Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10213 del 26/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 26/04/2017, (ud. 06/12/2016, dep.26/04/2017),  n. 10213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10523/2015 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MORDINI 14,

presso lo studio dell’avvocato ANTONINO SPINOSO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MASSIMO GRATTAROLA giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FONDIARIA SAI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 263/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 27/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione:

“1. A.D. ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Genova 27.2.2014 n. 263, con la quale – decidendo in sede di rinvio – era stata accolta la sua domanda di condanna dell’assicuratore privato contro gli infortuni al pagamento dell’indennizzo contrattualmente pattuito, ma erano state compensate integralmente le spese di lite.

2. Tutti e tre i motivi di ricorso proposti dal ricorrente investono la statuizione con la quale la Corte d’appello ha ritenuto di compensare integralmente le spese di lite. Tale statuizione è censurata:

– ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, sul presupposto che la compensazione poteva essere disposta solo in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni”, nella specie non sussistenti;

– ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’appello trascurato di considerare che la questione ad essa sottoposta non era affatto “controvertibile”, ma risolubile in base ad un principio di diritto da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità;

– ai sensi, ancora, dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’appello trascurato di considerare che la “controvertibilità” della questione non avrebbe potuto mai riguardare il giudizio di rinvio, nel quale non si poteva più discutere della regula iuris applicabile al caso concreto.

2.1. Il ricorso appare infondato.

Il presente giudizio è iniziato in primo grado nel 1996, ed ad esso si applica dunque l’art. 92 c.p.c., nel testo previgente alle modifiche introdotte (le prime di una lunga serie) dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1. Tali modifiche, in virtù della previsione contenuta nell’art. 2, comma 4, della suddetta legge, si applicano infatti ai procedimenti instaurati successivamente al 1 marzo 2006. Pertanto la norma applicabile dal giudice del rinvio era quella che consentiva la compensazione delle spese nel caso di “giusti motivi”: ed è orientamento risalente ed unanime di questa Corte, formatosi nella vigenza della suddetta norma, quello secondo cui la scelta di compensare le spese di lite rientra tra le facoltà discrezionali del giudice di merito, e non è sindacabile in sede di legittimità (ex permultis, Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 19/06/2013, Rv. 627183; Sez. 5, Sentenza n. 20457 del 06/10/2011, Rv. 619315; Sez. L, Sentenza n. 7523 del 27/03/2009, Rv. 607430; Sez. 3, Sentenza n. 8059 del 31/03/2007, Rv. 598912).

3. Si propone pertanto il rigetto del ricorso”.

2. La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione. Ritiene, invece, non decisive le contrarie osservazioni svolte dalla ricorrente nella propria memoria.

2. Nella suddetta memoria, oltre a ribadire ed illustrare censure già contenute nel ricorso, il ricorrente sostiene che la relazione preliminare non può essere condivisa sotto due profili.

2.1. In primo luogo, perchè all’epoca della decisione conclusiva del giudizio di rinvio non era più in vigore il testo originario dell’art. 92 c.p.c.. Formula, al riguardo, la seguente tesi:

(a) la pronuncia in questa sede contestata è contenuta in una sentenza pronunciata in esito al giudizio di rinvio;

(b) il giudizio di rinvio costituisce una fase autonoma e nuova del processo, e non la mera prosecuzione del precedente giudizio;

(c) ergo, al giudizio di rinvio doveva applicarsi l’art. 92 c.p.c. nel testo vigente all’epoca della sentenza impugnata (ovvero alla data del 27.2.2014).

2.2. Sostiene poi il ricorrente che la relazione preliminare non può essere condivisa perchè essa trascura di considerare che l’art. 92 c.p.c., anche prima delle modifiche introdotte dal 2006 in poi, era stato da questa Corte più volte interpretato nel senso che, se è vero che la scelta del giudice di merito di compensare le spese di lite è discrezionale, non è men vero che quella scelta non può compiersi ad arbitrio e senza alcuna motivazione. Cita, a supporto di queste deduzioni, vari precedenti di questa Corte, nei quali si afferma il principio che non è consentito al giudice di merito compensare le spese di lite del tutto immotivatamente.

3. La deduzioni contenute nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., e riassunte al p. 2.1 che precede, non possono essere condivise. Esse infatti contrastano col principio, stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il giudizio di rinvio conseguente a cassazione, pur dotato di autonomia, non dà vita ad un nuovo ed ulteriore procedimento, ma rappresenta una fase ulteriore di quello originario da ritenersi unico ed unitario. Da ciò consegue che il giudizio di rinvio, nel caso di mutamento delle regole del processo, resta soggetto – ove non diversamente previsto – alla legge processuale vigente al momento i n cui venne introdotto il giudizio di primo grado (Cass. civ., sez. un., 17-09-2010, n. 19701, con la quale si è ritenuto che se il processo in primo grado è iniziato in prima dell’entrata in vigore della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. g), che ha modificato l’art. 163 bis c.p.c., la citazione introduttiva del giudizio di rinvio deve fissare al convenuto un termine a comparire di 60 giorni, a nulla rilevando che al momento della notifica di tale atto il termine in questione sia stato elevato a 90 giorni).

Tale principio, in seguito. è stato ribadito ancora dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 11844 del 9 giugno 2016, la quale ha stabilito che nel caso di cassazione con rinvio innanzi al giudice di primo ed unico grado, la sentenza del giudice di rinvio è impugnabile in via ordinaria solo con ricorso per cassazione, a nulla rilevando l’intervenuta modifica, sopravvenuta nelle more, del regime di impugnabilità della decisione cassata, atteso che il giudizio di rinvio conseguente a cassazione, pur dotato di autonomia, non dà luogo ad un nuovo procedimento, ma rappresenta una fase ulteriore di quello originario.

4. Non sembrano risolutive, altresì, le argomentazioni svolte nella memoria dal ricorrente, e riassunte al p. 2.2. che precede. Ciò per due ragioni: sia perchè i precedenti invocati dal ricorrente non sembrano attagliarsi al caso di specie; sia perchè sulla questione di diritto sollevata dal ricorrente si sono ormai pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte, componendo i precedenti contrasti.

4.1. Sotto il primo aspetto, va ricordato che il ricorrente invoca tre precedenti: ovvero quelli decisi da Sez. 2, Sentenza n. 5696 del 10/04/2012, Sez. L, Sentenza n. 17868 del 31/07/2009, e Sez. 2, Sentenza n. 20017 del 26/09/2007.

La decisione pronunciata da Cass. 20017/07, cit., aveva ad oggetto un caso in cui il Giudice di pace, accogliendo l’opposizione ad una sanzione amministrativa, aveva compensato le spese tacendo del tutto sulle ragioni della compensazione. Un precedente, dunque, avente ad oggetto una fattispecie diversa da quella oggi in esame, in quanto la Corte d’appello di Genova ha pur sempre esposto le ragioni della compensazione, sia pure in modo sintetico.

La decisione pronunciata da Cass. 17868/09, cit., ha rigettato il ricorso col quale si lamentava la violazione dell’art. 92 c.p.c., in un caso in cui il giudice di merito aveva compensato le spese di lite così motivando: “in considerazione della contumacia dell’appellato e della esiguità dell’interesse economico coltivato con il gravame”. Una motivazione, dunque, altrettanto scarna, se non di più, di quella oggi censurata dal ricorrente. La decisione del 2009, dunque, più che corroborare le tesi sostenute nel ricorso, sembra addirittura contrastarle.

La decisione pronunciata da Cass. 5696/12, cit., infine, aveva ad oggetto un caso in cui il giudice di merito aveva addirittura condannato la parte vittoriosa alla rifusione di due terzi delle spese di lite alla parte soccombente: ovvio dunque che una simile decisione venisse cassata, non potendo mai addossarsi alla parte vittoriosa le spese di lite. Ben diverso tuttavia è il nostro caso, nel quale la parte vittoriosa si è vista compensare le spese, ma non è stata condannata a rifondere quelle della parte avversa.

Rilevato dunque come i precedenti invocati dal ricorrente non paiano decisivi, v’è da aggiungere che la questione posta dal ricorrente, che in passato aveva dato luogo a vari oscillazioni nella giurisprudenza di questa Corte, è stata definitivamente risolta dall’intervento delle Sezioni Unite, le quali con la sentenza n. 20598 del 30/07/2008 hanno stabilito i seguenti principi:

(a) il provvedimento di compensazione delle spese “per giusti motivi” deve essere motivato;

(b) la motivazione può essere esplicita od implicita;

(c) la motivazione implicita può desumersi anche dal complesso della motivazione adottata;

(d) ergo, la compensazione delle spese deve dirsi “motivata” quando le argomentazioni svolte per la statuizione di merito o di rito contengano considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata.

Nella medesima sentenza, le Sezioni Unite hanno altresì indicato alcuni esempi di motivazioni implicitamente giustificative della compensazione delle spese: ad esempio, l’affermazione dell’esistenza di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, o di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste; ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali. Nel caso di specie non solo la Corte d’appello ha adottato una motivazione esplicita per compensare le spese (la difficoltà della materia e la controvertibilità di essa, affermazioni certamente non sindacabili in questa sede di legittimità); ma ha altresì dato conto nella motivazione di circostanze di fatto che costituiscono una valida motivazione implicita di quella compensazione: ed in particolare la circostanza che l’odierno ricorrente rimase soccombente in due gradi di giudizio: circostanza di per sè idonea a suscitare nella controparte un ragionevole affidamento sulla fondatezza delle proprie eccezioni, e di conseguenza ad insistere nella resistenza in appello e poi sede di legittimità.

5. L’indefensio dell’intimata rende inutile provvedere sulle spese del presente giudizio.

5.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di A.D. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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