Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10200 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. I, 28/05/2020, (ud. 04/11/2019, dep. 28/05/2020), n.10200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32271/2018 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in Rionero in Vulture (PZ)

presso lo studio dell’avv. Ameriga Petrucci che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 137/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 19/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/11/2019 da Dott. RUSSO RITA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.- A.A. chiede la protezione internazionale, raccontando di essere fuggito dalla (OMISSIS) nel 2015, per sfuggire alle intimidazioni della confraternita degli (OMISSIS), cui apparteneva il padre; di essere stato accusato falsamente di omicidio e in seguito scarcerato per l’intervento di uno zio influente; che gli (OMISSIS) si erano forzatamente introdotti nella sua casa ed egli aveva il timore di essere costretto ad aderire alla setta.

2.- La Commissione territoriale respinge la richiesta, il Tribunale rigetta l’opposizione e la Corte territoriale con sentenza del 19.3.2018, rigetta l’appello proposto dal richiedente, affermando che il racconto della vicenda personale difetta di credibilità per la presenza di contraddizioni interne e non è coerente con le informazioni sul paese di origine (COI) tratte dal Report dell’EASO sulla diffusione ed attività delle sette in (OMISSIS); esclude quindi sia il rischio di persecuzione da parte degli appartenenti alla setta che quello di ingiusta condanna; rigetta l’appello anche per la richiesta di protezione umanitaria, osservando che non sono dimostrate le condizioni di vulnerabilità.

3.- Propone ricorso per cassazione A.A., affidandosi a tre motivi. Non si costituisce il Ministero.

Diritto

RITENUTO

CHE:

4.- Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione di legge con riferimento agli artt. 1 della Convenzione di Ginevra, 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,7,14, 16 e 17, al D.Lgs. n. 25 del 2008, sart. 8, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 del in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6 al D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 nonchè agli artt. 10,32, 2 e 32 Cost. e art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e la omessa o contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 La parte lamenta che con riferimento ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato nulla sia stato accertato in punto di fatto nè dal Tribunale nè dalla Corte di merito e che per tale ragione non sia operante la preclusione prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5. In particolare la motivazione d’appello sarebbe perplessa e obiettivamente incomprensibile e la Corte non avrebbe compiuto i dovuti approfondimenti sulla natura e sulle attività della setta degli (OMISSIS), utilizzando solo una fonte (il rapporto EASO) e fraintendendone i contenuti, perchè contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, sarebbe invece difficile e pericoloso sottrarsi alla affiliazione forzata. La Corte territoriale avrebbe poi omesso di operare i dovuti approfondimenti sulla situazione di violenza indiscriminata e assenza di controllo e di intervento da parte dei poteri statuali.

Il motivo è inammissibile.

In ordine al dedotto vizio di difetto di motivazione, si rileva che alla fattispecie si applica l’art. 360 c.p.c., n. 5 nella sua attuale formulazione, che non consente di censurare la illogicità della motivazione ma solo l’omesso esame di fatto decisivo; la domanda del ricorrente è stata respinta in primo e secondo grado, quindi si verte in un ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5. Di conseguenza, come da giurisprudenza costante di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 10897/2018 Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 5528/2014). Il ricorrente, pur affermando apoditticamente che il primo ed il secondo giudice nulla avrebbe” accertato, e che per questo la impugnazione si sottrarrebbe all’applicazione della regola di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, non ha riportato le ragioni poste a base della decisione di primo grado e di conseguenza il motivo è, sotto questo profilo, inammissibile.

Quanto alla violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, la parte, dopo avere elencato le norme che regolano la protezione internazionale nelle sue varie forme, alcune delle quali inconferenti rispetto alle richieste avanzate e alla concreta fattispecie illustrata, come ad esempio il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 (non respingimento), o il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 16 (cause di esclusione), esprime delle censure in fatto, sollecitando una inammissibile revisione del giudizio di merito reso dalla Corte d’appello, la quale ha evidenziato non solo le contraddizioni intrinseche delle dichiarazioni del ricorrente, ma anche come le COI desumibili dalle fonti più accreditate, raccolte dall’EASO, non consentano di ritenere veritiero il racconto. Generico ed inconferente è poi il richiamo alla situazione di violenza indiscriminata che si verificherebbe nel paese, senza una specifica localizzazione, senza individuare il conflitto da cui deriverebbe la violenza e operando una inappropriata sovrapposizione tra questo (presunto) rischio e il rischio (asseritamente) derivante dalla setta degli (OMISSIS), e ciò nonostante le ampie citazioni riservate alle sentenze della CGUE nella causa C-465/07 (Elgafaji) e nella causa 285-12 (Diakitè), che invece rigorosamente delimitano il perimetro del rischio da violenza indiscriminata derivante dal conflitto, ipotesi normativamente distinta (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) dal rischio di persecuzione o di danno grave da agente privato (rispettivamente artt. 7/8 e art. 14, lett. b) del D.Lgs. n. 251 del 2007 in relazione all’art. 5, lett. c) stesso D.Lgs.).

5.- Con il secondo motivo di ricorso la parte lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa incomprensibile e perplessa motivazione oltre che la violazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 15, lett. c) della Direttiva 2004/83/CE, per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria.

Il motivo è inammissibile.

Sulle ragioni di censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 si richiama quanto sopra esposto.

In ordine alla dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e della corrispondente norma nella Direttiva CE, si osserva che la parte espone una censura generica, fondata sulla apodittica affermazione che in (OMISSIS) sarebbe “acclarato” un conflitto armato interno di cui non viene precisata però nè la localizzazione (la (OMISSIS) è uno Stato federale molto vasto), nè le ragioni, nè la fonte da cui sono tratte queste informazioni. Il motivo si risolve in una stereotipata citazione, ancora una volta, delle sentenze Elgafaji e Diakitè.

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 360, n. 3 e 5 per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

Il motivo è inammissibile. Esso consiste in una stereotipata illustrazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria e nella generica deduzione che la Corte non avrebbe indagato la situazione della (OMISSIS), in ragione di una non meglio specificata vulnerabilità del richiedente.

Il ricorso, pertanto, è da dichiarare inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione del Ministero.

Il richiedente non risulta ammesso al patrocinio a spese dello Stato e pertanto è tenuto al versamento del contributo unificato, come previsto dal combinato disposto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 11 e 131 e, di conseguenza, pure dell’ulteriore importo di cui all’art. 13, comma 1- quater decreto citato (cfr. Cass. 7368/2017; Cass. n. 32319/2018), se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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