Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10208 del 28/04/2010

Cassazione civile sez. I, 28/04/2010, (ud. 01/12/2009, dep. 28/04/2010), n.10208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 43, presso l’avvocato

CANONICO LUCIANA, rappresentato e difeso dagli avvocati FERRARI

VINCENZO, CATERINI ENRICO, giusta procura in calce al 2009 ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO DI BONIFICA MONTANA DEL POLLINO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, L.GO

DELLA GANCIA 1, presso l’avvocato PALERMO GIUSEPPE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CHIAPPETTA ANTONIO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 155/2003 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/03/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2009 dal Consigliere Dott. DI PALMA Salvatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con ricorso per decreto ingiuntivo del 4 luglio 1988 al Presidente del Tribunale di Castrovillari, C.G. espose che:

a) con Delib. 18 settembre 1979, n. 803 e 14 gennaio 1980, n. 28 il Consorzio interregionale di bonifica montana del Pollino gli aveva affidato l’incarico di redigere progetti esecutivi di due strade di bonifica rurale in agro di (OMISSIS);

b) i progetti erano stati accettati in data 14 aprile 1980;

c) in data 12 agosto 1980 erano state presentate al Consorzio due parcelle liquidate dall’Ordine provinciale dei geometri di Cosenza, pari a L. 13.633.625 per il primo progetto, ed a L. 24.000.132 per il secondo progetto;

d) il Consorzio, pur avendo utilizzato detti progetti, non aveva provveduto al pagamento dei compensi.

Il Presidente adito, con decreto del 15 luglio 1988, ingiunse al Consorzio di pagare al C. la somma di L. 37.663.757.

Avverso tale decreto il Consorzio propose opposizione dinanzi al Tribunale di Castrovillari, deducendo che le deliberazioni di incarico professionale subordinavano espressamente il pagamento dei compensi al finanziamento delle opere progettate, e che il C. non aveva mai eseguito il progetto di cui alla deliberazione del 14 gennaio 1980.

Costituitosi, il C., nel resistere all’opposizione, spiego’ domanda riconvenzionale subordinata, chiedendo che il Consorzio fosse condannato al pagamento dell’indennizzo per arricchimento senza causa ai sensi dell’art. 2041 c.c..

Il Tribunale adito – espletata istruzione probatoria documentale ed orale -, con la sentenza n. 26/95 del 10 febbraio 1995, rigetto’ l’opposizione limitatamente alla domanda di pagamento dei compensi relativi al progetto di cui alla Delib. n. 803 del 1979, revoco’ il decreto ingiuntivo opposto e condanno’ il Consorzio al pagamento della somma di L. 6.689.614, a titolo di arricchimento senza causa, in riferimento al progetto medesimo.

2. – Il Consorzio appello’ tale sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro, contestando il riconoscimento al professionista della predetta somma ai sensi dell’art. 2041 c.c..

Costituitosi, il C. spiego’ appello incidentale e, sostenendo di aver presentato entrambi i progetti, chiese la condanna dell’appellante principale al pagamento della somma richiesta con il ricorso monitorio.

La Corte adita, con la sentenza n. 532/97 del 2 ottobre 1997, in accoglimento dell’impugnazione del Consorzio, rigetto’ le domande proposte dal C..

3. — Avverso tale sentenza il C. propose ricorso per Cassazione deducendo quattro motivi di censura.

In contraddittorio con il Consorzio, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14169/00 del 27 ottobre 2000, accolse il ricorso per quanto di ragione e rinvio’ la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro.

In particolare, la Corte, esaminando congiuntamente i primi due motivi del ricorso ha ritenuto che l’interpretazione della clausola di cui alle due deliberazioni di incarico professionale – clausola secondo la quale: “… Il pagamento delle somme dovute di cui al precedente punto tre sara’ effettuato dal Consorzio al progettista su indicato ad approvazione e finanziamento del progetto non appena avra’ incassato dall’organo finanziatore la prima erogazione sulle spese generali in misura proporzionale ai singoli accreditamenti” -, operata dalla sentenza impugnata, era stata argomentata con motivazione “apparente”. Al riguardo, la Corte – richiamati i principi secondo cui, per assolvere l’obbligo della motivazione, la cui estensione e’ correlata in concreto ai motivi dell’impugnazione, il giudice di appello deve dimostrare di aver esaminato le censure che investono la sentenza impugnata e di averle ritenute infondate per ragioni specificamente indicate, dopo averle sottoposte a vaglio critico – ha affermato: «Nulla di tutto questo rinvenendosi nella gravata pronunzia, questa va cassata, ed il giudice del rinvio,…

applicando tali principi, dovra’ dare puntuale e motivata risposta alle lamentele espresse dal C. nell’appello incidentale, dichiarandosi assorbiti, stante la pregiudizialita’ della interpretazione della clausola contrattuale in discorso, ogni altra questione relativa alla nullita’ del rapporto professionale per incompetenza in materia di cemento armato del geometra (terzo motivo del ricorso), alla prova della prestazione della seconda progettazione (quarto motivo) e alla esperibilita’ nella specie della azione di indebito arricchimento”.

4. – Con citazione del 25 giugno 2001, il C. riassunse la causa dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro, chiedendo che la Corte, rigettato l’appello principale del Consorzio, in accoglimento dell’appello incidentale, confermasse il decreto ingiuntivo opposto e condannasse lo stesso Consorzio al pagamento della somma in esso indicata, in via principale, a titolo di compensi per l’opera prestata e, in subordine, a titolo di arricchimento senza causa.

In contraddittorio con il Consorzio – il quale ribadi’ che la domanda di indebito arricchimento non poteva essere accolta, perche’ non cumulabile con quella contrattuale -, la Corte adita, con la sentenza n. 155/03 del 19 marzo 2003, in riforma della impugnata decisione di primo grado, rigetto’ le domande proposte dal C..

In particolare – per quanto in questa sede ancora rileva -, la Corte di Catanzaro ha motivato come segue.

A) Quanto alla interpretazione della clausola contenuta in ambedue le deliberazioni di incarico professionale – secondo cui “… Il pagamento delle somme dovute di cui al precedente punto tre sara’ effettuato dal Consorzio al progettista su indicato ad approvazione e finanziamento del progetto non appena avra’ incassato dall’organo finanziatore la prima erogazione sulle spese generali in misura proporzionale ai singoli accreditamenti” -, i Giudici a quibus hanno osservato: “Il chiaro tenore letterale di detta clausola contraddice l’assunto del C., secondo cui la clausola in parola non legherebbe la efficacia del contratto alla approvazione del progetto e alla conseguente erogazione dei fondi (da parte di un terzo). Il diritto al compenso, per l’opera professionale prestata, derivava infatti dal “progetto finanziato” e non dal progetto “solo redatto”;

una tale limitazione (che pur significa assunzione di uno specifico rischio contrattuale) non vale a trasformare il contratto da commutativo in aleatorio…, in quanto non fa venir meno la caratteristica del contratto commutativo (costituita dalla preventiva prevedibilita’ delle prestazioni cui le parti si impegnano reciprocamente); la relativa pattuizione “fa si’ che l’operativita’ del contratto e dunque il diritto al compenso da parte del professionista e’ soggetta al verificarsi di un evento futuro ed incerto qual e’ il finanziamento dell’opera” viene richiamata la sentenza della Corte di cassazione n. 9587 del 2000. Ne’ tale clausola e’ configurabile quale condizione meramente potestativa (e come tale nulla), in quanto l’evento dedotto in condizione non dipendeva totalmente dalla volonta’ del Consorzio predisponente, che aveva uno specifico interesse al finanziamento ed alla realizzazione dell’opera viene ancora richiamata la sentenza della Corte di cassazione n. 9587 del 2000. Peraltro, nel caso di specie, le condizioni di cui al contratto non si sono avverate non per causa imputabile al Consorzio committente ma per fatto di terzi (e, cioe’, dell’ente finanziatore); sicche’ nessuna pretesa, ex contractu, puo’ legittimamente avanzare il C.”.

B) Quanto alla domanda di indebito arricchimento proposta dal C. in via subordinata, i Giudici a quibus hanno affermato che essa non poteva essere accolta dal Tribunale, in quanto su di essa il Consorzio non aveva espressamente accettato il contraddittorio nel giudizio di primo grado.

5. – Avverso tale sentenza C.G. ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo quattro motivi di censura, illustrati con memoria.

Resiste, con controricorso il Consorzio di Bonifica Montana del Pollino.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, il controricorrente Consorzio di Bonifica Montana del Pollino eccepisce la improcedibilita’ del ricorso per la propria sopravvenuta carenza di legittimazione passiva, in quanto tale Consorzio e’ stato soppresso e liquidato con decreto del Presidente della Giunta regionale della Calabria 20 gennaio 1995, e riferisce che, con lo stesso decreto presidenziale, «a far data dal 01/01/1995 le funzioni, i rapporti giuridici attivi e passivi, il personale e gli immobili sono stati trasferiti… al neocostituito Consorzio di bonifica Integrale denominato “Consorzio di Bonifica del Pollino” avente sede in (OMISSIS)”.

L’eccezione e’ inammissibile: il controricorrente, infatti – a prescindere da altre pur possibili considerazioni -, non ha sufficientemente documentato la allegata successione universale, mediante la produzione, anche ai sensi dell’art. 372 c.p.c., del citato provvedimento del Presidente della Giunta regionale della Calabria 20 gennaio 1995.

2. – Con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 1355, 1362, 1363, 1366, 1370 c.c. art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 231 c.p.c.”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici del rinvio non hanno statuito riguardo alla prova della mancata presentazione del secondo progetto (di cui alla Delib. 14 gennaio 1980, n. 280), mentre la valutazione di tale prova sarebbe stata decisiva ai fini della qualificazione della clausola di pagamento del compenso siccome meramente potestativa.

Con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 633, 636, 645, 183 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 111 Cost., comma 6”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici del rinvio hanno erroneamente ritenuto inammissibile la domanda di arricchimento senza causa, per mancata accettazione del contraddittorio su di essa, sia perche’ tale domanda e’ stata proposta unicamente per “replicare” alle contestazioni mosse dal Consorzio al diritto del C. al compenso nascente dal contratto, sia perche’ lo stesso Consorzio si e’ difeso anche nel merito della domanda di arricchimento senza eccepirne l’inammissibilita’.

Con il terzo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 2233, 1183 c.c., all’art. 1354 c.c., comma 3 e artt. 1419, 1366, 1367 c.c., L. n. 192 del 1998, art. 3, L. 2 marzo 1949, n. 144, art. 3, artt. 10, 50, 81, 82 e 234 Tr. Roma, L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 2 e 3”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici del rinvio hanno erroneamente interpretato la clausola concernente il pagamento siccome contenente una condizione di efficacia del contratto, clausola che, invece, avrebbe dovuto essere interpretata come statuente il termine per l’adempimento.

Con il quarto motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 2041 c.c.”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici del rinvio hanno erroneamente negato ingresso alla domanda di arricchimento senza causa.

3. – Il ricorso non merita accoglimento.

3.1. – Nell’ordine logico delle questioni poste dal ricorso, va esaminato per primo il terzo motivo.

Esso e’, per alcuni aspetti, inammissibile e, per altri, infondato.

Inammissibile, sia perche’ il ricorrente si limita a contrapporre all’interpretazione della clausola di cui alle deliberazioni di incarico, operata dai Giudici a quibus con motivazione esauriente e priva di errori logico – giuridici (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 4, lettera A), una diversa interpretazione a se’ asseritamente favorevole, senza nemmeno indicare specificamente quali sarebbero i canoni ermeneutici violati dagli stessi Giudici, sia perche’ alcuni argomenti difensivi svolti a sostegno di tale diversa interpretazione sono del tutto “nuovi” rispetto alle difese argomentate in grado d’appello.

Infondato, comunque, perche’ l’esito ermeneutico cui e’ pervenuta la Corte di Catanzaro e’ conforme al consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale la clausola contrattuale, che condiziona il sorgere del diritto al compenso da parte del professionista incaricato del progetto di un’opera all’ottenimento del finanziamento per l’opera progettata, non e’ qualificabile come condizione meramente potestativa, e percio’ nulla, atteso che, se e’ vero che il verificarsi di essa dipende dalla volonta’ e dall’attivita’ di una sola delle parti, e’ anche vero che tale accadimento non e’ indifferente per la parte in questione, alla stregua di un mero si voluero, non potendosi dubitare della piena funzionalita’ della pattuizione ad uno specifico interesse dedotto come tale nel contratto e percio’ oggetto del medesimo (cfr. le sentenza nn. 9587 del 2000, 17983 del 2004, 20444 del 2009; cfr. anche, nel medesimo senso ed in analoghe fattispecie, ex plurimis, le sentenze nn. 17181 del 2008, 20319 del 2007, 18450, 3579 e 1985 del 2005, 19000 del 2004).

3.2. — Il primo motivo e’ assorbito dalla reiezione del terzo motivo, per la decisiva ragione che la predetta clausola era incontestatamente contenuta anche nella Delib. 14 gennaio 1980, n. 28.

3.3. – Il secondo ed il quarto motivo – che possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione per concernere entrambi la reiezione della domanda di indebito arricchimento – sono parimenti infondati.

Nella specie, il ricorrente ha fatto valere in sede monitoria il proprio diritto ai compensi per prestazioni professionali e, solo successivamente, in sede di opposizione al concesso decreto ingiuntivo promossa dal Consorzio, ha proposto domanda riconvenzionale subordinata di arricchimento senza causa.

Al riguardo, e’ decisivo – rispetto alla stessa ratio decidendi della sentenza impugnata – richiamare il consolidato orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, secondo il quale nell’ordinario giudizio di cognizione, instaurato a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo – come nella specie -, solo l’opponente, in via generale, nella sua posizione sostanziale di convenuto, puo’ proporre domande riconvenzionali, ma non anche l’opposto che, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non puo’ formulare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione, potendo a tale principio logicamente derogarsi solo quando, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto, al quale, rispetto alla nuova o piu’ ampia pretesa della controparte, non puo’ essere negato il diritto di difesa mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis; con la conseguenza che l’inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, correlata al dovere del giudice di non esaminarla nel merito, e’ rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimita’, poiche’ costituisce una preclusione all’esercizio della giurisdizione, che puo’ essere verificata nel giudizio di cassazione anche in via officiosa, ove sulla questione non si sia formato, sia pur implicitamente, il giudicato interno (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 2529 e n. 21245 del 2006, n. 8077 del 2007, n. 3639 del 2009).

4. – Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2010

 

 

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