Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10202 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. III, 16/04/2021, (ud. 14/12/2020, dep. 16/04/2021), n.10202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36878-2018 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA JACOPO DA

PONTE 49, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO DONATIVI,

rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCO SILVESTRE,

FERDINANDO SILVESTRE, COSIMO ROMA;

– ricorrente –

contro

C.A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE

REGINA MARGHERITA 278, presso lo studio dell’avvocato MARCO FERRARO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO MARIA

BAGNARDI;

– controricorrente –

nonchè contro

T.B.R.G., K.A., in proprio e n.

q. di esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia

CI.AR.RO., CI.TA.CA., CI.AN.SA.,

CI.AN., CI.CA.SA., CI.LO., tutti n. q. di

eredi di CI.BI.VA.; L.P.I.; D.P.;

N.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 148/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 02/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/12/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Brindisi, con sentenza 22.1.2014 n. 143, qualificata come azione negatoria ex art. 949 c.c. la domanda proposta da S.P. nei confronti di T.B.R.G. e di D.A., volta a contestare il diritto di proprietà vantato dai convenuti (rispettivamente alienante ed acquirente, nella compravendita stipulata in data 4.4.2005 con sottoscrizioni autenticate dal notaio C.A.A.) su una quota del terreno agricolo che lo stesso S. aveva in precedenza acquistato da Ci.Bi.Va., in virtù di scrittura autenticata in data 25.2.2004 dal notaio C.A.A., nonchè sulla domanda di condanna al risarcimento dei danni proposta dallo stesso S. nei confronti dei predetti convenuti e del notaio, per avere perduto una favorevole occasione di vendita del predetto immobile in quanto risultato gravato dalla formalità della trascrizione della seconda vendita:

– dichiarava il S. esclusivo proprietario dell’intero terreno oggetto della compravendita in data 25.2.2004;

– condanna il notaio e gli altri convenuti a risarcire il danno ex art. 2043 c.c..

Proposto appello dal solo notaio C., la Corte di appello Lecce, con sentenza in data 2.2.2018 n. 148, accoglieva la impugnazione, rigettando la domanda risarcitoria proposta dal S. contro il notaio, rilevando come il professionista, stipulando il secondo atto, non avesse violato i doveri della legge professionale, avendo controllato la continuità delle trascrizioni in relazione al nominativo del venditore, unico criterio di verifica al tempo consentito dai Registri Immobiliari, da cui risultava il titolo di provenienza consistente in una disposizione successoria di T.V.R. in favore di T.B.R.G., la cui falsità era emersa solo successivamente in seguito alla sentenza n. 155/2005 del Tribunale penale.

La sentenza di appello, notificata in data 22.10.2018, è stata impugnata da S.P., con ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste con controricorso C.A.A..

Non hanno svolto difese gli altri intimati T.B.R.G.; K.A. in proprio e n. q. di esercente la resp. genitoriale sulla figlia Ci.Ar.Ro., Ci.Ta.Ca., Ci.An.Sa., Ci.An., Ci.Ca.Sa., Ci.Lo., tutti n. q. di eredi di Ci.Bi.Va.; nonchè D.P.

Il ricorrente ed il controricorrente hanno depositato memorie illustrative ex art. 380 bis.1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116c.p.c., nonchè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe aderito alla impostazione difensiva del notaio C., affermando che al tempo non era stato possibile al professionista effettuare gli accertamenti presso la Conservatoria anche su base reale, essendo possibile soltanto eseguire le verifiche delle formalità mediante interrogazione di tipo soggettivo, e dunque per nominativo dell’alienante, e tale fatto non sarebbe stato supportato da adeguata motivazione, essendo invece incontrovertibile che il notaio aveva autenticato la seconda scrittura privata di vendita senza effettuare entrambe le visure catastali ed ipotecarie.

Il motivo dedotto in relazione al vizio di “errore di diritto”, per violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., è inammissibile, non essendo supportato non soltanto dalle necessarie argomentazioni giuridiche, ma neppure dalla indicazione dell’errore in ipotesi commesso dal Giudice di appello nella attività di giudizio, tale dovendosi intendere la interpretazione del contenuto prescrittivo della norma di diritto ovvero la individuazione della regola applicabile al rapporto sostanziale, o ancora il procedimento di sussunzione della fattispecie concreta nello schema normativo astratto.

Il motivo, relativamente alla deduzione del vizio di “errore di fatto”, è inammissibile, non essendo rispondente al paradigma del vizio di legittimità come definito dal testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformato dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012, nella interpretazione che ne è stata data da questa Corte. La nuova formulazione del testo normativo, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012: D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, cit.), ha, infatti, limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado, per vizio di motivazione, alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, escludendo il sindacato sulla inadeguatezza del percorso logico posto a fondamento della decisione e condotto alla stregua di elementi extratestuali, limitandolo alla verifica del requisito essenziale di validità ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), inteso come “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, secondo la interpretazione fornita da questa Corte: l’ambito in cui opera il vizio motivazionale deve individuarsi, pertanto, esclusivamente nella omessa rilevazione e considerazione da parte del Giudice di merito di un “fatto storico”, principale o secondario, ritualmente verificato in giudizio e di carattere “decisivo” in quanto idoneo ad immutare l’esito della decisione (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

Esula del tutto, quindi, dal predetto vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il Giudice di merito si è formato, ex art. 116 c.p.c., comma 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 che, puntualmente, afferma come il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove “non legali” da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Occorre opportunamente precisare, in proposito, che non è – evidentemente – consentito riproporre sotto altra forma paradigmatica, attraverso la denuncia del combinato disposto dell’art. 116 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la medesima censura diretta a veicolare quegli stessi “vizi di logicità” che la norma ha inteso esplicitamente eliminare dall’attuale testo normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), atteso che -indipendentemente dal carattere manifestamente elusivo della riforma processuale riconoscibile in tale operazione – la denuncia di asserita violazione del corretto esercizio del principio del “libero convincimento” ex art. 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie, riservato in via esclusiva al Giudice di merito, ed in quanto tale è insindacabile in sede di legittimità: deve ritenersi, infatti, assolutamente pacifico in giurisprudenza che la denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e dell’art. 116 c.p.c., solo apparentemente veicola un vizio di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” (processuali), traducendosi, invece, nella denuncia di “un errore di fatto” che deve essere fatta valere attraverso il corretto paradigma normativo del vizio motivazionale, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 2707 del 12/02/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 12912 del 13/07/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 15107 del 17/06/2013), essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (cfr. (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5024 del 28/03/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014). Ineludibile corollario della precedente affermazione è che la censura di violazione delle norme processuali predette non può legittimare, evidentemente, una “trasformazione” del precedente vizio di motivazione per “insufficienza od incompletezza logica” non più sindacabile in sede di legittimità – in un vizio di “errore di diritto” (attinente alla attività processuale), sì che il primo possa in tal modo ritornare ad essere sindacabile avanti la Corte sotto le apparenti, diverse, spoglie della violazione di norma di diritto, non essendo in ogni caso autonomamente censurabili -attraverso la denuncia della violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c. – asseriti errori di “convincimento” attinenti alla preminente rilevanza attribuita a talune “questioni” od alle stesse “argomentazioni” nelle quali si estrinseca l’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014), comportando una tale censura pur sempre l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione ai fini istruttori, che non trova accesso nel giudizio di cassazione (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 21439 del 21/10/2015).

Orbene il ricorrente non ha indicato un “fatto storico” che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare nella ponderazione delle risultanze istruttorie, e che se fosse stata tenuto in debito conto avrebbe consentito di pervenire ad una diversa soluzione della lite.

La questione della responsabilità del notaio per omesso adempimento dei doveri di verifica della continuità delle trascrizioni, è stato oggetto di esame da parte della Corte d’appello che con accertamento in fatto ha ritenuto provato che il notaio, in occasione della seconda vendita, avesse eseguito non soltanto la visura catastale, da cui era risultato che la particella (OMISSIS) del fg. (OMISSIS) era intestata al T.B. limitatamente alla quota di 1/4 indiviso (cfr. sentenza appello, in motiv. pag. 11, ove si dà atto della visura effettuata in data 1.4.2005), ma altresì le visure ipotecarie, con ricerca condotta “in base alla intestazione personale dei beni immobili”, dalle quali era emerso che il titolo di provenienza del T.B. era costituita da una dichiarazione successoria, della quale solo successivamente era stata accertata la falsità in esito a procedimento penale (cfr. sentenza appello ibidem, pag. 11). Conseguentemente il Giudice di seconde cure ha escluso ogni responsabilità del professionista in quanto, tanto in occasione della prima che della seconda vendita, stipulata circa un anno dopo, le visure ipotecarie, al momento della ispezione, avevano esibito “due distinte catene trascrizionali, apparentemente valide (non competendo al notaio accertare la veridicità degli atti trascritti ma soltanto la continuità delle trascrizioni)” (cfr. sentenza appello, in motiv. pag. 12): secondo l’accertamento compiuto dalla Corte territoriale, quindi, la regolare continuità delle trascrizioni risultava osservata, quanto ai titoli di provenienza della parte alienante, sia in occasione della prima, che della seconda vendita.

Trattasi di valutazione in fatto delle risultanze istruttorie, non suscettibile di revisione in sede di legittimità e che appare in linea anche con le difese svolte dal notaio il quale – diversamente da quanto ipotizza il ricorrente – non ha affatto ammesso di avere eseguito soltanto la visura catastale, avendo invece affermato di aver svolto anche la ispezione presso la Conservatoria dei RR.II. ma solo con il metodo della ricerca per nominativo della parte alienante, in quanto unico criterio di indagine al tempo consentito.

Pertanto non coglie nel segno la censura incentrata sulla questione della manchevolezza delle ispezioni eseguite dal notaio, peraltro neppure perspicuamente svolta se, come è dato evincere dall’estratto della comparsa di risposta in grado di appello, il S. (ricorso pag. 15) aveva contestato al notaio (non di avere omesso le ispezioni nei Registri Immobiliari ma) di non avere svolto le “visure catastali”.

Del tutto inconferente è poi, quanto alla censura di carenza del requisito motivazionale il richiamo ai precedenti di questa Corte (tra cui Sez. 3, Sentenza n. 16990 del 20/08/2015) che affermano il condivisibile principio per cui il notaio richiesto della redazione di un atto pubblico di trasferimento immobiliare ha l’obbligo di compiere le attività preparatorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, è tenuto ad effettuare le visure catastali e ipotecarie, la cui eventuale omissione è fonte di responsabilità (e ciò tanto nel caso del rogito, quanto nel caso di autenticazione delle sottoscrizioni apposta sulla scrittura privata, sia stata questa o meno redatta dallo stesso notaio: cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2(OMISSIS)70 del 01/12/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 10133 del 18/05/2015 in motivazione; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 12482 del 18/05/2017). Diversa è, infatti, la “ratio decidendi” della sentenza di appello impugnata, volta ad escludere ulteriori obblighi a carico del notaio che abbia effettuato le “visure ipotecarie” accedendo ai Registri Immobiliari, in base al criterio di indagine nominativo, al tempo vigente, e che appare del tutto conforme a quanto già statuito da questa Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 15183 del 06/08/2004 secondo cui – al tempo dei fatti – la trascrizione nei registri immobiliari era informata al criterio della ricerca per nome (“rubrica dei cognomi” sulla “tavola alfabetica”) del soggetto cui si riferisce, avendo l’obbligo il Conservatore dei registri immobiliari di tenere un registro generale d’ordine (art. 2678, c.c.) ed i registri particolari per le trascrizioni, le iscrizioni e le annotazioni (art. 2679 c.c., comma 1), nonchè gli altri registri ordinati dalla legge (art. 2679 c.c., comma 2; R.D. n. 2130 del 1874), rientrando tra questi ultimi, in particolare, la “tavola alfabetica dei nomi” e la “rubrica dei cognomi”, i quali, poichè la trascrizione nei registri immobiliari è informata al criterio della ricerca per nome del soggetto cui si riferisce, hanno la funzione di facilitare le ricerche, ma, sotto il profilo pubblicitario, hanno carattere meramente accessorio.

Ne segue che, anche sotto il diverso profilo di censura – per vero appena accennato con il mero riferimento in rubrica alla violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 – del vizio di nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione, il motivo si palesa del tutto privo di pregio, avendo assolto la Corte territoriale al minimo costituzionale prescritto per ritenere integrato il requisito di validità della sentenza.

Secondo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 1176,1374, e 2230 c.c., nonchè della L. n. 89 del 1913, artt. 1 e 138 come sostituito dal D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 22.

Sostiene il ricorrente che già dall’anno 1999 era possibile accedere alla ispezione dei Registri Immobiliari mediante criterio “reale” essendo stata istituita l’Agenzia del Territorio dal D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 64 allo scopo di costituire l’anagrafe dei beni immobiliari esistenti sul territorio nazionale integrando i sistemi informativi catastali e delle trascrizioni ed iscrizioni dei diritti sugli immobili. Conseguentemente andava ravvisata la responsabilità del notaio per non avere debitamente eseguito la ispezione sui Registri Immobiliari.

Il motivo è infondato.

Del tutto inconferente appare la indicazione del parametro normativo asseritamente violato, sia in quanto riferito ad un testo normativo neppure in vigore al tempo dei fatti (venendo richiamate le modifiche alla L. n. 89 del 1913 disposte dal D.Lgs. n. 249 del 2006), sia in quanto risulta inesplicata la asserita violazione, commessa nell’attività di giudizio, da parte della Corte d’appello, tanto in relazione all’art. 1 Legge Notarile (comma 1: “I notari sono ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti”; nel comma 2 sono indicate altre facoltà attribuite ai notai), quanto in relazione all’art. 138 medesima Legge (che commina le sanzioni disciplinari per determinate inosservanze di doveri professionali). Osserva il Collegio che è altresì del tutto infondata la tesi secondo cui, già alla data della stipula della seconda vendita, il criterio di ricerca “reale” aveva sostituito quello “personale” nelle ispezioni dei Registri Immobiliari: nulla al riguardo potendo desumersi dal mero richiamo al D.M. Finanze 7 settembre 1995 (“Entrata in funzione del servizio ipotecario meccanizzato di Brindisi”) che, all’art. 1, dispone “1. Il servizio meccanizzato di conservazione dei registri immobiliari e la procedura di accettazione di note redatte su supporto informatico, relativamente alla conservatoria dei registri immobiliari di Brindisi, entreranno in funzione quindici giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto”. L’argomento difensivo è tanto più incoerente ove si consideri che lo stesso ricorrente viene a riferire le innovazioni del sistema di ricerca, all’anno 1999 di istituzione della Agenzia del Territorio, senza tener conto, peraltro, come correttamente osservato dal controricorrente, che il funzionamento del sistema informatizzato dei Registri Immobiliari mediante disponibilità all’accesso da parte della utenza, venne autorizzato soltanto, molto tempo dopo, con decreto del direttore dell’Agenzia del Territorio in data 4.5.2007 (“Accesso al sistema telematico dell’Agenzia del territorio per la consultazione delle banche dati ipotecaria e catastale”), pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 2007.

Relativamente alla denuncia di violazione delle altre norme di diritto (artt. 1176,1374,2230 c.c.), il ricorrente si limita a reiterare la tesi, sostenuta nei precedenti gradi di merito, della responsabilità del notaio per inadempimento all’obbligo di effettuare le “visure ipocatastali” in occasione della seconda vendita, senza in tal modo confrontarsi con la “ratio decidendi” della sentenza impugnata. La Corte territoriale, infatti, ha accertato che la omissione non vi era stata, e che difettava del tutto sul piano del nesso eziologico la prova che la “illecita” stipula della seconda vendita fosse stata causa della perdita dell’affare che il S. intendeva concludere con un terzo, atteso che nulla avrebbe dovuto e potuto rilevare e verificare il notaio in ordine alla contraffazione del titolo di provenienza allegato dal secondo alienante: sicchè risultando valida la catena della continuità delle trascrizioni, era soltanto alla falsità del titolo di provenienza che andava ascritta interamente la efficienza causale dell’evento di danno, e non anche a negligenza del notaio il quale, nell’adempiere ai propri obblighi di verifica, non poteva che affidarsi al controllo delle formalità e delle intestazioni che risultavano dalla visura dei registri ipocatastali.

Su tale “ratio decidendi” il ricorrente nulla argomenta, dilungandosi inutilmente in un excursus della giurisprudenza di questa Corte che afferma la responsabilità del notaio in caso di omissioni od errori circa le indagini sulla libertà del bene oggetto di compravendita da pesi, oneri e formalità, salvo che le stesse parti contraenti lo abbiano espressamente esonerato dal compiere tali ricerche.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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