Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10221 del 19/04/2021

Cassazione civile sez. I, 19/04/2021, (ud. 15/01/2021, dep. 19/04/2021), n.10221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29308/2018 r.g. proposto da:

S.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Carla

Pennetta, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via

Circonvallazione Clodia n. 88, presso lo studio dell’Avvocato

Giovanni Arilli;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Perugia, depositato in data

20.8.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/1/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Perugia ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da S.A., cittadino del (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato e vissuto a (OMISSIS), di essere di etnia (OMISSIS) e di religione musulmana; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese, perchè timoroso delle ritorsioni violente dei componenti del suo villaggio, che erano adirati con lui perchè colpevole dell’incendio colposo della locale moschea.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso e perchè nessuna prova era stata articolata dal ricorrente per supportare la veridicità del racconto e perchè infine nulla era stato allegato dal ricorrente in riferimento al grave danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Gambia, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perchè il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano, non potendosi effettuare neanche la valutazione comparativa tra la situazione di soggettiva vulnerabilità del richiedente e l’integrazione di quest’ultimo nel paese di accoglienza.

2. Il decreto, pubblicato il 20.8.2018, è stato impugnato da S.A. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con i primi due motivi, congiuntamente articolati, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonchè degli artt. 115 e 101 c.p.c. e violazione del principio di contraddittorio e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità del decreto impugnato e del procedimento, per aver il tribunale deciso la controversia sulla base di C.O.I. non sottoposte al previo contraddittorio processuale tra le parti.

2. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, del Protocollo relativo allo statuto dei rifugiati adottato a New York il 31 gennaio 1967 e della direttiva n. 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, per non aver il tribunale azionato i poteri di integrazione officiosa delle prove allegate dal ricorrente.

3. Con il terzo e quarto motivo, congiuntamente articolati, si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di fatti decisivi in relazione al diniego della richiesta protezione umanitaria.

4. Il quinto mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 10 Cost..

5. Il ricorso è infondato.

5.1 Il primo motivo di doglianza (contenente le due censure sopra ricordate) è infondato.

5.1.1 Sul punto, occorre ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha già precisato che – in tema di protezione internazionale – l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (“country of origin information”) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè in tal caso l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio (Sez. 1, Ordinanza n. 29056 del 11/11/2019).

5.1.2 Ciò posto, osserva la Corte come il ricorrente si sia solo astrattamente lamentato della violazione del principio del contraddittorio processuale, senza indicare tuttavia quali diverse e più aggiornate COI avesse allegato nel ricorso introduttivo del giudizio di merito, con ciò rendendo peraltro la doglianza generica e non ricevibile in questa sede di giudizio di legittimità.

5.2 Il secondo motivo è invece inammissibile perchè si compone solo di generiche doglianze, anch’esse astrattamente prospettate in relazione all’asserita violazione del principio di cooperazione istruttoria che informa il rito speciale della protezione internazionale, senza che le censure si confrontino con la ratio decidendi principale posta a sostegno del diniego dell’invocata protezione, e cioè il giudizio di non credibilità del racconto della vicenda personale che il richiedente aveva allegato come ragione giustificatrice dell’espatrio.

5.3 Il terzo e quarto motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto entrambi articolati in relazione al diniego dell’invocata protezione umanitaria, sono invece inammissibili perchè le censure mirano ad una rivalutazione del merito della decisione – inibita, invece, al giudice di legittimità – in ordine allo scrutinio del bilanciamento tra la condizione di vulnerabilità del richiedente e l’integrazione di quest’ultimo nel contesto socio-lavorativo del paese di accoglienza (per come richiesta dalla giurisprudenza nomofilattica: v. ss.uu. n. 29459/2019 e Cass. sent. n. 4455/2018), profilo di valutazione che, peraltro, è escluso in radice nel caso in esame dall’accertamento svolto in fatto dal tribunale (e non più censurabile, in questa sede se non nei limitati termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: Cass. ss.uu. n. 8053/2014) in ordine alla mancanza di uno dei due termini di confronto della predetta valutazione comparativa, e cioè l’integrazione del richiedente in Italia.

5.4 Il quinto motivo è invece infondato.

E’ utile ricordare che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6. Ne consegue che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale,, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione (v. Sez. 6-1, Ordinanza n. 10686 del 26/06/2012; Sez. 6-1, Ordinanza n. 16362 del 04/08/2016).

Orbene, sulla base dei sopra ricordati principi – che qui si riaffermano – la dedotta violazione di legge deve pertanto reputarsi infondata.

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2021

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