazione degli altri immobili, in quanto proveniente dall’UTE.
Resiste l’agenzia delle entrate con controricorso.
Motivi della decisione.
§ 1. Con il primo motivo di ricorso si deduce – ex art.360, 1^ co. nn. 3, 4 e 5
cod.proc.civ. – omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa l’attribuzione
al patrimonio della de cujus di due terreni in Santa Marinella; nonché violazione o
falsa applicazione degli articoli 115 cod.proc.civ. e 1523-922 cod.civ. Tali terreni,
ancorché erroneamente indicati nella dichiarazione di successione, non facevano
parte dell’asse ereditario, in quanto acquistati il 3 febbraio 1976 dal marito della de
cujus, Eros Mario Nicolai, con patto di riservato dominio e riscatto in proprietà dopo il
pagamento di 30 annualità (doc.2 del fascicolo di primo grado); riscatto poi non
effettuato, stante l’avvenuto decesso del Nicolai (4 gennaio 1988) prima del decorso
del trentennio. Né rilevava che i beni in questione risultassero in catasto attribuiti alla
de cujus, avendo le risultanze catastali funzione meramente indicativa e non
costitutiva della proprietà.
Il motivo è fondato.
Sul punto, la CTR ha ritenuto l’inclusione dei beni in oggetto nell’asse ereditario con
la seguente motivazione: “invero, la de cujus era subentrata, alla morte del marito,
nel rapporto di assegnazione dei terreni di cui ai punti i e 2 e quindi giustamente
andavano denunciati in successione”.
Si tratta di una affermazione del tutto apodittica ed integrante una motivazione
meramente apparente, perché slegata dalla concretezza della fattispecie e dalla
disamina delle specifiche risultanze probatorie sul punto.
L’onere motivazionale doveva, nella specie, essere tanto più rigoroso in
considerazione del fatto che, in linea di principio, né l’indicazione dei due beni nella
dichiarazione di successione (suscettibile di essere emendata anche in pendenza di
giudizio, sebbene con onere della prova a carico del contribuente: Cass.SSUU
14088/04; Cass. nn. 10494/03; 11192/13; 2229/15 ed altre), né le risult ze
3
Ric.n.11887/11 rg. – Ud.del 22 aprile 2016

ritenuto l’effettiva apprensione alla massa ereditaria di due terreni acquistati dal

catastali (non costitutive del diritto di proprietà, ma nemmeno facenti piena prova del
medesimo: v. Cass.5257/11 ed altre, nonché Cass. 14420/10 la quale, pur
affermando che l’ente impositore possa provare presuntivamente la proprietà del
bene mediante le annotazioni catastali, ammette tuttavia il contribuente a superare,
mediante prova contraria, la presunzione così formatasi) erano di per sé tali da
comprovare nella specie l’effettiva acquisizione dei cespiti al patrimonio della de cujus
(e, prima di questo, a quello del marito e dante causa Nicolai).

parte del Nicolai o della stessa de cujus) in epoca antecedente al decorso del
trentennio di cui al riservato dominio. Tale accertamento è completamente mancato,
né la corte territoriale ha in alcun modo esplicitato da che cosa abbia tratto il proprio
convincimento circa il fatto che la de cujus fosse “subentrata, alla morte del marito,
nel rapporto di assegnazione dei terreni”’. Nemmeno viene esplicitato a che titolo i

cespiti in oggetto – quand’anche ricompresi nell’asse ereditario in forza del solo
rapporto di assegnazione ancora in corso, e dunque indipendentemente dalla loro
avvenuta acquisizione in proprietà da parte della Scarponi Luigia – dovessero trovare
considerazione e criterio di stima.
La stessa amministrazione finanziaria, nel replicare alla presente censura, si è
sentita in dovere di riferire la prova dell’acquisto in proprietà al riscontro di passaggi
traslativi e, in particolare, alla

“visura telematica dell’agenzia del territorio

all’attualità”, asseritamente attestante la voltura dei beni in capo alla Scarponi Luigia

dal 10 aprile ’95; con ciò rimarcando ulteriormente la necessità di un accertamento di
fatto (con onere probatorio a carico dei contribuenti) che, da un lato, è totalmente
mancato nel giudizio di merito e che, dall’altro, risulta incompatibile con la natura del
presente giudizio di legittimità.
§ 2. Con il

secondo motivo

di ricorso si lamenta omessa, insufficiente o

contraddittoria motivazione in ordine ai criteri adottati per la valutazione degli
Immobili: – n.3 dell’avviso di rettifica (terreno in Santa Marinella); – da n.14 a n.30
(garages e posti auto); nonché violazione o falsa applicazione degli articoli 115
cod.proc.civ. e 34 d.lgs.346/90.
Ciò per avere la commissione tributaria regionale apoditticamente fondato il proprio
convincimento di congruità del valore sostenuto dall’ufficio, in quanto basato sulla
stima UTE; nonostante che: – (per l’immobile n.3) la stima UTE facesse riferimento
ad un diverso terreno senza indicazione dei caratteri di analogia con quello caduto in
successione; e, inoltre, il valore attribuito dall’ufficio non trovasse alcuna
giustificazione nel certificato di destinazione urbanistica del terreno (zona N2 – verde
privato); – (per gli immobili da 14 a 30) il criterio della rendita catastale ad ttato
4
Ric.n.11887/11 rg. Ud.del 22 aprile 2016

Sicchè si imponeva l’accertamento della prova circa l’avvenuto riscatto dei beni (da

dall’ufficio non desse conto del minor valore accertato dal CTU designato dal tribunale
di Civitavecchia nei 2000, epoca coeva all’apertura della successione in oggetto, nel
giudizio di divisione dell’eredità del Nicolai.
Sul punto, la CTR ha ritenuto non eccessiva la valutazione dell’ufficio, in quanto la
stima redatta dall’UTE “essendo stata fatta da un ente pubblico, è sorretta da giusta
presunzione”.

Tale passaggio motivazionale non può condividersi.

si pone sullo stesso piano del contribuente, sicché la relazione di stima di un
immobile – redatta dall’Ufficio tecnico erariale o da altro organismo interno
all’amministrazione stessa, e da quest’ultima prodotta in giudizio – costituisce una
relazione tecnica di parte e non una perizia d’ufficio, né altra risultanza dotata di
efficacia probatoria preminente e privilegiata; ad essa, pertanto, deve essere
attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la sua provenienza,
non anche per quel che riguarda il suo contenuto estimativo.
E’ vero che questa circostanza di certo non comporta che tale relazione di stima sia
del tutto priva di idoneità probatoria – anche considerando l’ampia ammissibilità nei
processo tributario delle prove ccdd. atipiche – ben potendo essa costituire fonte di
convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento, anche esclusivo, della sua
decisione; e tuttavia, occorre che il giudice spieghi le ragioni per le quali ritenga tale
relazione (di parte) corretta e convincente: sia in sé, sia in rapporto a tutte le altre
risultanze istruttorie comunque acquisite al giudizio (Cass. nn. 14418/14; 8890/07 ed
altre).
Nel caso di specie, è mancata qualsivoglia motivazione atta a sostenere – alla luce
di un ben più articolato quadro istruttorio – la ‘prevalenza’ della relazione tecnica
dell’amministrazione finanziaria sugli altri elementi istruttori dedotti in causa (tra I
quali la ctu resa nel giudizio di divisione in epoca sostanzialmente coeva con
l’apertura della successione in oggetto). E’ dunque evidente che la commissione
tributaria regionale si sia risolta ad acriticamente recepire la stima UTE proprio e
soltanto in ragione del fatto che essa proveniva, appunto, dall’amministrazione
finanziaria, così da concretare (come erroneamente indicato) una sorta di
presunzione di legittimità estimativa.
Tutto ciò si è risolto anche nella violazione dei criteri legali di determinazione dei
valore ai fini dell’imposta di successione, non essendo stato operato alcun controllo
circa l’osservanza di quanto stabilito dall’articolo 34, terzo comma, digs.346/90 in
relazione ai beni immobili ed ai diritti reali immobiliari. Né, per le indicate ragioni,
tale controllo potrebbe essere reso nella presente sede di legittimità.
5
Ric.n.11887/11 rg. – Ud.dei 22 aprile 2016

Va infatti considerato che dinanzi al giudice tributario l’amministrazione finanziaria

§ 3. Con il terzo motivo di ricorso gli Scarponi lamentano ‘omessa motivazione circa
l’erroneità della cartella di pagamento’ loro notificata dall’ufficio nei maggio 2009 per
il pagamento dell’intero importo della maggiore imposta contenuta nell’accertamento
impugnato, senza tener conto dell’avvenuto versamento di un terzo di tale somma a
seguito della sentenza di primo grado.
Si tratta di motivo per più versi inammissibile.

la ricostruzione operata dagli stessi ricorrenti – non di ciò si tratti ma, se mai, di
omessa pronuncia; con conseguente rilevanza del vizio di cui al n.4 – e non n.5 dell’art.360 1^ co.cpc.
Al di là dell’impropria individuazione del vizio censurato, è comunque dirimente
osservare come la cartella di pagamento in questione dovesse essere separatamente
impugnata quale autonomo atto impositivo e di riscossione frazionata.
Essa è stata infatti emessa (maggio 2009) in corso di causa e, segnatamente, dopo
la sentenza di primo grado (CTP Roma n. 79/58/2008); di tal chè non venne
pacificamente fatta oggetto dell’impugnativa introduttiva del presente giudizio,
concernente il solo avviso di rettifica e liquidazione.
Ne discende che la mancata pronuncia da parte della commissione tributaria
regionale deve ritenersi derivante proprio dalla mancanza di rituale impugnativa della
cartella in oggetto; sicché tale mancata pronuncia ha in realtà riguardato una
domanda del tutto inammissibile, perché proposta in appello, e contro un atto diverso
da quello sul quale si incentrava il giudizio pendente.
Ne segue, in definitiva, l’accoglimento del 1^ e

del 2^ motivo di

ricorso;

inammissibile il 3^. La sentenza impugnata viene quindi cessata nei limiti dei motivi
accolti; con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria
regionale di Roma che procederà, sulla base dei principi indicati, ad una nuova e
motivata valutazione.

Pq in
La Corte
accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, inammissibile il terzo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per
le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale di Roma.
Così deciso ella camera di consiglio della quinta sezione civile in data 22 aprile
2016.

In primo luogo, esso deduce un vizio di omessa motivazione nonostante – secondo

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