Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10207 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 28/05/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 28/05/2020), n.10207

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14354-2014 proposto da:

F.M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONCA D’ORO

184/190 PAL. D, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO DISCEPOLO,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

REGIONE MARCHE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA D. MORICHINI 41, presso lo studio

dell’avvocato MICHELE ROMANO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ALESSANDRO BRANDONI e PAOLO COSTANZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 969/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 20/11/2013, R.G.N. 379/2013.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 26 febbraio 2014 la Corte d’appello di Ancona respinge l’appello dell’avvocato F.M.M. – dipendente dal 1996 della Regione Marche con la qualifica di funzionario legale, livello giuridico D3 e livello economico D6 – avverso la sentenza n. 621/2012 del locale di Tribunale, di rigetto del ricorso del F. diretto ad ottenere nei confronti della Regione Marche, in via alternativa, il riconoscimento del diritto alla posizione di “alta professionalità” oppure, in via gradata, alla “posizione organizzativa”, oltre al risarcimento dei danni anche da dequalificazione professionale;

che la Corte territoriale è pervenuta alla suddetta conclusione sul principale argomento secondo cui il dipendente interessato ad ottenere l’attribuzione di una delle suddette posizioni ha diritto alla valutazione comparativa – che, nella specie, il F. ha inammissibilmente rivendicato per la prima volta in appello – mentre non sussiste un diritto del dipendente pubblico ad essere preposto ad una posizione organizzativa e all’alta professionalità al di fuori di quelle istituite dalla Pubblica Amministrazione, non essendo consentito al giudice ordinario sindacare il merito dell’azione amministrativa e, quindi, valutare la determinazione del numero e della natura delle posizioni organizzative;

che avverso tale sentenza F.M.M. propone ricorso affidato a tre motivi e illustrato da memoria, al quale oppone difese la Regione Marche, con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che, preliminarmente, va rilevato che, come sostiene anche il ricorrente in memoria, il controricorso della Regione Marche è stato notificato tardivamente (notifica del ricorso principale del 26 maggio 2014, richiesta di notifica del controricorso dell’8 luglio 2014) e, quindi, è inammissibile;

che va anche precisato che l’inammissibilità del controricorso notificato oltre il termine fissato dall’art. 370 c.p.c., non incide sulla validità ed efficacia della procura speciale rilasciata a margine di esso dal resistente al difensore;

che, pertanto, in caso di trattazione della causa in pubblica udienza il difensore della parte può partecipare in base alla procura alla discussione orale (pur essendo precluso, in questo caso, il deposito di eventuali memorie ex art. 378 c.p.c.), mentre può effettuare il deposito della memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2, risultando questa, dopo la riforma recata dal D.L. n. 168 del 2016 (conv. dalla L. n. 197 del 2016), l’unica altra attività difensiva permessa nel procedimento a struttura camerale che, come tale, è equiparata o sostitutiva rispetto alla partecipazione alla pubblica udienza, da sempre pacificamente ammessa pur in presenza di controricorso inammissibile (Cass. 13 maggio 2010, n. 11619; Cass. 24 maggio 2017, n. 13093);

che, nella specie, la Regione Marche non ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2;

che il ricorso è articolato in tre motivi;

che con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 36 Cost. e dell’art. 8 del CCNL 31 marzo 1999, Comparto Autonomie ed Enti locali, sostenendosi che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, l’attività della P.A. di applicazione degli artt. 8-10 del CCNL cit. e del CCNL del 22 gennaio 2004 non è di tipo discrezionale, ma costituisce l’adempimento di un obbligo di ricognizione e di individuazione degli aventi diritto che, in quanto tale, ha natura paritetica;

che con il DRG 23 ottobre 2006, n. 1195 a seguito di concertazione sindacale, sono stati definiti i criteri e le modalità per la rideterminazione delle posizioni organizzative e per l’attribuzione delle alte professionalità e, in questo ambito, l’attività dell’avvocato patrocinante funzionario di una pubblica amministrazione non è certamente riconducibile alla categoria giuridica D3, in quanto è di per sè di alta professionalità;

che con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 35 Cost., della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 23 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40 e 45 sostenendosi che il trattamento riservato al ricorrente sarebbe discriminatorio e non corrispondente alla peculiarità della figura dell’avvocato e del suo lavoro;

che con il terzo motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione fra le parti, contestandosi la dichiarazione di inammissibilità dell’ultimo motivo del ricorso in appello in considerazione della novità della questione della valutazione comparativa con esso proposta;

che l’esame dei motivi porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte;

che i primi due motivi – da esaminare congiuntamente perchè intimamente connessi – sono inammissibili in primo luogo perchè – al di là del formale richiamo alla violazione di norme di diritto contenuto nell’intestazione del motivo – nella sostanza le censure con essi proposte si risolvono nella denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, in particolare con riguardo al mancato il riconoscimento del diritto del ricorrente alla posizione di “alta professionalità” oppure, in via gradata, alla “posizione organizzativa”;

che si tratta, quindi, di censure che finiscono con l’esprimere un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dalla Corte d’appello, che come tale è di per sè inammissibile;

che a ciò va aggiunto che in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia meramente apparente, oppure sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano;

che neppure risulta essere stato osservato – con riguardo agli atti e ai documenti richiamati nei motivi – il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente, qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo a fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali (di recente: Cass. SU 23 settembre 2019, n. 23552 e n. 23553);

che, peraltro, il principale argomento posto alla base della decisione della Corte d’appello è quello secondo cui il dipendente pubblico interessato ad ottenere l’attribuzione di una delle posizioni in contestazione ha diritto alla valutazione comparativa – che, nella specie, il F. non ha tempestivamente rivendicato in primo grado – mentre non ha diritto ad essere preposto ad una posizione organizzativa o all’alta professionalità al di fuori di quelle istituite dalla Pubblica Amministrazione, non essendo consentito al giudice ordinario sindacare il merito dell’azione amministrativa e, quindi, valutare la determinazione del numero e della natura delle posizioni organizzative;

che tale statuizione – peraltro conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che ha reiteratamente sottolineato come la istituzione delle posizioni organizzative rientra nelle funzioni di organizzazione che competono alla P.A. e che sono svolte sulla base delle proprie esigenze e dei vincoli di bilancio (Cass. 18 dicembre 2015, n. 25550; Cass. 29 maggio 2015, n. 11198; Cass. 3 aprile 2018, 8141) – che costituisce una ratio decidendi idonea da sola a sorreggere l’intera sentenza non viene attinta dalle censure formulate nei suddetti motivi le quali, invece, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale nella sentenza di appello impugnata, risultando eminentemente diretti a porre l’accento sull’importanza dell’attività dell’avvocato;

che tale omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, le relative censure, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

che il terzo motivo è inammissibile perchè formulato sia senza il rispetto dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – di cui si è detto, sia senza l’osservanza del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, su richiamato;

che, in sintesi, il ricorso è inammissibile;

che nulla si deve disporre per le spese del presente giudizio di cassazione in quanto il deposito del controricorso inammissibile (perchè tardivo) non è stato seguito dallo svolgimento di altra attività difensiva da parte della Regione intimata (Cass. 13 maggio 2010, n. 11619 cit.; Cass. 27 maggio 2005, n. 11275);

che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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