Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10220 del 18/05/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 10220 Anno 2016
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

SENTENZA
sul ricorso 1730 – 2011 proposto da:
CHIERICHETTI PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA
VIALE DELLE MILIZIE 22, presso lo studio dell’avvocato
ROCCO LUIGI GIROLAMO, rappresentato e difeso
dall’avvocato ANTONIO LONARDO giusta delega a margine;
– ricorrente 2016
1390

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– con troricorrente –

Data pubblicazione: 18/05/2016

nonché contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

avverso

la

sentenza

n.

6348/2009

intimato

della

COMM.

TRIBUTARIA CENTRALE di ROMA, depositata il 02/12/2009;

udienza del 21/04/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO
MARIA STALLA;
udito per il ricorrente l’Avvocato ROCCO LUIGI
GIROLAMO per delega dell’Avvocato LONARDO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI CUOMO che ha concluso per
raccoglimento del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del giudizio.

Paolo Chierichetti propone ex art.111 Cost. tre motivi di ricorso per la cessazione
della sentenza n. 6348 del 2 dicembre 2009, con la quale la commissione tributaria
centrale, sezione di Roma, ha rigettato – in segno opposto alle decisioni di primo e di
secondo grado il ricorso da lui proposto avverso l’avviso di accertamento di maggior
valore per imposta di registro (da lire 28.148.000 a lire 75 milioni) notificatogli
dall’ufficio con riguardo alla scrittura privata 9 agosto 1982 di cessione d’azienda.
centrale della insussistenza, nell’avviso di accertamento opposto, della motivazione
minima necessaria per legge.
Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.
Motivi della decisione.

§ 1.

Con i primi due motivi di ricorso il Chierichetti si duole – ex art.360, 1^co.n.5)

cpc – di ‘omessa’ (primo motivo) ovvero ‘insufficiente’ (secondo motivo) motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; insito nella mancanza di
motivazione dell’avviso di accertamento. In particolare, la commissione centrale
avrebbe omesso di adeguatamente esplicitare le ragioni per cui, rigettando il ricorso
introduttivo in riforma delle prime due decisioni, aveva ritenuto valido l’avviso di
accertamento in oggetto, ancorché privo di adeguata motivazione per quanto
concerneva, segnatamente, il maggior valore attribuito dall’ufficio ai singoli cespiti
aziendali ceduti, nonché il criterio applicato nella determinazione di tale maggior
valore.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta – ex art.360, 1^co.n.3) cpc – violazione o
falsa applicazione di legge, con riguardo agli articoli 48 e 49 dpr 634/72, qui
applicabili ratione temporis.

In particolare, la commissione tributaria centrale – dopo

aver rilevato che erroneamente la commissione tributaria di secondo grado aveva
individuato la norma di riferimento nel secondo comma dell’articolo 48 cit. (beni
immobili), invece che nel terzo (azienda) – aveva poi omesso di rilevare che un
obbligo ex lege di motivazione minima dell’avviso di accertamento doveva ritenersi
sussistente (come già ritenuto da SSUU 4853/87), ancorchè non espressamente
previsto nell’art.49 cit..
§ 2.

I motivi di oggetto – suscettibili di trattazione unitaria perché affetti, come ora si

dirà, dal medesimo vizio – sono inammissibili.
Essi sono tutti incentrati sul mancato rilievo della invalidità dell’avviso di
accertamento opposto, in quanto privo di una motivazione ‘minima` tale da porre il
contribuente in condizione di conoscere e contraddire le ragioni del maggior valore

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Ric.n.1730/11 r. – Ud.del 21 aprile 2016

Il ricorrente lamenta, in particolare, il mancato rilievo da parte della commissione

accertato; con riguardo sia al valore attribuito ai singoli cespiti costituenti l’azienda
ceduta, sia al criterio determinativo del valore venale adottato dall’ufficio.
Ebbene, tali motivi non riportano (e così nemmeno la narrativa introduttiva dei
ricorso) il contenuto dell’avviso di accertamento di cui si assume l’invalidità
asseritamente non rilevata dalla commissione centrale; se non per esteso ed alla
lettera, quantomeno nei suoi aspetti essenziali e qualificanti ai fini della verifica
richiesta. Inoltre, non viene indicato dal ricorrente in quale fascicolo e produzione agli
Tale situazione preclude a questa corte di legittimità di vagliare, con i dovuti
caratteri di immediatezza e specificità, la fondatezza delle censure proposte.
Queste ultime richiamano più volte, in effetti, il contenuto dell’avviso di
accertamento, segnalandone la carenza motivazionale; e tuttavia, esse si risolvono in
affermazioni valutative svincolate dalla puntuale riproduzione del contenuto
concretamente assunto dall’atto impositivo, di cui si lamenta l’inidoneità rispetto ai
parametri di legge.
A pag.2 del ricorso per cassazione si afferma che le parti contraenti avevano
eccepito, in sede di impugnativa avanti alla commissione tributaria di primo grado,
“l’uso da parte dell’ufficio di espressioni generiche e stereotipate, valevoli per la
generalità dei casi e senza riferimento al caso di specie”; il che non consentiva “di
svolgere un’adeguata difesa”. Tali espressioni non vengono però riprodotte.

A pagg. 8 e 9 del ricorso si richiama l’obbligo normativo di motivazione dell’avviso
di accertamento, affermandosi che “nell’avviso de quo, viceversa, l’ufficio ha omesso
di indicare il valore dei singoli beni costituenti l’azienda ceduta, limitandosi a riportare
il valore dichiarato e quello accertato; inoltre, la genericità e Pastrattezza del criterio
di calcolo indicato non ha consentito di svolgere difese innanzi al giudice tributario”.

Si soggiunge poi che “il valore dei singoli beni avrebbe potuto (e dovuto a norma
dell’articolo 49, co.2) essere indicato nell’avviso di accertamento, consentendo in tal
modo al ricorrente di far valere le proprie ragioni, dimostrando l’infondatezza delle
deduzioni di controparte”;

osservandosi infine che “tutto ciò non è accaduto,

preferendo l’ufficio omettere informazioni essenziali all’accertamento del maggior
valore”. Non si riporta però il criterio di calcolo indicato nell’avviso, né si specificano i

beni aziendali in quest’ultimo menzionati.
Queste censure al contenuto dell’avviso di accertamento non possono non risultare
alquanto vaghe, in quanto non associate alla puntuale indicazione e richiamo della
motivazione in effetti contenuta nel provvedimento impositivo opposto; non
altrimenti controllabile da questa corte di legittimità, in una con la motivazione

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Ric.n.1730/11 rg. – Ud.del 21 aprile 2016

atti di causa esso sia attingibile.

esplicitamente ovvero implicitamente ravvisabile sul punto nella sentenza qui
impugnata.
La carenza delle censure in esame appare tanto più grave in considerazione del
fatto, da un lato, che tutti gli argomenti dedotti dal ricorrente a sostegno della
cassazione di quest’ultima ruotano in maniera essenziale ed imprescindibile proprio
intorno al contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento; e del fatto, dall’altro,
che l’agenzia delle entrate, lungi da ammettere e riconoscere la descrizione

Assumendo invece la congruità, sulla scorta della legislazione all’epoca vigente e
della giurisprudenza di legittimità ad essa riferita, di tale contenuto motivazionale,
affermando in particolare che esso, come previsto dagli articoli 48 e 49 dpr 634/72,
“ha indicato tutti gli elementi necessari all’instaurazione di un corretto contraddittorio
con la parte, quali l’indicazione dell’ubicazione dell’azienda, la consistenza dei beni
che la compongono, il giro d’affari, l’avviamento commerciale” (pag.2 controric.). Il

che imponeva una volta di più il raffronto testuale con l’effettivo contenuto riportato
nell’avviso di maggior valore.
E’ in definitiva evidente che il ricorso del Chierichetti difetta dì autosufficienza ex
articolo 366 n. 6) cpc; requisito di ordine generale (tra le molte: Cass. S.U. n. 7161
dei 25103/2010; S.U. n. 28547/2008; Cass n.124 del 04/01/2013; Cass. n. 7455 del
25/03/2013), che deve sussistere, in quanto tale, anche in materia tributaria.
Si è, a quest’ultimo proposito, affermato che: “in tema di contenzioso tributario, il
ricorrente, pur non essendo tenuto a produrre nuovamente i documenti, in ragione
dell’indisponibilità del fascicolo di parte che resta acquisito, ai sensi dell’art. 25,
comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, al fascicolo d’ufficio del giudizio svoltosi dinanzi
alla commissione tributaria, di cui è sufficiente la richiesta di trasmissione ex art.
369, comma 3, c.p.c., deve rispettare, a pena d’inammissibilità del ricorso, il diverso
onere di cui all’art. 366, n. 6, c.p.c., di specifica indicazione degli atti processuali e
dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione
della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di
merito” (Cass. n. 23575 del 18/11/2015).

Con particolare riguardo, poi, alla correlazione tra il requisito di autosufficienza del
ricorso per cessazione e la doglianza sulla idoneità contenutistica e di motivazione
dell’atto tributario impugnato, si è stabilito che: “in tema di contenzioso tributario, é
inammissibile, per difetto di autosufficienza, il ricorso per cassazione avverso la
sentenza che abbia ritenuto legittima una cartella di pagamento ove sia stata omessa
la trascrizione del contenuto dell’atto impugnato, restando precluso al giudice di
legittimità la verifica della corrispondenza tra contenuto del provve ;mento

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RIc.n.1730/11 rg. – Ud.del 21 aprile 2016

contenutistica dell’avviso opposto così come fornita dal contribuente, l’ha contestata.

impugnato e quanto asserito dal contribuente. (Cass. n. 16010 del 29/07/2015); e,
inoltre, che: “nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso
per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la
sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del
giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento (nella
specie, risultante “per relationem” ad un processo verbale di constatazione) è
necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che

esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto
processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla
motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo
fondamento” (Cass. n. 9536 del 19/04/2013).
Ne segue l’inammissibilità del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla
rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
Pq m
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione che liquida in euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso nella camera di consiglio della quinta sezione civile in data 21 aprile
2016.

si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica

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