Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10221 del 26/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 26/04/2017, (ud. 24/01/2017, dep.26/04/2017),  n. 10221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14148/2015 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BUCCARI 3,

presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA ACONE che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PASQUALE ACONE;

– ricorrente –

contro

GROUPANIA ASSICURAZIONI S.P.A. già Nuova Tirrena Assicurazioni

S.p.A., C.P. (OMISSIS), P.I. (OMISSIS), in persona del suo

procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CLEMENTE IX 10, presso lo studio dell’avvocato LUCIA FELICIOTTI, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

SIDA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4004/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.P. ed il suo assicuratore della r.c.a., la SIDA s.p.a., nel 1993 vennero convenuti dinanzi al Tribunale di Salerno da R.P. e da G.M., i quali ne chiesero la condanna al risarcimento dei danni patiti dal proprio figlio R.A., per essere stato investito da un veicolo condotto da M.P..

2. Pendente questo giudizio, nel 2000 M.P. convenne dinanzi al Tribunale di Roma la società Nuova Tirrena s.p.a., quale impresa cessionaria del portafoglio della SIDA s.p.a., dichiarando di convenirla “in nome e per conto” della Consap s.p.a., gestione autonoma del Fondo di Garanzia Vittime della Strada, nonchè la SIDA s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa.

Nei confronti della convenuta l’attore chiese la condanna ad essere manlevato, anche oltre il limite del massimale, dalle pretese risarcitorie avanzate dalle persone che l’avevano convenuto nel primo giudizio. Dedusse che la SIDA prima, e la Nuova Tirrena poi, si erano rese inadempienti agli obblighi contrattuali, e dovessero di conseguenza tenerlo indenne anche oltre il limite del massimale.

3. La Corte d’appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, con sentenza 13.6.2014 n. 4004 accolse solo parzialmente la domanda.

Il giudice d’appello ha, in particolare, articolato il seguente sillogismo:

-) il danneggiato convenne in giudizio l’assicuratore nel 1993;

-) l’assicuratore ha pagato l’intero massimale nel 1996;

-) ergo, l’assicurato ha diritto ad essere tenuto indenne dalle pretese del terzo danneggiato, oltre il massimale, solo per gli interessi e la rivalutazione maturati tra il 1993 e il 1996.

La Corte d’appello, inoltre, esclude di potere condannare l’assicuratore a pagare alcunchè all’assicurato, poichè questi a sua volta non aveva dimostrato di avere alcunchè pagato al danneggiato.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da M.P., con ricorso fondato su sei motivi.

Ha resistito la Groupama s.p.a. (nuova ragione sociale della Nuova Tirrena s.p.a.).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 1175, 1176, 1224, 1375, 1917 e 2697 c.c.; artt. 99, 112, 115 e 116 c.p.c..

Premessa la distinzione tra mala gestio impropria (ovvero la condotta morosa dell’assicuratore, che lo espone al risarcimento anche ultramassimale nei confronti del terzo danneggiato), e mala gestio propria (ovvero l’inadempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto, che espone l’assicuratore a rivalere l’assicurato di quanto sia stato costretto a pagare al terzo danneggiato), il ricorrente spiega di avere formulato, sin dall’atto introduttivo del primo grado, una domanda di “mala gestio propria”.

Precisa che con tale domanda intendeva ottenere la condanna dell’assicuratore al risarcimento del danno da inadempimento del contratto di assicurazione della r.c.; risarcimento che consiste nella rifusione all’assicurato delle somme che questi avrebbe evitato di pagare al terzo danneggiato, se l’assicuratore avesse tempestivamente e diligentemente adempiuto le proprie obbligazioni contrattuali.

La Corte d’appello, invece, ha accordato all’assicurato la sola rivalutazione monetaria e gli interessi, sul massimale di Lire 200.000.000, per il periodo compreso tra la notifica dell’atto di citazione (1993) e il pagamento al danneggiato dell’intero massimale (1996).

Così giudicando, conclude il ricorrente, la Corte d’appello ha confuso gli effetti della mala gestio impropria con quelli della mala gestio propria. Solo la prima, infatti, fa sorgere in capo all’assicuratore l’obbligo di pagare al terzo danneggiato interessi e rivalutazione sul massimale.

La violazione degli obblighi contrattuali di diligenza e buona fede (mala gestio propria), invece, fa sorgere in capo all’assicuratore l’obbligo di risarcire un danno che non necessariamente consiste nella rivalutazione e negli interessi.

1.2. Nella parte in cui lamenta la violazione di varie norme processuali (artt. 99, 112, 115 e 116 c.p.c.) il motivo è manifestamente infondato.

La Corte d’appello, infatti, non ha errato nel qualificare la domanda, nè ha pronunciato ultra petita, nè ha attribuito alle prove raccolte un valore che legalmente non potevano avere.

L’assicurato ha domandato di essere risarcito dei danni patiti in conseguenza dell’inadempimento dell’assicuratore, e su tanto la Corte d’appello ha provveduto: se poi l’abbia fatto correttamente o scorrettamente, non è questione di diritto processuale.

1.3. Nella parte in cui lamenta la violazione dell’art. 1917 c.c., il ricorso è fondato.

L’assicuratore della responsabilità civile (di ogni tipo) ha l’obbligo di tenere indenne l’assicurato delle conseguenze pregiudizievoli di un fatto da lui commesso durante il tempo per il quale è stata stipulata l’assicurazione (art. 1917 c.c.).

Tale obbligo sorge nel momento in cui l’assicurato (ovvero il terzo danneggiato quando la legge glielo consente, come nell’assicurazione della r.c.a.: L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 22, applicabile ratione temporis al nostro caso), richiede all’assicuratore il pagamento dell’indennizzo (ovvero risarcimento del danno).

A partire da tale momento, l’assicuratore ha l’obbligo nei confronti dell’assicurato di attivarsi con la diligenza da lui esigibile ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, per accertare le responsabilità, stimare il danno, formulare l’offerta, pagare l’indennizzo.

La violazione di tali obblighi costituisce un inadempimento del contratto di assicurazione.

Dall’inadempimento del contratto di assicurazione discende, come da quello di qualsiasi altro contratto, l’obbligo dell’inadempiente di risarcire il danno (art. 1218 c.c.).

Il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento dell’assicuratore della r.c.a. dell’obbligo di liquidare sollecitamente il danno patito dal terzo danneggiato non sempre può essere liquidato addizionando il massimale degli interessi.

Come questa Corte ha infatti già stabilito, per la stima del danno da mala gestio (di ogni tipo) occorre distinguere tre ipotesi.

1.3.1. La prima eventualità è che, nonostante la mala gestio ed il ritardato adempimento, il massimale resti capiente.

In tal caso ovviamente nulla quaestio: si applicheranno le regole sulla mora nelle obbligazioni di valore, e l’assicuratore potrà andare incontro unicamente alle sanzioni amministrative previste dall’art. 315 cod. ass..

1.3.2. La seconda eventualità è che il massimale, capiente all’epoca dell’illecito, sia divenuto incapiente al momento del pagamento: vuoi per effetto del deprezzamento del denaro, vuoi per effetto della variazione dei criteri di liquidazione del danno.

In tal caso l’assicurato, se l’assicuratore avesse tempestivamente indennizzato il terzo, nulla avrebbe dovuto sborsare di tasca propria, e sarebbe rimasto indenne dalle conseguenze civili del proprio illecito.

Di conseguenza nel caso di mala gestio egli potrà pretendere dall’assicuratore il risarcimento integrale, senza riguardo alcuno al limite del massimale, giacchè l’assicuratore dovrà in tale ipotesi risarcire non il fatto dell’assicurato (per il quale vige il limite del massimale), ma il fatto proprio, e cioè il pregiudizio patito dall’assicurato e derivato dal colposo ritardo nell’adempimento.

1.3.3. La terza eventualità è che il massimale già all’epoca del sinistro fosse incapiente.

In tal caso, quand’anche l’assicuratore avesse tempestivamente pagato l’indennizzo, l’assicurato non avrebbe mai potuto ottenere una copertura integrale da parte dell’assicuratore. In questo caso, se l’assicuratore incorre in mala gestio, egli sarà tenuto a pagare all’assicurato gli interessi legali (ed eventualmente il maggior danno, ex art. 1224 c.c., comma 2), sul massimale. In questi casi inoltre, costituendo il debito dell’assicuratore una obbligazione di valuta, non è possibile cumulare la rivalutazione del massimale e gli interessi, ma delle due l’una: o il danneggiato dimostra di avere patito un “maggior danno”, cioè un pregiudizio causato dal ritardo nell’adempimento non assorbito dagli interessi legali, ed allora avrà diritto al risarcimento di quest’ultimo; ovvero nulla dimostra a tal riguardo, ed allora gli spetteranno i soli interessi legali (per tutti questi principi si veda già Sez. 3, Sentenza n. 13537 del 13/06/2014).

1.4. Nel nostro caso pertanto la Corte d’appello, dinanzi ad una domanda di risarcimento del danno da mala gestio (rectius, da inadempimento del contratto di assicurazione della r.c.), non si sarebbe dovuta limitare a conteggiare gli interessi, ma avrebbe dovuto dapprima accertare se il tempestivo adempimento dell’assicuratore, all’epoca dei fatti (1989) avrebbe o no garantito all’assicurato una copertura totale; e poi procedere alla stima del danno coi criteri indicati nei tre paragrafi precedenti.

1.5. Resta da aggiungere come le conclusioni appena esposte non sono infirmate dalle eccezioni sollevate dalla Groupama alle pp. 8-9 del proprio controricorso.

Sostiene la Groupama che sarebbe stato l’attore stesso a limitare la propria domanda risarcitoria al pagamento di interessi e rivalutazione.

Egli, infatti, nell’atto di citazione chiese la condanna dell’assicuratore al pagamento dell’indennizzo “con decorrenza dalla scadenza dello spatium deliberandi di sessanta giorni di cui alla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 22, comma 1”.

Tuttavia è noto che gli atti di parte vanno letti ed interpretati nel loro complesso, e non limitandosi ad una aliqua particola ejns indicare vel respondere. Nel nostro caso, l’attore chiese con l’atto di citazione in modo inequivoco che l’assicuratore fosse dichiarato tenuto a “rivalerlo di tutte le somme dovute al danneggiato a titolo di risarcimento”, oltre a rivalutazione ed interessi. Dopo aver premesso ciò, chiese la condanna dell’assicuratore “al pagamento di tutte le suddette somme, con decorrenza ecc.”. Da un lato, pertanto, il complemento oggetto “suddette somme” di cui l’attore fece menzione nella propria citazione era chiaramente riferito sia al capitale, sia agli accessori (interessi e rivalutazione); dall’altro, quel che più rileva, l’intero atto di citazione rende palese che il “bene della vita”, come si usa dire, richiesto dall’attore era essere garantito dall’assicuratore per tutti gli importi che avrebbe dovuto pagare al terzo danneggiato, e non solo per gli interessi.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

Sostiene che la sentenza “non avrebbe motivato” in merito alla qualificazione giuridica da essa attribuita alla domanda attorea.

2.2. Il motivo è manifestamente inammissibile: sia perchè l’obbligo di motivazione concerne gli accertamenti di fatto, non le qualificazioni in diritto, rispetto alle quali nessun vizio di motivazione è mai concepibile; sia perchè in ogni caso qualificare la domanda come aquiliana o contrattuale non costituisce “omesso esame d’un fatto decisivo” ai sensi dell’art. 360, n. 5, nuovo testo, c.p.c. (come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte: Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 1175, 1176, 1375, 1917 e 2697 c.c.; artt. 32, 99, 100, 112 e 116 c.p.c..

Lamenta che la Corte d’appello ha emesso una sentenza di mero accertamento dell’obbligo dell’assicuratore di manlevarlo (nei contenuti limiti sopra indicati), nonostante egli ne avesse chiesto la condanna.

3.2. Il motivo è manifestamente fondato.

E’ la stessa Corte d’appello a dichiarare che l’attore aveva formulato una “pronuncia di condanna” (così la sentenza d’appello, p. 17).

Nondimeno, la Corte d’appello ha ritenuto che tale domanda non potesse essere accolta, nemmeno nei limiti in cui aveva accertato la mala gestio dell’assicuratore, perchè l’assicurato “non ha dimostrato di avere pagato (al terzo danneggiato) alcuna somma”.

Questa statuizione viola l’art. 1917 c.c., e art. 112 c.p.c..

Viola il primo, perchè l’assicuratore della r.c. ha l’obbligo di manlevare il proprio assicurato; e se esiste un obbligo, anche futuro o condizionale o sottoposto a termine, il creditore può chiedere quomodolibet la condanna del debitore all’adempimento.

Viola il secondo, perchè da tempo (da un secolo e mezzo, per l’esattezza) la dottrina e questa Corte ammettono la pronuncia di sentenze di condanna condizionate, quanto alla loro efficacia, al verificarsi di un determinato evento futuro ed incerto, alla scadenza di un termine prestabilito o ad una controprestazione specifica, quale appunto l’avvenuto pagamento di una somma di denaro da parte dell’assicurato (in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 16135 del 09/07/2009, pronunciata in una fattispecie speculare rispetto alla nostra, nella quale un assicuratore aveva chiesto la condanna dell’assicurato a rifondergli le somme che avesse dovuto pagare al terzo danneggiato, a causa dell’inoperatività della garanzia; ma per l’affermazione d’un principio analogo si veda già Sez. 3, Sentenza n. 2026 del 14/10/1970).

4. Il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso.

4.1. Gli ultimi tre motivi di ricorso, coi quali M.P. lamenta sotto ulteriori profili rispetto a quelli già esaminati il fraintendimento da parte della Corte d’appello della propria domanda, e l’erronea liquidazione del danno da mala gestio, restano assorbiti dall’accoglimento del primo e del terzo motivo.

5. La sentenza deve quindi essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, la quale nel riesaminare il gravame di M.P. si atterrà ai seguenti principi di diritto:

(1) Il danno che l’assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione degli autoveicoli può causare al proprio assicurato, colposamente ritardando l’adempimento dei propri obblighi nei confronti del terzo danneggiato, non è rappresentato dai meri interessi di mora, ma consiste in una differenza: quella tra il risarcimento cui l’assicurato sarebbe stato costretto dal terzo, se l’assicuratore avesse tempestivamente adempiuto la propria obbligazione (e dunque anche zero, se possa presumersi che un tempestivo pagamento non avrebbe ecceduto il massimale), e la somma che invece l’assicurato sarà costretto a pagare al terzo, a causa del ritardo dell’assicuratore e della sopravvenuta incapienza del massimale.

(2) Il danno da “mala gestio” dell’assicuratore della r.c.a. deve essere liquidato, allorchè il credito del danneggiato già al momento del sinistro risultava eccedere il massimale, attraverso la corresponsione di una somma pari agli interessi legali sul massimale, ovvero, in alternativa, attraverso la rivalutazione dello stesso, se l’inflazione è stata superiore al saggio degli interessi legali, in applicazione art. 1224 c.c., comma 2, mentre, se lo stesso era originariamente inferiore al massimale e solo in seguito è levitato oltre tale soglia, il danno è pari alla rivalutazione del credito, cui va aggiunto il danno da lucro cessante liquidato secondo i criteri previsti per l’ipotesi di ritardato adempimento delle obbligazioni di valore.

(3) L’assicurato può chiedere la condanna dell’assicuratore della responsabilità civile a tenerlo indenne dalle pretese dal temo, anche se non gli abbia ancora pagato nulla; in tal caso la condanna dovrà essere pronunciata in forma condizionata, e subordinata alla dimostrazione dell’avvenuto pagamento da parte dell’assicurato.

6. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

(-) accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso; rigetta il secondo; dichiara assorbiti gli altri;

(-) cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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