Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10202 del 28/04/2010

Cassazione civile sez. II, 28/04/2010, (ud. 17/02/2010, dep. 28/04/2010), n.10202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SAN PAOLO IMI SPA, in persona dell’Amministratore e legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DI PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato MAGRONE GIANDOMENICO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAGNIFICO

ANTONIO, quest’ultimo per procura speciale notarile;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3896/2004 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 20/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/02/2010 dal Consigliere Dott. PICCIALLI Luigi;

udito l’Avvocato MAGRONE Giandomenico, difensore del ricorrente che

ha chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Milano del 31.7.00 la societa’ San Paolo I.M.I s.p.a., gia’ Istituto Bancario San Paolo di Torino, propose opposizione contro il decreto n. 29161 del 14.6.00, con il quale il Direttore Generale del Dipartimento del Tesoro, Direzione 5^, Valutario Antiriciclaggio ed Antiusura, del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, le aveva irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria di L. 450.698.000, per la violazione di cui al D.L. n. 143 del 1991, art. 3 conv. con modd.

nella L. n. 197 del 1991, per aver omesso di segnalare operazioni finanziarie sospette, ammontanti a complessive L. 4.506.978.206, eseguite dal correntista M.U. nell’anno 1993, a partire dal 29.8.93 (data di entrata in vigore della L. n. 328 del 1993, che aveva ampliato l’ambito di applicabilita’ del reato di cui all’art. 648 bis c.p., estendendo il “riciclaggio” a tutti i proventi di delitti non colposi), come accertato e riferito dal Nucleo Regionale della Guardia di Finanza di Milano, a seguito di indagini svolte su incarico dell’autorita’ giudiziaria. L’opponente dedusse tra l’altro l’incompetenza funzionale dell’organo emittente la tardivita’ del provvedimento sanzionatorio e la nullita’ dello stesso, per omessa indicazione delle specifiche operazioni sospette;

il ministero si costitui’ a mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, resistendo all’impugnazione. Questa fu respinta dal giudice monocratico, con sentenza del 9 – 20.3.04, sulla base delle seguenti essenziali argomentazioni:

a) la delega per remissione del provvedimento sanzionatorio al direttore generale era consentita dal D.P.R 31 marzo 1988, n. 148, art. 2, comma 3;

b) nel caso di specie, in cui non era coinvolto l’Ufficio Italiano Cambi, non era applicabile il termine decadenziale di gg. 180, facendo l’art. 32, n. 5 a tal proposito esclusivamente riferimento alla ricezione degli atti da parte di tale ufficio;

c) irrilevante era infine la mancata indicazione nel decreto delle operazioni ritenute “sospette”, non essendo la relativa specificazione richiesta ed essendo comunque pacifico e documentato che le stesse erano risultate dagli accertamenti bancari compiuti dalla Guardia di Finanza a carico del M..

Per la cassazione di tale sentenza la societa’ San Paolo IMI s.p.a ha proposto ricorso affidato a tre motivi, ha resistito con controricorso dell’Avvocatura Generale dello Stato l’amministrazione intimata, oggi Ministero dell’Economia e delle Finanze. La difesa della ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte violazione e falsa applicazione del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3 e art. 5, comma 8 conv. in L. 5 luglio 1991, n. 197 e del D.P.R. 31 marzo 1988, n. 148, art. 32, commi 1 e 3 (T.U. delle leggi in materia valutaria), censurandosi la ritenuta competenza funzionale del dirigente generale del Ministero del Tesoro all’emissione del decreto sanzionatorio, che contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito non sarebbe prevista dalle suindicate norme, considerato che l’art. 5, comma 8 si limita a prevedere che all’irrogazione delle sanzioni provvede il ministro con decreto, su parere della commissione di cui al D.P.R. n. 148 del 1988, art. 32, testo normativo quest’ultimo richiamato soltanto a tal riguardo e non anche in altre parti; sicche’ erroneamente sarebbe stata ritenuta applicabile, in materia di infrazioni bancarie,anche la disposizione di cui all’art. 32, comma 3 cit. D.P.R..relativa alle infrazioni valutarie,prevedente la facolta’ di delega da parte del ministro al dirigente generale all’emissione dei decreti sanzionatori.

Il motivo, pur evidenziando l’improprieta’ del collegamento normativo ravvisato dal giudice di merito, tuttavia non merita accoglimento.

La legittimita’ della delega, da parte del ministro al dirigente generale del settore del dicastero competente all’emissione delle sanzioni, non deriva, come ha ritenuto il giudice di merito, da un richiamo del D.P.R. n. 148 del 1988, art. 2, comma 3 da parte della L. n. 197 del 1991 (il cui art. 5, comma 8 effettivamente si limita a richiamare il citato D.P.R. solo ai fini del parere della commissione ivi prevista), ne’ da un’applicazione analogica della disposizione in materia valutaria, bensi’ dal principio generale del diritto amministrativo, secondo il quale nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, le cui strutture siano connotate da organizzazione gerarchica, la delegabilita’ delle funzioni, da parte dell’organo posto al vertice, ai collaboratori dotati di adeguate qualifiche e cognizioni, costituisce la regola, a meno che la legge non disponga diversamente, espressamente prevedendo una competenza funzionale ed inderogabile dell’organo anzidetto, comportante la non delegabilita’ (v. Cass. 9441/01). Costituendo i ministeri organismi strutturati gerarchicamente, gli stessi devono ritenersi non sottratti a tale regola, di cui si trae conferma dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 4 (“norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) che dopo avere, al comma 1, riservato agli organi di Governo (ministri e sottosegretari), le “funzioni di indirizzo politico – amministrativo, successivamente elencando una serie di atti di tal genere (tra i quali non figurano provvedimenti sanzionatori di sorta), al successivo comma 2 attribuisce una competenza generale residuale ai “dirigenti” per l’adozione degli “atti e provvedimenti amministrativi”, comprensiva, segnatamente, di quelli che impegnano 1″amministrazione verso l’esterno, precisando poi, al comma 3, che le attribuzioni dei dirigenti di cui al precedente, possono essere “derogate soltanto espressamente ed opera di specifiche disposizioni legislative”.

Pertanto, esclusa la natura di atti di indirizzo politico amministrativo delle ordinanze – ingiunzioni ex art. 689, comma 81, in materia di illeciti bancari, in assenza di una norma specifica dalla quale possa desumersi che il legislatore abbia ritenuto di escludere la delegabilita’ del relativo potere sanzionatorio ministeriale agli organi burocratici apicali, deve concludersi per la legittimita’ della delega in questione, indipendentemente dal raffronto o dal richiamo analogico alla disposizione contenuta nel D.P.R. 88, art. 2, comma 3 in materia valutaria, la cui espressa previsione della facolta’ di delega va considerata non una disposizione eccezionale, bensi’ un pleonasmo legislativo, in quanto la delegabilita’ sarebbe comunque derivata dal suindicato principio generale del diritto amministrativo.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 2, comma 2 e art. 3, D.L. n. 143, art. 3, e art. 5, comma 8, conv. in L. n. 197 del 1991, D.P.R. n. 148 del 1988, art. 32, commi 1, 5 e 6 per non aver ritenuto applicabile nel procedimento sanzionatorio in questione il termine di gg. 30, previsto in via generale e sussidiaria, dalla citata legge del 1990, per la conclusione dei procedimenti amministrativi, o in alternativa quello di gg. 180 dal ricevimento degli atti di accertamento dell’illecito previsto dal D.P.R. del 1988, la cui esclusione sul rilievo che non sarebbe in materia “coinvolto” l’Ufficio Italiano Cambi, non sarebbe coerente con l’altra argomentazione, pur contenuta nella sentenza, secondo la quale ai fini della delegabilita’ del potere di firma da parte del ministro sarebbe applicabile una specifica previsione contenuta nel suddetto testo unico. Neppure tale motivo merita accoglimento.

Esclusa la rilevanza dell’ultimo profilo di cneusra, denunciante la contraddittorieta’ del ragionamento del giudice di merito, in relazione ad altra argomentazione che, come si e’ in precedenza precisato, non era conferente ai fini della decisione, e ribadito che pertanto i due testi normativi in raffronto, ancorche’ presentanti talune analogie finalistiche, contengono distinte discipline (il cui unico punto di contatto e comunanza e’ costitutito dalla necessita’ del parere di una medesima commissione), deve confermarsi la non applicabilita’ alla fattispecie del termine di gg. 180 di cui al D.P.R. n. 148 del 1988, art. 32, commi 5 e 6. A tale conclusione si perviene, non tanto perche’ nel caso di specie le indagini ispettive non siano state svolte dall’Ufficio Italiano dei Cambi (ipotesi solo nella quale, peraltro, e non anche in quelle di indagini eseguite dalla Guardia di Finanza, anche nell’ambito della disciplina degli illeciti valutari, detto termine verrebbe in considerazione: v. Cass. 5169/95), ma, piu’ radicalmente, perche’ la normativa in tema di illeciti bancari non contempla alcun richiamo specifico alla suddetta disposizione in materia valutaria, limitandosi la L. n. 143 del 1991, art. 5, comma 8 (dopo il solo riferimento alla commissione citata) a prevedere che “si applicano le disposizioni della L. 24 novembre 1981, n. 689″.

Quanto al profilo di censura deducente la mancata applicabilita’ alla fattispecie del termine di gg. 30, previsto in via generale e sussidiaria dalla L. n. 241 del 1990, art. 2 disciplinante il procedimento amministrativo, trattasi di doglianza che, ancor prima che infondata alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 9548 del 2006 ed in altre coeve (escludente l’applicabilita’ del termine suddetto al procedimento sanzionatorio amministrativo disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, costituendo questo un “sistema organico e compiuto” con cadenze e garanzie del tutto proprie, non tolleranti “inserimenti dall’esterno”, fatta salva in ultima analisi l’osservanza del termine prescrizionale di cinque anni), e’ inammissibile, in quanto nuova, non essendo stata la relativa questione proposta anche in sede di merito, laddove l’unico termine invocato era stato quello di gg. 180 previsto dalla normativa sugli illeciti valutari.

Inconferenti, infine, risultano i richiami giurisprudenziali contenuti nella memoria illustrativa ed in sede di discussione orale (in particolare Cass. 3043/09, 9311/07, 12830/06) riguardando decisioni attinenti al momento iniziale, per la decorrenza del diverso termine, di natura endoprocedimentale, relativo alla notifica della contestazione, di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, e non anche alla conclusione del procedimento sanzionatorio con l’emissione del provvedimento.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 197 del 1991, art. 3, art. 648 bis c.p. introdotto dal D.L. n. 59 del 1978, art. 3 conv. in L. n. 191 del 1978 e mod. dalla L. n. 55 del 1990, art. 23 in vigore fino al 29.8.93, art. 11 disp. gen., art. 2 c.p., comma 1, con totale omissione di motivazione su punto decisivo, censurandosi la decisione del giudice di merito per non aver considerato che l’impugnato decreto, pur avendo premesso che le sanzionate violazioni dell’obbligo della segnalazione riguardavano soltanto il periodo successivo al 29.8.93 (data di entrata in vigore della modifica dell’art. 648 bis c.p., estensiva del delitto di riciclaggio ai proventi di qualsiasi delitto non colposo), non avrebbe fornito alcuna indicazione idonea ad individuare le singole operazioni avvenute dopo tale data, al riguardo limitandosi alla generica ed omnicomprensiva indicazione di “operazioni e disponibilita’ finanziarie per un ammontare complessivo di L. 4.506.978.206”. In realta’ si sarebbe trattato di mancata segnalazione di titoli di Stato ed azionari rinvenuti nel dossier del M. alla data del 31.3.93, complessivamente ammontanti a L. 2.777.226.260, e non anche di “operazioni”, vale a dire di “atti del comportamento umano produttivi di effetti giuridici” e sospettabili di ricadere nella previsione di cui all’art. 648 bis c.p., sanzionante il fatto di chiunque sostituisca o trasferisca danaro, beni o altre attivita’ di provenienza delittuosa e compia altre operazioni in modo da ostacolarne l’accertamento della provenienza. In altri termini, il solo fatto “statico” della giacenza di titoli e danaro del M. presso la banca, senza la prova che gli stessi provenissero da operazioni antecedenti l’entrata in vigore della nuova e piu’ severa normativa, non avrebbe potuto, a meno di non violare i principi di irretroattivita’ della legge, segnatamente di quella penale, integrare le condizioni per far scattare l’obbligo della segnalazione, con conseguente insussistenza dell’illecito contestato. Il motivo e’ in parte inammissibile, in parte infondato.

L’opponente si era limitata, in sede di merito con l’ultimo motivo di opposizione, a lamentare la generica omnicomprensivita’ dell’addebito, perche’ nel provvedimento sanzionatorio e nel recepito parere della commissione consultiva non erano state analiticamente indicate le singole operazioni sospette. La censura fu disattesa dal giudice di merito, sulla base della duplice considerazione che tale specificazione non era richiesta e che, peraltro, le singole operazioni finanziarie risultavano dagli accertamenti bancari compiuti dalla Guardia di Finanza.

Tale argomentazione, ancorche’ sintetica, deve ritenersi sufficiente a sorreggere la reiezione del motivo di opposizione, considerato che il provvedimento irrogativo costituisce il momento terminale del procedimento sanzionatorio, nell’ambito del quale le garanzie del contraddittorio e della difesa sono essenzialmente assicurate dalla precedente contestazione L. n. 689 del 1981, ex art. 14, cui deve ritenersi dunque e segnatamente correlato, ed alla quale avrebbe dovutole del caso, farsi riferimento in ipotesi di genericita’ dell’addebito. D’altra parte costituisce principio costante nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di applicazione di sanzioni amministrative, quello secondo cui e’ legittima la motivazione per relationem, strutturata secondo inequivoco richiamo ad altri atti del procedimento istruttorio, conosciuti o conoscibili dall’interessato (v. tra le altre Cass. 11351/05). Nella specie il richiamo della contestazione alle indagini ispettive compiute dalla Guardia di Finanza proprio presso l’istituto bancario, poi opponente ed oggi ricorrente, e dunque in cospetto dello stesso e sulla scorta delle risultanze dei conti e del deposito titoli ben conoscibili, non consentiva incertezze, considerato che le singole operazioni e giacenze, con i relativi estremi cronologici erano da tali fonti, in diretto possesso dell’odierna ricorrente, agevolmente riscontrabili.

Per il resto il motivo di ricorso e’ inammissibile, sia per la novita’ delle questioni di principio solo in questa sede dedotte (la non qualificabilita’ in termini di “operazioni” finanziarie sospette del deposito di titoli oggetto di precedenti investimenti e la lamentata violazione del principio di irretroattivita’ delle norme “penali”), sia per la natura fattuale e generica delle censure laddove, contestando le risultanze degli accertamenti ispettivi, si sostiene che le “operazioni”, astrattamente rilevanti e riferibili al periodo successivo all’entrata in vigore delle nuove disposizioni in tema di riciclaggio, sarebbero state in realta’ giacenze di titoli per importo complessivo (di L. 2.777.226.260) inferiore a quello contestato (L. 4.506.698.000), omettendo tuttavia ogni specificazione al riguardo, che pur sarebbe stata possibile, tenuto conto della evidenziata diretta riscontrabilita’ documentale degli addebiti, nonche’ di prendere specifica posizione in ordine a quelle di natura diversa, genericamente definite “marginali”. Il ricorso va, conclusivamente, respinto.

Giusti motivi comportano, tuttavia, la compensazione totale delle spese del presente giudizio, considerato che al notevole impegno profuso dalla difesa ricorrente nel l’affrontare le varie questioni della controversia (su tematiche alcune delle quali solo nella piu’ recente giurisprudenza sono approdate a soluzioni univoche), non ha fatto riscontro alcun utile apporto alla relativa disamina da parte di quella erariale, limitatasi nel controricorso ad una generica ed omnicomprensiva contestazione.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, il 17 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2010

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