Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10205 del 11/04/2019

Cassazione civile sez. I, 11/04/2019, (ud. 18/12/2018, dep. 11/04/2019), n.10205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25933/2016 proposto da:

Green Power S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Acqui n. 7, presso lo studio

dell’avvocato Giordano Gaetano, rappresentata e difesa dagli

avvocati Berti Arnoaldi Elisabetta, Sena Giuseppe e Tarchini Paola,

con procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Enel Green Power s.p.a.; Enel s.p.a., in persona dei rispettivi

legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in

Roma, Via Flaminia n. 318, presso lo studio dell’avvocato Corapi

Diego, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati

Cappuccilli Vittorio e Sterpi Massimo, con procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e sui ricorsi incidentali proposti da:

Enel Green Power s.p.a.; Enel s.p.a., in persona dei rispettivi

legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in

Roma, Via Flaminia n. 318, presso lo studio dell’avvocato Corapi

Diego, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati

Cappuccilli Vittorio e Sterpi Massimo, con procura a margine del

controricorso;

– ricorrenti incidentali –

contro

Green Power S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Acqui n. 7, presso lo studio

dell’avvocato Giordano Gaetano, rappresentata e difesa dagli

avvocati Berti Arnoaldi Elisabetta, Sena Giuseppe e Tarchini Paola,

con procura in calce al ricorso;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2203/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/12/2018 dal cons. CAIAZZO ROSARIO;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto di

entrambi i ricorsi;

udita, per la parte ricorrente, l’avvocato Berti Arnoldi Elisabetta,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto

del ricorso incidentale;

uditi, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, gli avvocati

Corapi Diego, Cappuccilli Vittorio e Sterpi Massimo, che hanno

chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del

ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione del 22.7.09, la Carlo Gavazzi Green Power s.p.a. convenne innanzi alla sezione specializzata della proprietà industriale del Tribunale di Roma la Enel Green Power s.p.a., deducendo che l’adozione della denominazione sociale “Enel Green Power” e l’utilizzo del segno distintivo “Green Power”, da solo o abbinato ad altri elementi, da parte della società convenuta, costituiva, oltre che violazione della denominazione sociale della società attrice, contraffazione dei diritti di marchio di cui quest’ultima era titolare, anche per effetto dell’uso del segno e della relativa registrazione.

Pertanto, la società attrice chiese: di ordinare alla società convenuta, ex art. 2564 c.c., la modificazione della denominazione sociale previa eliminazione dell’espressione “Green Power”; di accertare e dichiarare che tale denominazione e l’impiego del medesimo segno distintivo costituivano contraffazione dei diritti di esclusiva dell’attrice, inibendone la prosecuzione; di condannare la parte convenuta al risarcimento dei danni, oltre alla pubblicazione della sentenza.

Si costituì l’Enel Green Power s.p.a. ed intervenne nel giudizio l’Enel s.p.a., resistendo alla domanda; entrambe le società proposero domanda riconvenzionale chiedendo che fosse dichiarata la nullità del marchio nazionale di cui era titolare la società attrice o, in subordine, la decadenza dello stesso per volgarizzazione.

Successivamente, il 6.12.2010, la Carlo Gavazzi Green Power s.p.a. mutò la propria denominazione in Green Power s.p.a. e, insieme alla Gema 96 s.p.a. e alla Pontina Rinnovabili s.r.l., promosse altro giudizio nei confronti dell’Enel s.p.a. e dell’Enel Green Power s.p.a., e deducendo di costituire un gruppo di società, facenti capo a Gema 96 s.p.a., tutte utilizzanti il marchio “Green Power”, esponevano che l’Enel s.p.a., dopo il 2002, aveva registrato anche altri marchi “Green Power” chiedendo di accertare e dichiarare la nullità di vari marchi comprendenti l’espressione “Green Power” di cui erano titolari le convenute Enel s.p.a. e Enel Green Power s.p.a..

Riunite le cause, il Tribunale rigettò la domanda dell’attrice e quella riconvenzionale, affermando che: il segno Green Power, pur essendo nel mondo anglosassone meramente descrittivo, nel mercato italiano aveva comunque una certa capacità distintiva, benchè estremamente modesta, perchP costituito dalla combinazione tra le parole inglesi power (che nel linguaggio comune non evocava con sufficiente immediatezza il concetto di energia) e green (che invece richiamava immediatamente il significato di ecologico, ovvero energia pulita).

Da tale premessa il Tribunale dedusse che: il segno composto Green Power conservava in Italia una modesta capacità distintiva e poteva dunque valere come marchio, il che legittimava il rigetto della domanda riconvenzionale; il marchio denominativo Green Power era altresì un marchio debole, con la conseguenza che era lecita e non contraffattiva l’utilizzazione come marchio da parte di terzi di un segno simile, purchè reso percepibile come “non uguale” mediante l’inserimento di elementi di differenziazione anche modesti; l’anteposizione alla combinazione Green Power di una parola che richiamava la ragione sociale di un’impresa famosa ed un marchio rinomato costituiva differenziazione sufficiente per rendere lecita da parte di Enel s.p.a. e Enel Green Power l’uso del segno Green Power, sia in funzione di marchio, sia in funzione di denominazione sociale, il che comportava il rigetto della domanda principale.

Green Power s.p.a., Gema 96 s.p.a. e Pontinia Rinnovabili s.r.l., hanno proposto appello, mentre Enel s.p.a. e Enel Green Power s.p.a. hanno proposto appello incidentale.

Con sentenza dell’8.4.16, la Corte di appello di Roma ha rigettato sia l’appello principale che l’incidentale, osservando che: in Italia, prima del 1996, la parola Green era già comunemente usata per designare tutto ciò che era ecologicamente sostenibile; tuttavia, nel periodo 1996-2000, tale parola era poco usata, piuttosto con il significato di potere che non di energia; da tali argomenti discendeva la validità del marchio Green Power, quale marchio debole; l’anteposizione del nome Enel a tale segno costituiva una differenziazione sufficiente a definirne lecito l’uso da parte di terzi non titolari del marchio denominativo; sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia, la valutazione sulla confondibilità dei marchi complessi doveva essere condotta in concreto e non in astratto.

Pertanto, la Corte territoriale, rilevato che il rischio di confusione tra marchi deve essere oggetto di valutazione globale, dovendosi fondare, in particolare, sulla somiglianza visiva, auditiva o concettuale dei marchi stessi – e dunque sull’impressione complessiva prodotta, in un consumatore medio, in considerazione degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi – ha ritenuto che: nella fattispecie la valutazione complessiva s’imponeva tenuto conto della rilevanza della denominazione sociale Enel, e della relativa area commerciale, nonchè della sua capacità distintiva ed attrattiva da attribuire alla storia dell’impresa in Italia, anche alla luce del disegno stilizzato di un albero che rendeva il marchio molto differente da quello, semplicemente denominativo Green Power; era da escludere il pericolo di confusione tra i marchi in questione, in quanto il segno Green Power riguardava operatori del settore e non era dunque confondibile con il marchio Enel; l’appello incidentale era infondato poichè gli appellanti non avevano provato la volgarizzazione dell’espressione suddetta.

La Green Power s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati con memoria.

L’Enel Green Power e Enel s.p.a. resistono con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a tre motivi, illustrati con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso principale è denunziata violazione o falsa applicazione dell’art. 12.1b)-c), e art. 20.1b) del codice della proprietà industriale (in seguito c.p.i.), avendo la Corte d’appello valutato erroneamente la confondibilità dei marchi, laddove ha ritenuto che l’aggiunta della denominazione Enel valga ad escludere l’interferenza tra il segno Enel Green Power e il segno anteriore Green Power, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione e alcune sentenze della Corte di Giustizia.

Al riguardo, la società ricorrente espone che è irrilevante la notorietà del nome dell’impresa terza o la debolezza del segno anteriore, lamentando l’erroneità della decisione della Corte d’appello che, anche sulla base di una valutazione globale del rischio di confusione, avrebbe invece dovuto affermare la contraffazione del marchio e della denominazione sociale Green Power da parte del segno distintivo Enel Green Power.

Con il secondo motivo è denunziata violazione o falsa applicazione degli artt. 12.1c) e 22.1 del c.p.i. ed omesso esame circa un fatto decisivo, lamentando la ricorrente il fatto che la Corte territoriale abbia escluso l’interferenza della denominazione sociale Enel Green Power con i diritti di esclusiva della stessa ricorrente, poichè in base al principio dell’unitarietà dei segni distintivi, tale interferenza può avvenire anche fra segni di tipo diverso, evidenziando l’inconciliabilità tra l’affermazione del giudice di merito in ordine alla validità del marchio Green Power e quella per cui l’estensione Green Power indicava il campo d’attività.

Con il primo motivo del ricorso incidentale è dedotta falsa applicazione dell’art. 13, comma 1, a) e b), e 25b) del c.p.i., avendo la Corte d’appello erroneamente escluso la decadenza dal marchio Green Power per intervenuta volgarizzazione, e la nullità dello stesso perchè privo di capacità distintiva, limitandosi ad indicare il campo d’attività di Green Power ovvero il settore delle energie rinnovabili, considerando che prima della registrazione del marchio l’espressione Green Power era ampiamente diffusa in Italia ed utilizzata dai soggetti qualificati e specializzati.

In via subordinata, con il secondo motivo è denunziata falsa applicazione dell’art. 13, comma 4, e 26a) del c.p.i., avendo la Corte d’appello negato che il suddetto marchio sia decaduto, erroneamente interpretando le citate norme, stante l’avvenuta perdita di capacità distintiva e volgarizzazione dello stesso marchio, come comprovata dai documenti prodotti da cui era desumibile l’esistenza di numerosi marchi aventi efficacia in Italia contenenti tale espressione divenuta, dunque, di uso comune.

Con il terzo motivo è formulato un motivo di ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del ricorso principale, avendo le parti controricorrenti lamentato che la Corte territoriale non abbia esaminato la domanda di convalida del marchio Green Power, poichè assorbito dalla pronuncia di rigetto della domanda avversa di accertamento della contraffazione del marchio.

Il ricorso principale è infondato.

Circa il primo motivo, va preliminarmente osservato che le argomentazioni della parte ricorrente sono, pressochè esclusivamente, fondate sulla giurisprudenza di questa Corte il cui nucleo può essere circoscritto al principio per cui: “in tema di tutela del marchio, l’apprezzamento sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto dal giudice di merito – le cui valutazioni si sottraggono al controllo di legittimità se congruamente e correttamente motivate – non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo, cioè, all’insieme degli elementi salienti – grafici, fonetici e visivi -, nonchè tenendo conto che, ove si tratti di marchio “forte” (in quanto frutto di fantasia senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti), detta tutela si caratterizza per una maggiore incisività, rispetto a quella dei marchi “deboli”, poichè rende illegittime le variazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l’attitudine individuante” (Cass., n. 13592/99; n. 4405/06; n. 17671/09).

Va altresì rilevato, quale ulteriore premessa all’esame analitico del motivo, che in tema di tutela del marchio, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità dei segni costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in Cassazione, se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass., n. 21086/2005; n. 13592/99; n. 6382/17).

Premesso ciò, il collegio osserva che l’applicazione del suddetto principio (che la società ricorrente segnala avvenuta nelle sentenze citate nel ricorso e nella memoria depositata, il cui oggetto tuttavia non coincide del tutto con la fattispecie in esame, come sarà esposto) non depone a favore della tesi della parte ricorrente in quanto l’aggiunta contenuta nel segno successivo, rispetto al segno Green Power, riguarda la denominazione Enel che costituisce il marchio forte (mentre quello Green Power è il marchio debole).

Ora, la doglianza della ricorrente, secondo cui tale aggiunta costituisce condotta di contraffazione poichè ingenera la confondibilità dei due segni distintivi, appare correlata ad un’erronea lettura delle varie richiamate sentenze della Corte di Cassazione che, invece, hanno ritenuto consumata la contraffazione del marchio forte pur in presenza dell’aggiunta di un altro segno, apparentemente inidoneo ad evitare la confusione.

Nella fattispecie, invece, la ricorrente, titolare del marchio debole (come accertato dalle due sentenze di merito senza impugnazione specifica) si duole che l’aggiunta costituita dal segno Enel (marchio forte, come parimenti affermato nelle sedi di merito e non contestato) al segno Green Power avrebbe leso il diritto di esclusiva della ricorrente stessa.

Al riguardo, la debole capacità distintiva attribuita alla espressione Green Power ha indotto la Corte di appello ad escluderne il ruolo dominante nell’ambito del marchio oggetto della domanda di contraffazione della società attrice, ed a riconoscere un valore distintivo alla combinazione con la parola Enel, anteposta alla stessa, attribuendo a tale combinazione un valore distintivo accentuato.

In particolare, la sentenza impugnata ha osservato che la contemporanea presenza di tale pluralità di elementi ha dato vita ad un marchio figurativo e complesso, mentre il marchio Green Power è stato considerato denominativo, di guisa che no è stata ravvisata somiglianza dal punto di vista fonetico e grafico tra gli stessi (cfr. Cass., ord. n. 15927/18).

Il predetto apprezzamento non si pone in alcun modo in contrasto con il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità (richiamata dalla ricorrente, unitamente ad alcune sentenze della Corte di Giustizia UE) secondo cui l’inclusione in un marchio complesso dell’unico elemento, nominativo o emblematico, che caratterizza un marchio semplice precedentemente registrato si traduce in una contraffazione, anche se il nuovo marchio sia costituto da altri elementi che lo differenziano da quello precedente (cfr. Cass., Sez. 1, 14/07/ 1987, n. 6128; 11/05/1982, n. 2929; 16/10/1969, n. 3343).

Tale principio, postulando che il marchio precedentemente registrato sia dotato di una particolare forza individualizzante, tale da renderlo autonomamente riconoscibile anche se inserito in una rappresentazione più articolata, non è riferibile all’ipotesi in cui, come nella specie, il predetto inserimento comporti un’alterazione sostanziale del suo significato, in considerazione della debole capacità distintiva derivante dall’adozione di una parola o un’espressione avente carattere meramente descrittivo, quale, nella fattispecie, Green Power.

Invero, mentre per il marchio forte vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni o aggiunte (cfr. Cass., Sez. 1, 24/06/2016, n. 13170; 25/01/2016, n. 1267; 26/06/ 2007, n. 14787).

In tale ambito argomentativo, occorre infine esaminare i rilievi difensivi espressi dalla società ricorrente, specie nella memoria, attraverso i quali è stato dedotto che la semplice aggiunta del nome del produttore non varrebbe a rendere complesso un segno distintivo “che si risolve pur sempre, per la parte che è rilevante, nell’originaria essenza ideologica, a nulla rilevando l’importanza e la notorietà dell’impresa concorrente”.

Al riguardo, va rilevato che il marchio è un segno, la cui funzione distintiva si realizza perchè viene percepita come individualizzante, in quanto tale, un prodotto offerto al mercato. Ora, al fine di pervenire ad un giudizio di confondibilità, non è sufficiente la mera circostanza della identità delle parole che lo compongono, con quelle presenti in altri segni ma occorre, come detto, che l’intero segno, sinteticamente, nel suo complesso grafico e semantico, venga percepito come confondibile con altro.

La confondibilità che la legge richiede, peraltro, si manifesta anche come potenzialità illecita, deducibile dalla naturale espansività dell’impresa titolare del segno. In questo contesto, il relativo apprezzamento non può aver luogo con giudizio ex post, dovendosi piuttosto verificare, con riguardo al momento in cui è stata introdotta la domanda giudiziale, se l’attività dell’attore, anche per la sua possibile espansione – intesa quale normale potenzialità -, possa risultare pregiudicata dalla somiglianza o identità dei segni, che sia tale da determinare, nell’evoluzione naturale della sua posizione nel mercato, un pericolo di confusione (Cass., n. 3548/06).

In linea generale, sul punto, va osservato che l’usurpazione o la contraffazione di un marchio preusato o registrato può sussistere anche se la riproduzione sia inserita in un marchio complesso. In tal caso – ai fini dell’accertamento dell’esistenza della contraffazione non può essere attribuita a ciascun elemento del marchio complesso uguale funzione individualizzante e differenziatrice ma è necessario stabilire a quale dei molteplici elementi del marchio complesso può essere diretta di preferenza l’attenzione dei consumatori (Cfr. Cass., n. 1833/1969; n. 8119/09).

Al riguardo, questa Corte ha da tempo chiarito, invero, che la possibilità di confusione fra i prodotti delle imprese concorrenti va apprezzata dal punto di vista dei consumatori dei prodotti di media diligenza e capacità, ma sempre tenendo conto dello specifico tipo di clientela cui il prodotto è destinato e considerando le normali modalità del suo approccio al tipo di prodotto cui si riferisce (cfr. Cass. 21 settembre 2004, n. 18920; 9 marzo 1998, n. 2578; 9 novembre 1983, n. 6625; ed ancora, Cass. 10 ottobre 2008, n. 24909; 28 febbraio 2006, n. 4405; Cass., n. 11031/16; nonchè Corte di giustizia 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co.; 12 gennaio 2006, causa C-361-04P, Picasso; Tribunale dell’Unione Europea 14 maggio 2013, n. 249-11; 30 giugno 2004, BMI Bertollo, T-186/02; 23 ottobre 2002,Oberhauser,T-104/01). Corrisponde, infatti, alla comune esperienza che il cd. livello di attenzione del consumatore medio varia in funzione della categoria di prodotti o servizi di cui trattasi: il parametro generale è sì costituito dal consumatore normalmente informato e ragionevolmente avveduto, ma la nozione va, poi, concretizzata in adesione alle specifiche circostanze.

Se, per taluni prodotti, il consumatore di riferimento si dimostra particolarmente attento ed avveduto – così, ad esempio, per quelli “di lusso” e costosi, desiderati proprio in quanto si presta notevole attenzione alla qualità del bene al momento dell’acquisto – è l’opposto per i prodotti definibili “a buon mercato”. Così, è noto che il consumatore impiega maggior attenzione quando sceglie un bene di consumo durevole – come un capo di abbigliamento destinato a lungo uso, un elettrodomestico, una vettura – rispetto ad un acquisto cd. d’impulso di un prodotto di singolo e definitivo consumo, come un bene “usa e getta” o una bevanda: solo nel primo caso, alla stregua della comune esperienza, il consumatore sceglie dopo un attento e ponderato controllo di tutti i dettagli del prodotto, con un più elevato grado di attenzione, in ragione dei costi o del carattere tecnologico del prodotto d’interesse.

In tal modo, la somiglianza visiva dell’elemento figurativo finisce per avere un’importanza assai maggiore, laddove le modalità di commercializzazione dei prodotti interessati e la loro natura comportino che il pubblico di riferimento abbia specularmente un livello di attenzione inferiore.

Il medesimo grado di somiglianza oggettiva fra segni può condurre, dunque, a conclusioni diverse circa l’effetto confusorio di essi, con conseguente abbassamento della soglia del giudizio di confondibilità laddove si tratti di un pubblico di riferimento di tipo generico, come accade per i prodotti di larga diffusione non destinati a “specialisti” ed a basso costo, ora menzionati.

A ciò si aggiunga, da ultimo, che il rischio di confusione è tanto più elevato, quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore a motivo della sua notorietà sul mercato (Cass., n. 11031/16).

Nel caso concreto, come correttamente accertato e argomentato dalla Corte di merito, è da escludere il pericolo che il pubblico dei consumatori possa essere indotto a credere che i prodotti e i servizi riconducibili ai due marchi in questione provengano tutti dall’Enel o da imprese ad essa collegate, in quanto l’ambito d’operatività della Green Power s.p.a. è costituito esclusivamente da operatori del settore, da altre imprese altamente specializzate, da soggetti istituzionali e non da persone fisiche consumatrici finali di energia elettrica e non operanti quali imprenditori.

Pertanto, è pienamente condivisibile la conclusione cui è pervenuto il giudice d’appello, con motivazione chiara ed esaustiva, nell’affermare che il pubblico cui si relaziona parte ricorrente è particolarmente esperto ed avveduto per il quale le differenziazioni rappresentate dalla parola Enel e dall’albero stilizzato sono più che sufficienti per comprendere che il marchio denominativo Green Power non sia riconducibile ad un’impresa del gruppo Enel, nè ad un’impresa collegata al gruppo.

Tale conclusione è pertanto conforme ai criteri ermeneutici segnalati, come esposto, alla cui stregua i fruitori dei servizi della società ricorrente sono riferibili ad un pubblico esperto ed altamente specializzato, mentre il pubblico cui sono destinati i servizi e i prodotti della Enel Green Power s.p.a. e della stessa Enel s.p.a. riguarda una comunità indifferenziata di fruitori di energia elettrica.

Nè può infirmare la pronuncia impugnata il riferimento all’utilizzazione di parole straniere come marchio denominativo. Invero, tale riferimento, al fine di valutare la validità dell’uso delle parole straniere sotto il profilo della capacità distintiva, impone di accertare il grado di diffusione e comprensione del significato della parola nel territorio nel quale è chiesta la registrazione del marchio, anche con riferimento alla destinazione e ad ogni altra caratteristica del prodotto e, una volta operata tale verifica, deve ritenersi meramente descrittivo il segno che presenti con il prodotto un nesso sufficientemente concreto e diretto, in quanto divenuto parte del patrimonio linguistico comune in quel territorio e quindi capace di richiamarlo in maniera diretta e immediata nella percezione di un consumatore medio normalmente avveduto ed informato (Cass., n. 13170/2016).

Ora, nella fattispecie va escluso che il segno Green Power abbia avuto capacità distintiva particolarmente individualizzante, tale da renderlo autonomamente riconoscibile anche se inserito in una rappresentazione più articolata, poichè esso, essendo rivolto ad un pubblico esperto e specializzato, non è suscettibile di percezione diretta ed immediata da parte di un consumatore normalmente informato che, per definizione, non può essere ricompreso all’ambito del pubblico che fruisce dei servizi della Green Power s.p.a., costituito, come detto, da operatori del settore, soggetti istituzionali ed altamente specializzati.

Le suesposte argomentazioni inducono dunque a ritenere che le pronunce della Corte di Cassazione (segnatamente la sentenza n. 6218/87) e della Corte di Giustizia UE (in particolare la sentenza dell’8 maggio 2014 (caso “Doghnuts – Bimbo Doughnuts”), richiamate dalla parte ricorrente nei propri atti difensivi, non siano riferibili alla fattispecie in esame, venendo in rilievo marchi suscettibili di diversa qualificazione.

Il secondo motivo del ricorso principale è parimenti infondato, sostanzialmente, alla luce delle medesime argomentazioni di cui al precedente motivo.

Invero, la ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia escluso l’interferenza della denominazione sociale “Enel Green Power” con i diritti di esclusiva di cui era titolare. Al riguardo, va condivisa la motivazione del giudice di secondo grado secondo la quale la denominazione sociale ” C.G. Green Power” e quella “Enel Green Power” implicavano nomi diversissimi tra loro indicanti due distinte aziende, dovendosi escludere la lamentata contraffazione data la mancanza di capacità distintiva autonoma del segno Green Power, come si è sopra argomentato.

E’ invece inammissibile la doglianza relativa all’omesso esame del fatto decisivo consistito nell’asserita inconciliabilità tra l’affermazione della Corte territoriale, relativa al fatto che “l’estensione Green Power indica il campo d’attività”, e il valore distintivo che la sentenza impugnata ha riconosciuto alla stessa locuzione Green Power.

Al riguardo, premesso che nel ricorso non è stata ben chiarita la consistenza della lamentata “inconciliabilità”, va osservato che il motivo è stato declinato con una formulazione non conforme alla versione applicabile, ratione temporis, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non essendo stato allegato l’omesso esame di un fatto storico.

Infatti, a seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, applicabile al caso concreto, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per l’omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., n. 23940/17).

Nella fattispecie, la ricorrente lamenta, in sostanza, l’omessa valutazione logica di elementi istruttori, ovvero di documenti acquisiti ed è, dunque, chiaramente inammissibile.

I primi due motivi del ricorso incidentale sono inammissibili perchè diretti al riesame del merito della causa e, in particolare, alla contestazione della motivazione della Corte d’appello in ordine agli apprezzamenti sulla insussistenza dei presupposti della decadenza, per l’intervenuta volgarizzazione del marchio Green Power, e della nullità dello stesso.

Invero, il giudice d’appello ha motivato chiaramente ed in maniera immune da censure, con scrutinio di fatto incensurabile in questa sede.

Il terzo motivo è assorbito, atteso il carattere condizionato all’accoglimento del ricorso principale.

Data la reciproca soccombenza, le spese del giudizio di legittimità vanno compensate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile i primi due motivi del ricorso incidentale, assorbito il terzo.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2019

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