Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10217 del 19/04/2021

Cassazione civile sez. I, 19/04/2021, (ud. 15/01/2021, dep. 19/04/2021), n.10217

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3291/2019 proposto da:

A.O., elettivamente domiciliato in Roma presso la

cancelleria civile della Corte di Cassazione rappresentato

dall’Avv.to Anna Lombardi Baiardini;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di PERUGIA, depositata il

12/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2021 da Dott. MELONI MARINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Perugia sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 12/12/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Perugia in ordine alle istanze avanzate da A.O., nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dalla Nigeria aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese in quanto tre sconosciuti che volevano convincerlo ad uccidere il politico per il quale lavorava, intendevano ucciderlo a causa del suo rifiuto.

Il Tribunale di Perugia in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito riteneva non attendibile la vicenda narrata e negava il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonchè una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso il decreto del Tribunale di Perugia il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 4,5,6,7,8,14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3 ed 8, per non aver il tribunale ritenuto credibile il ricorrente nonostante il circostanziato racconto reso, in violazione dei parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 3, comma 5, art. 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice di merito, nonostante le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria e non ha effettuato indagini sulla base delle COI aggiornate.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 3, comma 5, art. 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3,8 e 32, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19; D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Giudice Territoriale non aveva concesso la protezione umanitaria nonostante lo stato di vulnerabilità del ricorrente nè tenuto conto dello stato di salute del ricorrente.

I motivi di ricorso sono inammissibili in quanto contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione del Tribunale territoriale e sollecitano un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.

La parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).

Anzitutto il ricorrente è stato ritenuto non credibile dal Tribunale di merito il quale ha motivato in ordine a tale accertamento.

A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età (Cass. ord. 26921/2017).

Alla luce di quanto sopra appare evidente che il racconto del ricorrente per essere credibile richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E) e tali requisiti secondo il giudice di merito non risultano presenti nella narrazione del ricorrente.

In riferimento poi ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, ed al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, relativo all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, il Giudice ha ritenuto che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali della persona tenuto anche conto della dell’assenza di una situazione di conflitto generalizzata ex art. 14, lett. C) nella zona di provenienza6econdo le informazioni aggiornate ed i siti online consultati e citati della cui idoneità non vi è motivo di dubitare) e, stante la non credibilità del ricorrente, anche delle ipotesi di cui all’art. 14, lett. A) e B).

In ordine poi alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 13, convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass. S.U. 2019/29460)1 la ricorrente censura l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente: tuttavia il ricorrente friverla, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dal giudice di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità, non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Per quanto poi riguarda l’integrazione raggiunta in Italia, in conformità con l’approccio scelto da questa Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e seguito, tra le altre, dalle Sezioni Unite (n. 29459 del 2019), occorre accordare rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

Nella fattispecie tale comparazione non risulta possibile non avendo il ricorrente offerto alcuna prova in ordine al percorso di integrazione in Italia, nemmeno risultando che il ricorrente svolga un’occupazione lavorativa in Italia ma solo attività di volontariato.

Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese di giudizio di legittimità.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 15 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2021

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