Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10220 del 19/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 10220 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso 21977-2008 proposto da:
EUROITALIA S.R.L.

(già GIVER PROFUMI S.R.L.) P.I.

00788550960, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.
RIBOTY 28, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO
PAVONI, che la rappresenta e difende unitamente
2015

all’avvocato LUIGI BELVEDERI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

864
contro

FRONZONI FULVIO c.f. FRNFLV53B15D583L, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA L. G. FARAVELLI 22, presso lo

Data pubblicazione: 19/05/2015

studio

dell’avvocato

ARTURO

MARESCA,

che

lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO
JACOBI, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 564/2008 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/02/2015 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito l’Avvocato PAVONI DOMENICO;
udito l’Avvocato JACOBI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso
per l’inammissibilità in subordine rigetto del
ricorso.

di MILANO, depositata il 13/05/2008 R.G.N. 90/2007;

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

Svolgimento del processo

1.— Con sentenza del 13 maggio 2008 la Corte di Appello di Milano ha
confermato la decisione del primo giudice che aveva accertato l’esistenza di un
rapporto di lavoro subordinato tra Fulvio Fronzoni e la Euroitalia Srl (già Giver
Profumi Srl) a decorrere dal giugno 2000, condannando la società alla

regolarizzazione del rapporto a fini contributivi e previdenziali e dichiarando
altresì l’illegittimità del licenziamento, con ordine di reintegrazione del Fronzoni
nel posto di lavoro con la mansione di “direttore commerciale – livello quadro del
CCNL del Commercio” e risarcimento del danno nella misura di euro 8.608,00
mensili dal 10 gennaio 2005 alla reintegra.
In sintesi, per quanto qui interessa, la Corte territoriale ha ritenuto che,
conformemente al giudizio espresso in prime cure, con l’istruttoria espletata fosse
stata dimostrata la sussistenza di un rapporto di lavoro con i caratteri tipici della
subordinazione; che il tribunale non era incorso nel vizio di ultrapetizione nel
condannare la società ad attribuire all’attore le mansioni di direttore commerciale
alla stregua della categoria di quadro di cui alla contrattazione collettiva del
settore commercio; che l’eccezione di aliunde perceptum sollevata dalla società in
appello, pur eccezione in senso lato, era fondata su circostanze di fatto
tardivamente dedotte.

2.— Per la cassazione di tale sentenza Euroitalia Srl ha proposto ricorso con
quattro motivi, illustrati da memoria. L’intimato ha resistito con controricorso.
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

Motivi della decisione

3.— Il ricorso non può trovare accoglimento.
3.1.— Con il primo motivo si denuncia promiscuamente “violazione e falsa
applicazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa o insufficiente motivazione circa fatti
decisivi del giudizio”, con censure astrattamente sussumibili sia nel n. 4 che nel
n. 5 dell’art. 360 c.p.c..
Si lamenta che, non essendo state trascritte le conclusioni delle parti nella
sentenza di primo grado, sarebbe stato attribuito d’ufficio al Fronzoni il “livello
quadro CCNL Commercio”, quando invece tale richiesta non era mai stata

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R.G. n. 21977/2008.
Udienza 19 febbraio 2015
Presidente MAcioce Relatore Amendola

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

formulata, essendosi limitato l’attore a domandare la reintegrazione nel posto di
lavoro; ci si duole altresì che i giudici di merito abbiano determinato la
retribuzione dovuta dal licenziamento non basandosi sulla contrattazione
collettiva presa a parametro, bensì avuto riguardo al contenuto patrimoniale del
contratto di lavoro autonomo “che le parti avevano ritenuto congruo”.

Quanto all’errore processuale di ultrapetizione, la censura non ha pregio
atteso che il giudice del merito si è pronunciato sulla domanda di reintegra
pacificamente formulata dall’attore, indicando una certa declaratoria contrattuale
al solo fine di individuare il posto e le mansioni al quale il lavoratore doveva
essere assegnato.
Circa la somma al cui pagamento la società è stata condannata i il giudice del
merito non ha fatto altro che applicare l’art. 18 della I. n. 300 del 1970, nella
formulazione pro tempore vigente, secondo il quale, con la sentenza che dispone
la reintegrazione, il datore di lavoro deve essere condannato al risarcimento del
danno commisurato alla retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore; e
nella specie non è in contestazione che il Fronzoni percepisse un compenso
mensile di euro 8.608,00.
3.2.— Con il secondo motivo si denuncia “omessa o insufficiente motivazione
circa fatti decisivi del giudizio, con riferimento alla disamina degli indici di
subordinazione”.
Come noto la ricostruzione della vicenda storica e la sua valutazione in fatto
costituisce indagine che è monopolio del giudice di merito, sindacabile in sede di
legittimità nei ristretti ambiti del vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c..
Per consolidato orientamento di questa Corte la motivazione omessa,
contraddittoria o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento
del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale
obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione,
ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima
sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi
acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità
rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul
significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il
motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del
convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul

R.G. n. 21977/2008.
Udienza 19 febbraio 2015
Presidente MAcioce Relatore Amendola

Entrambe le doglianze sono prive di fondamento.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (per
tutte v. Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013).
Invero la Corte di cassazione non ha il potere di riesaminare il merito
dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di
controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica,
l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di

individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la
concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando
così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i
casi tassativamente previsti dalla legge (tra numerose altre: Cass. SS.UU. n.
5802 del 1998 nonché Cass. n. 1892 del 2002, n. 15355 del 2004, n. 1014 del
2006; n. 18119 del 2008).
Nella specie la società non individua un “fatto controverso e decisivo” che
sarebbe stato trascurato dalla Corte territoriale, in rapporto di causalità tale con
la soluzione giuridica della controversia da far ritenere, con giudizio di certezza e
non di mera probabilità, che la sua corretta considerazione avrebbe comportato
una decisione diversa. Piuttosto si limita a ribadire la sua convinzione, secondo la
quale il rapporto di lavoro non avrebbe avuto i caratteri della subordinazione.
Sicché il motivo in esame si traduce nell’invocata revisione delle valutazioni e
dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova
pronuncia sul fatto, non concessa perché estranea alla natura ed alla finalità del
giudizio di legittimità.
3.3.— Con il terzo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art.
414, n. 5, c.p.c., relativamente alla proponibilità in appello dell’eccezione
dell’aliunde perceptum”. Si deduce che le circostanze a fondamento dell’eccezione
erano state conosciute solo dopo il giudizio di primo grado, poiché solo allora
erano state rese di pubblico dominio attraverso le banche dati disponibili.
Il mezzo di impugnazione è infondato perché la Corte territoriale, con giudizio
di fatto non adeguatamente censurato, ha ritenuto le circostanze poste a
fondamento dell’eccezione già conosciute dalla società antecedentemente al
giudizio di primo grado.
Inoltre non vi è prova del rispetto del principio di tempestiva allegazione della
sopravvenienza in materia di eccezioni in senso lato, che costituisce condizione

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

imprescindibile per dare ingresso alla valutazione dei fatti posti a fondamento
dell’eccezione (v. Cass. n. 2035 del 2006 e n. 13783 del 2007).
3.4.— Con il quarto motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione
dell’art. 21 DL 25.6.2008, n. 112 in relazione alle conseguenze applicabili nel
caso di reiterazione di contratti a termine”, con connessa eccezione di

Si eccepisce che al Fronzoni, al più, dovrebbe essere riconosciuta una
indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, come previsto dalla disposizione
richiamata.
Anche tale motivo non merita accoglimento.
Oltre a rilevare che il parametro normativo che si assume violato – l’art. 21,
comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, conv. con modificazioni
in I. n. 133 del 2008, che aveva introdotto l’art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001 è stato dichiarato incostituzionale con sentenza della Corte costituzionale n. 214
del 2009, occorre considerare che la denuncia del vizio muove da una premessa
inconsistente: invero, non possono equipararsi collaborazioni coordinate e
continuative a dei contratti di lavoro subordinato a termine al solo fine di ridurre

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l’ammontare del risarcimento dovuto.

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4.— Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle
spese di lite liquidate in euro 5000,00 per compensi professionali, euro 100,00
per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 19 febbraio 2015

Il rei

Il

residente

incostituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost.

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