Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10215 del 28/04/2010

Cassazione civile sez. I, 28/04/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 28/04/2010), n.10215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

TIEMME RACCORDERIE S.P.A. (c.f. e P.I. (OMISSIS)), in persona

dell’amministratore delegato pro tempore, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA F. DI SAVOIA 3, presso l’avvocato ACCIARDI FRANCA,

rappresentata e difesa dagli avvocati PEREGO ENRICO, VALSERIATI

FLAMINIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.M., G.V., T.V., SOLOFID

S.P.A.;

– intimati –

e sul ricorso n. 22949/2005 proposto da:

T.M. (c.f. (OMISSIS)), G.V. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. SECCHI

9, presso l’avvocato ANTONIO RUVITUSO, rappresentati e difesi

dall’avvocato LOJACONO MAURIZIO, giusta procura speciale Notaio dott.

GIUSEPPE ANNARUMMA di BRESCIA – Rep. 90026 dell’8/1/2010, depositata

in udienza;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

TIEMME RACCORDERIE S.P.A., in persona dell’amministratore delegato

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. DI SAVOIA 3,

presso l’avvocato ACCIARDI FRANCA, rappresentata e difesa dagli

avvocati VALSERIATI FLAMINIO, PEREGO ENRICO, giusta procura in calce

al ricorso principale; SOLOFID S.P.A., gia’ SIFRU – SOCIETA’

FIDUCIARIA S.P.A., in persona del dirigente generale pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. DI SAVOIA 3, presso

l’avvocato ACCIARDI FRANCA, rappresentata e difesa dall’avvocato

PEREGO ENRICO, giusta procura in calce al controricorso al ricorso

incidentale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

contro

T.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 485/2004 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 11/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2010 dal Consigliere Dott. RAGONESI Vittorio;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato E. PEREGO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale e rigetto del ricorso

incidentale;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l’Avvocato M.

LOJACONO che ha chiesto il rigetto del ricorso principale ed

accoglimento del ricorso incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 6 aprile 1994 la societa’ Emmefin s.r.l., da un lato, e i signori T.M., G.V. e T.V., dall’altro, sottoscrivevano una convenzione denominata “convenzione transattiva” con la quale, si premetteva:

a) che Emmefin s.r.l., T.M. e G.V. erano soci della societa’ Raccorderie Tiemme s.r.l. rispettivamente per quote, del 51%, del 12% e del 37%;

b) che tra Emmefin s.r.l.,da una parte, e Tiemme Raccorderie srl, T.M. e G.V., dall’altra, erano intercorse varie controversie, alcune delle quali pendenti in sede giudiziale;

c) che le parti erano addivenute alla determinazione di definire tutti i rapporti tra di esse intercorsi e, quindi, di transigere ogni controversia derivatane o che potesse in futuro derivarne, intendendo a tal fine i convenenti T.M., G.V. e T.V. procedere alla cessione delle partecipazioni societarie e, in generale, dei diritti di qualsiasi natura ad essi facenti capo in Tiemme Raccorderie srl.

Sulla base di tali premesse le parti assumevano una serie di obbligazioni reciproche.

a) T.M. e G.V. assumevano l’obbligazione irrevocabile di cedere le proprie quote di partecipazione nella Tiemme Raccorderie s.r.l. pari al 49% (libere da qualsiasi vincolo, pegno, ipoteca privilegio e gravame, reale o obbligatorio) a persona, ente, o societa’ che la Emmefin si impegnava a procurare, quale contraente sia preliminare che definitivo, entro la data di stipulazione del rogito (da sottoscrivere nei quindici giorni successivi), per il corrispettivo di L. 300.000.000: il tutto con contestuale rinuncia, in via irrevocabile e definitiva, al rimborso dei finanziamenti diretti e/o indiretti concessi da ciascuno di essi, nonche’ da T.V. alla Tiemme Raccorderie ed in particolare alle garanzie per L. 160.000.000 e L. 250.000.000 prestate rispettivamente in favore del Nuovo Banco Ambrosiano Veneto e della Banca Nazionale del Lavoro per concessione di linee di credito in favore della Tiemme che si impegnavano a formalizzare con lettera di contenuto conforme indirizzata ai nominati Istituti.

b) La Emme fin s.r.l., ovvero la persona fisica o giuridica che si fosse resa cessionaria delle quote di T.M. e G. V. in Tiemme Raccorderie, assumeva l’obbligazione di non deliberare alcuna azione di responsabilita’ nei confronti dei cedenti e comunque a votare contro l’esercizio di tale azione, nel caso in cui essa fosse stata posta, per qualsiasi motivo, all’ordine del giorno da parte di terzi, ovvero a rinunciarvi nell’ipotesi in cui essa fosse stata instaurata da parte dell’amministratore giudiziario.

c) T.M., T.V. e G.V., ciascuno per quanto di propria competenza e spettanza, dichiaravano altresi’ di nulla avere piu’ a rivendicare nei confronti della societa’ e/o della Emmefin, o della Gnutti Cirillo s.p.a. ovvero di aventi causa dei predetti per qualsiasi proprio credito o pretesa personale riferibile alle posizioni di socio, di, creditore pignoratizio, di lavoratore dipendente o collaboratore autonomo, avente diritto sulle quote Emmefin, o amministratore o creditore personale, relativo a rapporti di qualsiasi natura fino a quel momento intervenuto in Tiemme Raccorderie e, quindi, di rinunciare a qualsiasi domanda, richiesta, pretesa o rivendicazione, anche futura nei confronti di tutti i predetti soggetti, da ritenersi transattivamente tacitata e definitivamente saldata. In particolare veniva fatta espressa menzione della rinuncia, da parte di G. V., a rivendicazioni o pretese di qualsiasi genere derivanti dal rapporto di lavoro subordinato svolto alle dipendenze della societa’ (dal quale rassegnava le dimissioni con effetto immediato chiedendo di essere esonerata dal periodo di preavviso) ulteriori rispetto a quelle derivanti dal credito per retribuzioni relative ai mesi di gennaio, febbraio e marzo 1994 e per trattamento di fine rapporto, nonche’ della rinuncia, da parte di T.M., ad eventuali compensi ad esso spettanti quale amministratore.

d) La Emmefm, per parte sua, si impegnava entro il 31 dicembre del 1994, a liberare T.M. e G.V. da qualsiasi impegno fideiussorio da essi fino a quel momento prestato per conto di Tiemme Raccorderie spa, in favore di istituti bancari, riferibili ad obbligazioni di natura aziendale o societaria.

e) Le parti assumevano, infine, il reciproco impegno a rinunciare, con effetto immediato, a tutte le azioni civili e penali tra le stesse pendenti a spese compensate, nonche’ a devolvere qualsiasi controversia che fosse insorta in ordine all’interpretazione.

esecuzione o risoluzione della convenzione ad un collegio arbitrale composto da tre membri, il quale avrebbe giudicato nelle forme dell’arbitrato rituale d’equita’ e nel rispetto del principio del contraddittorio.

La promessa di vendita veniva perfezionata con rogito notarile in data (OMISSIS) a nome della Sifru – Societa’ Fiduciaria – s.p.a. con sede in (OMISSIS), per il corrispettivo di L. 300.000.000 che i cedenti T. e G. dichiaravano di avere gia’ interamente riscosso. I predetti dichiaravano altresi’ di rinunciare reciprocamente al diritto di prelazione sulla cessione delle quote di spettanza dell’altro.

Alla stipulazione dell’atto partecipava, in qualita’ di creditore pignoratizio della quota di T.M., T.V., il quale prestava il proprio assenso alla cessione di cui sopra. Analogo assenso veniva prestato dall’altro creditore pignoratizio G. V., con rinuncia, da parte di entrambi, al pegno loro rispettivamente spettante sulle quote di T.M..

Insorta controversia in ordine alla validita’ della suddetta convenzione, T.M., G.V. e T. V. attivavano la procedura di arbitrato rituale, con atto notificato il 28 aprile 1998, precisando che il giudizio da essi in precedenza radicato avanti al Tribunale di Milano per l’accertamento della nullita’, per contrarieta’ a norme imperative, della convenzione transattiva sottoscritta il (OMISSIS) e degli atti da essa derivati, si era concluso con sentenza 12349/97 dichiarativa di incompetenza in presenza della menzionata clausola compromissoria.

Il Collegio arbitrale,dato atto che la Sifru spa, pur estranea alla convenzione transattiva, aveva dichiarato di partecipare al procedimento in qualita’ di interventore “ad adiuvandum”, con provvedimento emesso in data 7 febbraio 2000, dichiarava la nullita’ della convenzione, respingeva la domanda di retrocessione delle quote societarie, come pure la domanda di pagamento dell’equivalente, respingeva altresi’ le domande di risarcimento danno avanzate da T.M., G.V. e T.V. nonche’, in via riconvenzionale, da Tiemme Raccorderei s.p.a..

In particolare, il Collegio,escluso, in via preliminare, che la dedotta nullita’ del contratto di transazione potesse determinare la nullita’ della clausola compromissoria in esso contenuta e per conseguenza riflettersi sui poteri decisori del collegio, a motivo della decisione osservava che la clausola n. 14 della convenzione con la quale la cessionaria Emmefin si era obbligata a non deliberare alcuna azione di responsabilita’ nei confronti dei cedenti T. e G., ovvero a votare contro l’avvio di una simile azione nell’ipotesi in cui questa fosse stata per qualsiasi ragione posta all’ordine del giorno e,comunque, a votare a favore di delibera di rinuncia qualora una simile azione fosse stata promossa nei confronti dell’amministratore revocato da parte dell’amministratore giudiziario, aveva per oggetto la limitazione dell’espressione del diritto di voto da manifestarsi in assemblea riguardo all’esercizio dell’azione sociale di responsabilita’ a norma dell’art. 2393 c.c..

Rilevava quindi che il principio della liberta’ di voto e della validita’ degli accordi aventi ad oggetto la disciplina delle modalita’ di relativo esercizio trovava limite nel conflitto di interessi fra socio e societa’, nel senso che il voto non poteva essere vincolato a perseguire un interesse del socio in conflitto con quello sociale. Riteneva conseguentemente che l’obbligazione di preventiva rinuncia all’esercizio dell’azione di responsabilita’ nei confronti dell’amministratore uscente, risolvendosi nella preclusione all’esercizio di ragioni di credito che dalla suddetta azione sarebbero potute derivare in virtu’ del vincolo di delibera assembleare previsto dall’art. 2393 c.c. configurava senz’altro un’ipotesi di conflitto di interessi tra il terzo e la societa’, e quindi tra societa’ e soci che dell’interesse configgente del terzo si erano fatti portatori.

Concludeva pertanto che la clausola in oggetto – che siffatta obbligazione contemplava – doveva ritenersi affetta da nullita’ assoluta ed insanabile, siccome involgente condotte contrarie a finalita’ imposte dal modello legale.

Escludeva poi che nel caso di specie fosse applicabile il principio di conservazione dell’accordo ai sensi dell’art. 1367 c.c., cosi’ come escludeva che sussistessero i presupposti per l’applicazione del principio di conversione della clausola nulla, ai sensi dell’art. 1424 c.c. sia in ragione dell’inapplicabilita’ di tale norma alle ipotesi di pattuizione illecita, sia perche’, in rapporto alla finalita’ realmente perseguita dalle parti, la trasformazione della clausola del diritto di voto in una clausola di manleva avrebbe comportato l’assunzione, in capo a Emmefin s.r.l., di un’obbligazione (tenere indenne, con il proprio patrimonio, l’ex amministratore dalle conseguenze economiche dell’esperimento dell’azione sociale di responsabilita’) di contenuto piu’ ampio cui la stessa non aveva mostrato di volersi vincolare.

Inoltrera’ stretta interdipendenza tra le varie pattuizioni era tale da far ritenere che le parti non avrebbero concluso il contratto senza quella clausola, la cui essenzialita’ doveva essere valutata con riferimento al momento della stipula del contratto,con conseguente irrilevanza della deliberazione di rinuncia all’azione di responsabilita’ adottata dall’assemblea della societa’ il 4 luglio 1994.

Il Collegio arbitrale riteneva poi sussistere l’interesse ad agire dei litisconsorti T. per avere gli stessi richiesto l’accertamento di nullita’ della singola clausola quale mezzo al fine di ottenere la dichiarazione di nullita’ dell’intero contratto e, correlativamente, la restituzione delle quote. Rigettava, tuttavia, la domanda di restituzione di queste ultime avanzata dai T. cosi’ come la domanda di pagamento dell’equivalente. Rigettava, infine, le domande di risarcimento dei danni reciprocamente proposte dalle parti.

Contro il lodo, non notificato, venivano proposte separate impugnazioni per nullita’ da Tiemme Raccorderie s.p.a., con atto di citazione notificato a T.M., a G.V. e a T.V. il 7 dicembre 2000, e da T.M. e G.V., con atto notificato a Tiemme Raccorderie s.p.a.

e a Sifru s.p.a. il 5 febbraio 2001. T.M. e G. V., all’atto della costituzione nel primo giudizio sopra radicato (comparsa depositata il 28 febbraio 2001), proponevano impugnazione incidentale. I due giudizi, venivano riuniti con ordinanza in data 11 luglio 2001 e quindi rimessi alla cognizione del collegio, che in via preliminare ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Solofid s.p.a. (gia’ Sifru s.p.a.). disponendo che la trattazione del procedimento proseguisse in sede collegiale.

La predetta societa’, costituitasi, in via preliminare eccepiva l’inammissibilita’ delle domande contro di essa proposte, contestandone comunque la fondatezza nel merito.

La Corte d’appello rigettava l’impugnazione principale di Tiemme Raccorderie s.p.a. e quella incidentale di T.M. e G.V., proposta quest’ultima anche contro Solofid s.p.a., e compensava le spese.

La sentenza e’ stata impugnata in via principale da Tiemme Raccordorie s.p.a. con ricorso notificato il 24 giugno 2005 nei confronti di T.M. e G.V.. Questi ultimi a loro volta hanno notificato il 19 settembre 2005 alla ricorrente principale un ricorso incidentale, proposto anche contro Solofid s.p.a, al quale quest’ultima e la Tiemme spa resistono con separati controricorsi.

Il T. e la G., da un lato, e la Tiemme spa, dall’altro, hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo mezzo di ricorso la Tiemme Raccorderie spa lamenta che la sentenza impugnata abbia disconosciuto il vizio di nullita’ in cui il lodo sarebbe incorso per aver accolto una domanda dei signori T. ad onta della carenza di interesse ad agire in capo ai medesimi. Sostiene che l’interesse a far valere l’invalidita’ di una stipulazione, intesa nella specie a sottrarre certi soggetti al rischio di subire un’azione di responsabilita’ da parte di una societa’, non potrebbe sussistere in capo a quei medesimi soggetti che del patto asseritamente invalido sono i beneficiari.

Con il secondo motivo, la ricorrente assume il difetto di legittimazione dei T. sotto l’ulteriore profilo che, nel caso di specie, non si sarebbe eventualmente trattato di nullita’ della clausola di esonero dalla responsabilita’ bensi’ di annullabilita’.

Col terzo motivo di gravarne la societa’ ricorrente assume che dalla recente riforma del diritto societario (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) si desumerebbero principi di ordine pubblico che sarebbero stati violati dalla corte territoriale e che risulterebbero applicabili al caso di specie quale ius superveniens.

Con il quarto motivo di ricorso la soc. Tiemme denuncia un vizio della sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe omesso di esaminare alcune censure mosse al lodo di equita’. Assume infatti che quest’ultimo avrebbe violato principi inderogabili dell’ordinamento, cosi’ esponendosi all’impugnabilita’ di cui all’art. 829 c.p.c., comma 2. La Corte di Appello, a sua volta, non avrebbe poi preso in considerazione dette censure poiche’ aventi ad oggetto presunti errores in indicando, in quanto tali non sottoponibili a riesame.

Col primo profilo del primo motivo di ricorso incidentale il T. e la G. deducono, nei confronti di Tiemme Raccorderie s.p.a., l’omessa pronuncia e la carenza di motivazione della sentenza che non avrebbe esaminato le doglianze da essi proposte per l’omessa dichiarazione da parte degli arbitri della nullita’ del trasferimento delle quote e delle altre prestazioni eseguite in adempimento della transazione nulla.

Con l’altro profilo del primo motivo di ricorso incidentale e il secondo motivo di ricorso incidentale lamentano, nei confronti di Solofid, la contrarieta’ del lodo alle disposizioni inderogabili di cui all’art. 1419 c.c. in relazione alla vendita delle quote da T. e G. a Sifru s.r.l. (ora Solofid s.p.a.) e la circostanza che la Corte d’appello non avrebbe preso in esame la loro doglianza concernente l’omessa dichiarazione, da parte degli arbitri, della nullita’ del trasferimento delle quote.

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti.

I primi due motivi del ricorso principale, vertendo tutti sulla questione dell’interesse ad agire dei resistenti, possono essere esaminati congiuntamente.

Gli stessi sono inammissibili ovvero per certi aspetti infondati.

La Corte d’appello ha con estrema chiarezza accertato che la domanda del T. e della G. era “fin dall’origine indirizzata a sentir dichiarare la nullita’ dell’intera convenzione transattiva quale mezzo al fine delle conseguenti pronunce restitutorie”.

Dalla interpretazione della domanda giudiziale effettuata dalla Corte d’appello si evince con tutta evidenza l’interesse ad agire dei resistenti.

Questi ultimi, infatti, avrebbero dedotto la nullita’ della convenzione nel suo insieme e non solo della clausola relativa alla azione di responsabilita’, ed il loro interesse si sarebbe ulteriormente sostanziato nelle domande restitutorie ritenute conseguenti ad un eventuale accoglimento della domanda.

Tale motivazione appare del tutto corretta alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato che l’accertamento e la valutazione dell’interesse ad agire (da compiersi in via preliminare, prescindendo dall’esame del merito della controversia e dall’ammissibilita’ della domanda sotto altri e diversi profili) si risolve in un’indagine sull’idoneita’ astratta della pronuncia richiesta al conseguimento del risultato utile sperato e non altrimenti conseguibile se non con l’intervento del giudice, e va, pertanto, distinta dalla valutazione relativa al diritto sostanziale fatto valere in giudizio, poiche’, nella prima, assume rilievo la questione dell’utilita’ dell’effetto giuridico richiesto e considerato con giudizio ipotetico conforme alla norma giuridica invocata, mentre, nella seconda, spiega influenza la (diversa) questione dell’effettiva conformita’ alla norma sostanziale dell’effetto giuridico che si chiede al giudice (Cass 4984/01; Cass 19152/05; Cass 5684/06; Cass 7635/06; Cass 7786/07; Cass 16159/07).

Cio’ posto, premesso che il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non e’ tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, siccome desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante. (Cass 19331/07), va rammentato che l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non e’ censurabile in sede di legittimita’ quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata avuto riguardo all’intero contesto dell’atto e senza che ne risulti alterato il senso letterale, tenuto conto, in tale operazione, della formulazione testuale dell’atto nonche’ del contenuto sostanziale della pretesa in relazione alle finalita’ che la parte intende perseguire, elemento rispetto al quale non assume valore condizionante la formula adottata dalla parte medesima. (ex plurimis Cass 22893/08). In tal senso, la motivazione fornita dalla Corte d’appello, ancorche’ sintetica, appare del tutto esaustiva dal momento che la stessa effettua una valutazione complessiva della domanda in cui la dedotta nullita’ relativa alla clausola di esonero dall’azione di responsabilita’ viene inquadrata nella piu’ ampia domanda di nullita’ della intera convenzione con le annesse domande restitutorie dal momento che, trattandosi di una transazione, le reciproche concessioni sono in stretta interdipendenza le une con le altre, per cui la nullita’ da cui una di esse e’ afflitta si riverbera necessariamente sull’intero accordo.

Le censure che la societa’ ricorrente muove a tale motivazione tendono in realta’ a proporre, ai fini dell’esistenza dell’interesse ad agire, una diversa interpretazione della domanda formulata dai resistenti svincolando del tutto la dedotta nullita’ della clausola relativa all’azione di responsabilita’ dalla domanda complessiva di nullita’ della convenzione e svalutando le ulteriori domande restitutorie proposte.

A cio’ deve aggiungersi che la motivazione della sentenza non risulta adeguatamente censurata sotto il profilo della autosufficienza da parte della societa’ ricorrente.

Questa, infatti, da per assunto il fatto che i resistenti abbiano agito per far accertare solo la nullita’ della clausola contrattuale relativa all’azione di responsabilita’ e solo di riflesso per fare accertare la nullita’ dell’intera transazione al fine di ottenere la retrocessione delle quote, ma avrebbe dovuto riportare le parti rilevanti della domanda introduttiva del giudizio per dimostrare che questa era esclusivamente incentrata sulla nullita’ della clausola in esame e non investiva, invece, la convenzione nel suo insieme, non essendo a tal fine sufficiente il riportare in modo non integrale soltanto alcuni brani della motivazione del lodo arbitrale. In conclusione, dunque, dovendosi ritenere,alla stregua di quanto deciso dalla Corte d’appello, che la domanda giudiziale investe la nullita’ della transazione nel suo complesso ed essendo indubbio che in relazione a tale domanda vi e’ l’interesse ad agire da parte dei resistenti,risultano irrilevanti, in quanto non colgono la effettiva ratio decidendi, e sono conseguentemente inammissibili tutte le ulteriori censure contenute nel primo motivo relative alla prescrizione della azione di responsabilita’ ed alla successiva delibera assembleare del 4 luglio 1994, nonche’ le censure contenute nel secondo motivo relative alla questione dell’annullabilita’ della clausola anziche’ della nullita’ della stessa proposta in relazione all’interesse ad agire. Peraltro, la tesi proposta con il secondo motivo in questione circa l’annullabilita’ della clausola sarebbe comunque infondata alla luce di quanto verra’ esposto nell’esame del quarto motivo di ricorso.

Il terzo motivo, con cui con cui si deduce che lo ius superveniens di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, che riconosce a ciascun socio la legittimazione ad esercitare l’azione sociale di responsabilita’ nei confronti dell’amministratore, sarebbe applicabile al caso di specie, con la conseguenza che il patto parasociale non potrebbe piu’ considerarsi nullo, e’ manifestamente infondato.

In primo luogo, il ricorrente basa il proprio assunto sul fatto che la nuova disposizione in questione sarebbe di ordine pubblico, il che e’ da escludere riguardando quest’ultimo esclusivamente quei principi di diritto che riflettono valori fondamentali dell’ordinamento che connotano l’organizzazione politica ed economica della societa’ nell’attuale epoca storica (Cass 10603/93 sez un; Cass 4228/99);

principi che certamente non riguardano la legittimazione a proporre l’azione di responsabilita’ nei confronti dell’amministratore della societa’.

In secondo luogo, la validita’ di un contratto va valutata in base alla normativa vigente al momento della sua stipulazione in base al principio tempus regit actum, senza, quindi, che vi sia possibilita’ di applicare lo ius superveniens in assenza, come nel caso di specie, di una espressa previsione di retroattivita’ della norma e quando oltretutto gli effetti della disposizione contrattuale sono comunque esauriti.

Venendo all’esame del quarto motivo, lo stesso si fonda sulla circostanza che la norma avrebbe ritenuto che le censure proposte nei confronti del lodo dalla attuale ricorrente, in relazione alla nullita’ della clausola 14 (concernente la non proponibilita’ dell’azione di responsabilita’) ed alla sua estensione all’intero contratto (art 1419 c.c.) nonche’ alla mancata conversione del contratto ritenuto nullo (art 1424 c.c.), fossero relative ad errores in iudicando e, come tali inammissibili.

La Corte d’appello ha ritenuto sul punto che,ancorche’ le norme in questione rivestissero carattere cogente investendo aspetti d’ordine pubblico, l’errore dedotto dagli appellanti fosse comunque “in iudicando” perche’ investiva non gia’ l’inosservanza della normativa in questione ma solo la sua interpretazione e concreta applicazione alla fattispecie.

In relazione a tale questionera’ ricordato che la giurisprudenza di questa Corte si e’ ripetutamente espressa affermando che gli arbitri autorizzati a pronunciare secondo equita’ sono svincolati, nella formazione del loro giudizio, dalla rigorosa osservanza delle regole del diritto oggettivo, avendo facolta’ di far ricorso a criteri, principi e valutazioni di prudenza e opportunita’, che appaiano i piu’ adatti e i piu’ equi, secondo la loro coscienza, per la risoluzione del caso concreto, con la necessaria conseguenza che resta preclusa, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2, ultima parte, l’impugnazione per nullita’ del lodo di equita’ per violazione delle norme di diritto sostanziale, o in generale per “errores in iudicando” che non si traducano nell’inosservanza di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e percio’ non derogabili dalla volonta’ delle parti ne’ suscettibili di formare oggetto di compromesso. 1183/06;

(v. Cass 8231/00 Cass. 1994 n. 4330; S.U. 1993 n. 10827; 1993 n. 8563; 1984 n. 5637).

Cio’ posto la decisione del giudice di seconde cure appare corretta anche se la motivazione deve essere modificata ai sensi dell’art. 384 c.p.c. non apparendo la stessa del tutto congrua.

Invero, la distinzione da essa effettuata tra inosservanza della normativa inderogabile ed erronea interpretazione ed applicazione appare priva di ogni giustificazione logico – giuridica.

Essa sembra infatti distinguere l’ipotesi in cui una norma inderogabile di ordine pubblico non venga in alcun modo presa in esame dagli arbitri, rispetto a quella in cui venga presa in esame ma ne venga fatta una interpretazione ovvero una applicazione erronea.

Deve invece ritenersi che entrambe le ipotesi costituiscono errori di giudizio sia, cioe’,che venga applicata o disapplicata erroneamente una norma applicabile al caso di specie, sia che la norma venga erroneamente interpretata od applicata.

Ma la motivazione della Corte d’appello appare erronea e va, pertanto, modificata anche laddove ha ritenuto che la nullita’ in questione derivasse dalla violazione di norme di ordine pubblico, che invero non risultano sussistere nel caso di specie.

Anzitutto, va ribadito quanto gia’ affermato da questa Corte in una fattispecie analoga a quella in esame e, cioe’, che il patto con il quale i soci di una s.r.l. s’impegnino nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore unico della societa’, a non deliberare l’azione sociale di responsabilita’ nei confronti dello stesso, abdicando all’esercizio del diritto di voto pur in presenza dei presupposti dell’indicata azione, e’ affetto da nullita’, in quanto il contenuto della pattuizione realizza un conflitto d’interessi tra la societa’ ed i soci fattisi portatori dell’interesse del terzo ed integra una condotta contraria alle finalita’ imposte dal modello legale di societa’, non potendo i soci, non solo esercitare, ma neanche vincolarsi negozialmente ad esercitare il diritto di voto in contrasto con l’interesse della societa’, a nulla rilevando che il patto in questione riguardi tutti i soci della societa’.(Cass. 7030/94).

A tale proposito va rammentato che deve ritenersi ormai acquisito – gia’ prima delle espresse previsioni dedicate ai patti parasociali dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 122 e segg., e dai nuovi artt. 2341 bis e ter c.c. – che i patti parasociali destinati a disciplinare in via convenzionale il modo di esercizio di diritti e facolta’ dei soci in relazione ad una determinata societa’ non sono, in via di principio, vietati dall’ordinamento (cfr. Cass., 23-11-2001, n. 14865; e 22-10-1996, n. 9191),ed a tal fine non e’ essenziale che tutti i partecipanti al patto rivestano la qualita’ di socio, nulla impedendo di considerare parasociale anche un patto concluso tra soci e terzi, ogni qual volta l’oggetto dell’accordo verta sull’esercizio da parte dei soci di diritti, facolta’ o poteri loro spettanti nella societa’. (Cass 15963/07). La circostanza che i patti parasociali – ed in particolare i sindacati di voto mediante i quali uno o piu’ soci si impegnano ad esercitare in un determinato modo il voto in assemblea – non siano di per se’ vietati e siano destinati ad operare su di un piano obbligatorio, vincolante per le parti dell’accordo,ma pur sempre diverso e separato da quello sul quale operano gli organi della societa’ e si esplicano le relative deliberazioni, non esclude pero’ che quei medesimi patti possano risultare illegittimi qualora, in una specifica fattispecie, il vincolo assunto dai contraenti si ponga in contrasto con norme imperative o appaia comunque tale da configurare uno strumento di elusione di quelle norme o dei principi generali dell’ordinamento che ad esse sono sottesi. (Cass 15963/07;

Cass 5963/08; Cass 28478/08).

Deve quindi concludersi che sebbene il potere di votare sia attribuito al socio per tutelare e gestire la sua partecipazione nella societa’ ed esercitarlo nel suo personale interesse e che il potere in questione sia di conseguenza disponibile e vincolabile negozialmente, il detto potere dispositivo trova tuttavia un limite nel conflitto di interesse con la societa’ (Cass 7030/94; Cass 28478/08).

Se, quindi, il socio non puo’ esercitare il diritto di voto in conflitto con l’interesse sociale, a maggior ragione esso non puo’ disporne, vincolandosi negozialmente ad esercitarlo, non solo per il perseguimento dell’interesse di un terzo estraneo alla societa’, ma soprattutto per il contrasto con l’interesse della societa’, (v.

Cass. 23 aprile 1969 n. 1290; Cass. 20 ottobre 1969 n. 3423; Cass. 22 dicembre 1969 n. 4023).

Accertata dunque la nullita’ della pattuizione transattiva oggetto del presente giudizio con cui i soci restanti si erano impegnati a votare in sede di assemblea contro la eventuale proposta di iniziare azione di responsabilita’ nei confronti dei resistenti, occorre valutare, ai fini del decidere, se detta nullita’ sia ingenerata da violazione di norme di ordine pubblico.

La risposta a tale quesito e’ negativa.

E’ noto che l’ordine pubblico e’ costituito da quei principi di diritto che riflettono valori fondamentali dell’ordinamento che connotano l’organizzazione politica ed economica della societa’ nell’attuale epoca storica, per modo che essi operano, accanto alle norme imperative, come ulteriore limite negativo dell’agire negoziale. (Cass 10603/93 sez.un.; Cass 4228/99).

E’ ovvio che nel settore del diritto societario non tutte le disposizioni che lo disciplinano possono considerarsi di ordine pubblico ma solo quelle che riflettono principi fondamentali dell’ordinamento quali possono essere quello della liberta’ di voto e quello che le decisioni degli organi collegiali sono prese dalla maggioranza.

Nel caso di specie non puo’ ritenersi che sia stato violato un principio di ordine pubblico perche’, premesso che il patto parasociale resta un accordo privato che non vincola in alcun modo la societa’ che, in quanto tale, ne resta estranea, il patto con cui alcuni soci si accordino per votare in una certa maniera non costituisce di per se’ una violazione del principio della liberta’ di voto poiche’ i soci sono comunque liberi di disporre del proprio voto ne’ il patto di per se’ pone in discussione il corretto funzionamento dell’organo assembleare sotto il profilo di una alterazione della corretta formazione delle maggioranze poiche’ al socio non e’ in alcun modo impedito di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l’interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell’inadempimento del patto. (cfr. Cass 14865/01; Cass 5963/08).

Esclusa quindi la violazione di principi di ordine pubblico,deve rilevarsi che nel caso di specie ricorre la violazione degli artt. 2392 e 2393 c.c., che prevedono la responsabilita’ per danni dell’amministratore a causa della violazione degli obblighi di diligenza che incombono al mandatario e la possibilita’ di proposizione dell’azione di responsabilita’ nei suoi confronti da parte della societa’. Il patto in esame, infatti, tende ad eludere l’applicazione delle norme in questione,che rivestono il carattere di norme imperative non investendo principi di ordine pubblico, cercando di impedire il promovimento dell’azione sociale. Il patto, quindi, da luogo ad una ipotesi di nullita’ in quanto l’oggetto (cioe’ la prestazione inerente la non votazione della azione di responsabilita’) ovvero i motivi comuni alle parti del patto sociale in esame sono illeciti poiche’ la clausola e’ stipulata al fine di far prevalere l’interesse di singoli soci che, per regolamentare i propri rapporti sociali, si sono accordati per la non proposizione dell’azione sociale a detrimento dell’interesse generale della societa’ al promovimento della detta azione dal cui esito positivo avrebbe potuto ricavare benefici economici.

Si deve, dunque, concludere per la nullita’ del patto in questione non gia’ per violazione di norme di ordine pubblico bensi’ di norme imperative inderogabili.

A cio’ deve aggiungersi che anche le conseguenti pronunce del collegio arbitrale relative alla estensione della nullita’ della clausola all’intero contratto di transazione ed al mancato riconoscimento della conversione del negozio nullo non investono questioni inerenti a principi di ordine pubblico proprio perche’ l’istituto della nullita’ non e’ di per se’ d’ordine pubblico, potendo solo alcune ipotesi di nullita’ essere generate da violazione di principi di ordine pubblico, con la conseguenza che anche gli istituti della estensione della nullita’ e della conversione non comportano violazione dell’ordine pubblico se non lo e’ la clausola nulla che estende il suo vizio all’intero contratto o che consente la conversione di quest’ultimo.

Cio’ posto, appare corretta la decisione della Corte d’appello che ha ritenuto non sindacabili le pronunce del collegio arbitrale sulle questioni dianzi citate in quanto trattandosi di arbitrato secondo equita’, gli “errores in iudicando” del lodo non sono suscettibili di impugnazione innanzi alla Corte d’appello.

Questa Corte ha infatti gia’ avuto occasione di osservare che gli arbitri autorizzati a pronunciare secondo equita’ sono svincolati, nella formazione del loro giudizio, dalla rigorosa osservanza delle regole del diritto oggettivo, avendo facolta’ di far ricorso a criteri, principi e valutazioni di prudenza e opportunita’, che appaiano i piu’ adatti e i piu’ equi, secondo la loro coscienza, per la risoluzione del caso concreto, con la necessaria conseguenza che resta preclusa, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2, ultima parte, l’impugnazione per nullita’ del lodo di equita’ per violazione delle norme di diritto sostanziale, o in generale per “errores in iudicando” che non si traducano nell’inosservanza di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e percio’ non derogabili dalla volonta’ delle parti ne’ suscettibili di formare oggetto di compromesso. (Cass 1183/06).

Il primo motivo del ricorso incidentale e’ inammissibile.

Invero, la Corte d’appello ha ritenuto che le censure riguardanti il rigetto da parte del lodo della domanda di restituzione delle quote per effetto della dichiarata nullita’ della transazione deducevano degli “errores in iudicando” e che, come tali, trattandosi di un lodo di equita’ non erano proponibili in sede di impugnazione.

Tale ratio decidendi non risulta in alcun modo censurata dal motivo in esame che invece propone nuovamente ed inammissibilmente delle censure avverso il lodo.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi riguardo al secondo motivo di ricorso incidentale.

Anche in questo caso,infatti, la ratio decidendo della Corte d’appello, che aveva affermato che da parte del lodo non vi era stata alcuna omessa pronuncia relativamente ad una serie di domande di restituzione poiche’ le stesse non erano state dettagliatamente specificate nelle conclusioni, non risulta impugnata dai ricorrenti incidentali che si limitano ancora una volta a reiterare inammissibilmente censure avverso la pronuncia degli arbitri.

In conclusione entrambi i ricorsi vanno respinti. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2010

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