Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10198 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. III, 16/04/2021, (ud. 12/10/2020, dep. 16/04/2021), n.10198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29306-2019 proposto da:

O.N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo

studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso

dall’avvocato NAZZARENA ZORZELLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 815/2019 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA,

depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/10/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

O.M.A., cittadino della (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di subire ritorsioni o violenze per motivi di carattere politico;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento O.M.A. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Bologna che ne ha disposto il rigetto con ordinanza del 23/11/2017;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza in data 12/3/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) della mancata corrispondenza delle ragioni di fuga del ricorrente dal paese di origine con i presupposti di legittimazione della protezione internazionale rivendicata; 2) del carattere sostanzialmente personale delle ragioni della fuga del ricorrente dal paese di origine; 3) della parziale contraddittorietà del relativo racconto; 4) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da O.M.A. con ricorso fondato su tre motivi;

il Ministero dell’Interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

col primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere la corte territoriale erroneamente condotto la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente nel corso del giudizio, concludendo nel senso della relativa non credibilità, in contrasto con le valutazioni espresse dalla Commissione territoriale e dal giudice di primo grado senza sottoporre detta questione al legittimo contraddittorio delle parti, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2;

con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e per omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere la corte territoriale disatteso la domanda diretta al riconoscimento della protezione sussidiaria sulla base di un erroneo e travisato esame delle complessive dichiarazioni del richiedente, non ravvisando la rilevanza dell’attivismo politico esercitato dal ricorrente e i pericoli connessi al proprio reinserimento in ragione delle inimicizie degli avversari politici;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati;

dev’essere preliminarmente rilevata l’erroneità della prospettazione dell’odierno ricorrente nella parte in cui afferma il carattere di eccezione in senso proprio della questione concernente il tema della credibilità del dichiarante, trattandosi, al contrario, dell’applicazione di criteri di valutazione di una fonte di prova certamente applicabili d’ufficio dal giudice di merito;

parimenti priva di fondamento deve ritenersi la questione concernente la contestata violazione del principio del contraddittorio con riguardo alla mancata sottoposizione, alla discussione delle parti, del tema dell’attendibilità del dichiarante, nella specie asseritamente rivalutato dalla corte d’appello con esiti diversi rispetto a quelli fatti propri giudice di primo grado (oltre che dalla commissione territoriale competente);

osserva al riguardo il Collegio come la corte territoriale abbia disatteso le domande di riconoscimento delle protezioni internazionali tipiche avanzate dal ricorrente, non già sulla base di una rivalutazione della credibilità dell’odierno istante in termini diversi da quelli fatti propri dalla commissione territoriale o dal giudice di primo grado (così introducendo, secondo l’infondata prospettazione critica del ricorrente, un tema processuale irritualmente sottratto al contraddittorio delle parti), bensì in forza della stessa lettura operata dai giudici di prima istanza, inclini a escludere che l’odierno istante avesse effettivamente svolto, nel paese di provenienza, un’attività politica suscettibile di generare quelle ostilità indicate dal richiedente come incompatibili con un rimpatrio privo di rischi;

al riguardo, varrà sottolineare come la corte territoriale abbia significativamente riportato quanto esplicitamente dichiarato dal ricorrente con riguardo all’attività svolta in occasione della campagna elettorale del 2010, ossia di aver “accettato questo lavoro solo per pagarmi i materiali per la mia attività, non perchè fossi un sostenitore di (OMISSIS). Non avevo nemmeno la tessera elettorale, perciò non potevo votare” (pag. 5 della sentenza impugnata);

proprio sulla base di tali premesse, la corte territoriale ha evidenziato come lo stesso tribunale avesse raggiunto la conclusione secondo cui, nell’ambito delle attività svolte dal ricorrente nell’occasione elettorale dedotta in giudizio, il relativo ruolo dovesse considerarsi “del tutto marginale e non certamente politico” (pag. 6 della sentenza impugnata);

ciò posto, in modo coerentemente consequenziale la corte territoriale ha escluso che le paventate inimicizie politiche dedotte dal ricorrente valessero a integrare gli estremi per la configurazione di un effettivo rischio per la propria incolumità personale (rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14), sottolineando come le stesse aggressioni subite da parte dello zio (e puntualmente descritte in motivazione) non superassero i limiti di un conflitto privato o familiare, in relazione al quale nessuna allegazione è stata offerta, da parte del ricorrente, circa l’eventuale incapacità, o mancanza di volontà, da parte delle autorità del proprio paese, di assicurarne tutela;

quanto, in generale, alle modalità attraverso le quali la corte territoriale ha proceduto all’esame delle dichiarazioni rese nel corso del giudizio dall’odierno istante, varrà in ogni caso osservare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

detta valutazione di credibilità deve ritenersi altresì censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);

nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo articolato nel provvedimento impugnato, varrà considerare come il ricorrente abbia propriamente omesso di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte della corte territoriale, delle occorrenze di fatto asseritamente dalla stessa trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;

osserva il Collegio, al riguardo, come, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità, dovendo in ogni caso ritenersi che la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo giudice a quo dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili al racconto dell’odierno ricorrente e del grado della relativa attendibilità in conformità ai parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge ed omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la domanda diretta al riconoscimento della protezione umanitaria, ignorando i rischi connessi all’esercizio, da parte del ricorrente, del diritto fondamentale alla manifestazione del pensiero una volta reinserito nel proprio paese di origine, senza neppure considerare la propria storia personale e i termini del proprio processo di integrazione economica e sociale in Italia puntualmente documentati nel corso del giudizio;

il motivo è fondato;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02);

peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver totalmente ignorato la ricostruzione della storia di vita del ricorrente e i termini del relativo processo di integrazione nel tessuto economico-sociale del nostro paese, si è inammissibilmente limitato ad affermare, in termini apodittici, l’inesistenza di alcuno stato di vulnerabilità che impedisca l’allontanamento del ricorrente dall’Italia, trascurando totalmente di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. ‘minimo costituzionalè, dovendo per ciò stesso qualificarsi, secondo quanto contestato dall’odierno istante, alla stregua di una motivazione meramente apparente;

sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del terzo motivo (disattesi i primi due), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo; rigetta il primo e il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 12 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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