Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10221 del 10/05/2011

Cassazione civile sez. III, 10/05/2011, (ud. 13/04/2011, dep. 10/05/2011), n.10221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MASSERA Maurizio – Presidente –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA F CORRIDONI 14, presso lo studio dell’avvocato DE FELICE

ROBERTO EMANUELE, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SUBALPINA SPA (OMISSIS), in persona dei procuratori

speciali dr.ssa G.A. e dr.ssa R.M.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio

dell’avvocato SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e difende giusta

mandato a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

PFIZER ITALIA SRL, B.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 183/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

Seconda Sezione Civile, emessa il 15/01/2008, depositata il

15/02/2008; R.G.N. 1554/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato DE FELICE ROBERTO EMANITELE;

udito l’Avvocato MANGANIELLO ANTONIO (per delega dell’ Avvocato

SPADAFORA GIORGIO);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. G.P., figlio ed erede di M.A., propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova del 15 febbraio 2008, che ha confermato quella di primo grado, la quale aveva respinto la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali proposta dalla M. nei confronti del medico B.S., assumendo di aver contratto l’epatite virale di tipo C per effetto della terapia infusionale con Neoton, praticatale presso l’ambulatorio privato di detto medico tra il (OMISSIS), nonchè di aver contratto enfisema polmonare a seguito della predetta terapia a base di Neoton associata all’assunzione del farmaco Cordone. Secondo la Corte territoriale:

a. non soltanto le prove acquisite, ma neanche le allegazioni di parte appellante sulle modalità in cui sarebbe avvenuto il contagio erano sufficienti a ritenere dimostrata la condotta astrattamente idonea a determinare l’insorgenza dell’epatite C nella M.;

b. erano privi di qualunque rilievo la tipologia e ancor meno le dimensioni del locale ove le fleboclisi sono state praticate, considerato che l’igiene deve riguardare la profilasi unicamente volta a prevenire La diffusione dell’epatite C;

c. appariva neutra la circostanza che le endovene fossero praticate in ambiente promiscuo;

d. il creditore non ha dedotto la specifica tipologia del dedotto inadempimento, idoneo astrattamente a produrre “l’evento dannoso (anche perchè la diligenza che il debitore dovrebbe dimostrare di aver tenuto in occasione della prestazione potrebbe avere contenuto diverso, a seconda della regola di condotta che si assume violata).

L’intimata compagnia assicuratrice della R.C. del B. resiste con controricorso, illustrato da memoria, e chiede dichiararsi inammissibile e, comunque, rigettarsi il ricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

2.1. Il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1176 e 2236 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente preteso che la danneggiata provasse la specifica tipologia del dedotto inadempimento; chiede alla Corte: “in relazione agli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., la Corte di appello ha applicato falsamente le norme imperative di cui agli artt. 1218, 1176, 2236 c.c., secondo le quali la responsabilità del medico ha natura contrattuale ed è quella tipica del professionista con la conseguenza che quanto all’onere della prova il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno deve dare la prova della fonte negoziale limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, oppure deve necessariamente allegare anche la specifica tipologia del dedotto inadempimento, idoneo astrattamente a produrre l’evento dannoso”? Col secondo motivo, il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, senza corredare il motivo del prescritto “momento di sintesi”.

3. I motivi si rivelano entrambi inammissibili per inidoneità del quesito formulato alla fine del primo e per difetto del “momento di sintesi” che avrebbe dovuto corredare il secondo, come emerge chiaramente da quanto sopra riportato. Essi sono privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie nel testo di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.

3.1. Il quesito, come noto, non può consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4 adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v.

Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

3.2. Non si rivela, pertanto, idoneo il quesito formulato alla fine del primo motivo proposto nel presente ricorso, dato che non contiene alcun riferimenti in fatto (indica l’oggetto della controversia, ma non sintetizza gli sviluppi della stessa), nè espone chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, si esaurisce in enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Del resto, il quesito di diritto non può risolversi – come nell’ipotesi – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536). Senza contare che la censura rivela un ulteriore profilo d’inammissibilità, dal momento che – non cogliendo correttamente il decisum – impugna un’ asserita illegittima ripartizione dell’onere probatorio; mentre la Corte territoriale si è pronunciata sulla specificità della dedotta domanda d’inadempimento della prestazione professionale, in armonia con il consolidato indirizzo di questa S.C., secondo cui, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. S.U. n. 577/08; Cass. n. 20101/09; 1538/10). Si tratta di onere di deduzione ed allegazione “coessenziale” proprio all’inversione dell’onere probatorio prevista per l’inadempimento degli obblighi contrattuali dall’art. 1218, dato che ha lo scopo di definire l’ambito della diligenza richiesta al debitore in occasione dell’esecuzione della prestazione, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale.

3.3. Quanto ai motivi con cui si deducono vizi di motivazione, a completamento della relativa esposizione, essi devono indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso;

b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione;

c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (Cass. 17/7/2008 n. 19769, in motivazione).

Orbene, nel caso con riferimento al secondo motivo con il quale vengono denunziati vizi di motivazione, il ricorrente formula alcune considerazioni (p. 10 e 14 del ricorso), che non contengono un momento di sintesi, così esprimendosi secondo un modello difforme da quello normativamente delineato nei termini sopra esposti, sostanziandosi invero in meramente generiche ed apodittiche asserzioni non rispettose del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il motivo non reca, invero, la “chiara indicazione” del “fatto controverso” e delle “ragioni” che rendono inidonea la motivazione a sorreggere la decisione, l’art. 366 bis c.p.c., che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione del denunziato vizio di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte, oltre che consistere in un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze probatorie, apprezzate con congrua motivazione nella sentenza impugnata.

4. Pertanto, il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.400,00, di cui Euro 3.200,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2011

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