Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10197 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. III, 16/04/2021, (ud. 08/10/2020, dep. 16/04/2021), n.10197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 35279-2018 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

FABIO TRALDI, in Lecce, Viale Michele De Pietro 11, dal quale è

rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dall’Avv. DANIELA

GEMMA ADAMI;

– ricorrente –

contro

S.V., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

BERNARDINO PASANISI, in Taranto, Corso Umberto 129, dal quale è

rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 174 della CORTE D’APPELLO DI BARI – SEZIONE

DISTACCATA di TARANTO -, depositata il 23/4/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’8/10/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 23/4/2018 la Corte d’Appello di Lecce ha respinto il gravame interposto dal sig. A.M. in relazione alla pronunzia Trib. Taranto n. 3233 del 2014, di rigetto della domanda proposta nei confronti del sig. S.V. di cancellazione dell’ipoteca (presso l’Agenzia del Territorio – Ufficio Provinciale di Taranto -) dal medesimo iscritta su beni di sua proprietà ex art. 2818 c.c., in forza di sentenza di condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del contratto preliminare di compravendita, rogato nella sua qualità di notaio, di bene immobile successivamente oggetto di rivendica da parte dei sigg. M.A. ed altri, giusta contratto a rogito Notaio Sc.Gi. stipulato il precedente 30/3/1984.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito l’ A. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il S..

Con conclusioni scritte del 1/10/2020 il P.G. presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 2818 c.c., relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che ai fini dell’iscrizione ipotecaria è necessaria una sentenza di condanna, e tale invero non è quella come nella specie integrata da una condanna generica condizionata al “passaggio in giudicato di altra sentenza, fra altre parti”.

Lamenta che “una sentenza di condanna al risarcimento dei danni che rimandi la liquidazione degli stessi all’esito di un separato giudizio (ipotesi questa espressamente prevista dall’art. 2818 c.c.) è un provvedimento ontologicamente distinto da una sentenza la cui efficacia sia condizionata dall’esito di altro giudizio”, sicchè affermare “che il subordinamento dell’efficacia della sentenza costituisca un elemento accessorio e incidentale della sentenza, al pari della condizione sospensiva che accompagna l’esigibilità di un diritto di credito, non incidendo sulla sua natura di titolo idoneo ex art. 2818 c.c., corrisponde ad una interpretazione superficiale ed errata della suddetta norma e del principio di tassatività che la governa”.

Si duole non essersi dalla corte di merito diversamente considerato che “la figura che, per certi aspetti più potrebbe avvicinarsi alla sentenza in parola è quella della c.d. “sentenza condizionale”, vale a dire quella che si riferisce ad un credito attuale, ma la condanna al cui pagamento sia condizionata all’avveramento di una condizione”.

Lamenta che la “condizione sospensiva che accompagna l’esigibilità di un diritto di credito” e la “c.d. “sentenza condizionale”” sono “figure tuttavia non… assimilabili, se sol si consideri che la sentenza di cui si verte non contempla una condanna ad un credito determinato nel suo ammontare, ma futuro (sentenza condizionale appunto)”, recando “una condanna al pagamento di una somma non determinata (da liquidarsi in separato giudizio) e, oltretutto, priva di effetto perchè condizionata all’avveramento di una condizione”, sicchè “anche qualora si volesse assimilare la sentenza del tribunale di Taranto ad una sentenza c.d. “condizionale”, essa comunque non costituirebbe valido titolo per l’iscrizione ipotecaria ex art. 2818 c.c., in quanto, proprio perchè insuscettibile di produrre effetti all’avveramento della condizione, non può dirsi una sentenza di condanna nel senso voluto dalla norma”.

Con il 2 motivo denunzia violazione degli artt. 2818,2821 c.c., relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia operato un’assimilazione dell’ipoteca giudiziale ex art. 2818 c.c. con quella volontaria ex art. 2821 c.c., laddove trattasi di ipotesi diverse e non paragonabili.

Con il 3 motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che la corte di merito non abbia pronunziato in ordine alla richiesta di condanna di controparte al risarcimento dei danni subiti, non solo patrimoniale, ma anche per l'”esistenza di un danno al buon nome, alla riservatezza ed all’immagine del proprietario, odierno ricorrente”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che essi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto di citazione del 03/11/2001″, al contratto “preliminare del 14/11/1983, poi modificato il 18/02/1984″, all'”atto rogato dal Notaio Dott. A.M. in data 13/12/1994″, all'”atto di citazione notificatogli il 28/03/2000″, alla sentenza del giudice di prime cure”, all’iscrizione d'”ipoteca giudiziale ex art. 2818 c.c…. (formalità n. 15923 reg. generale e n. 3396 reg. particolare) (ved. All. 2 al sottofascicolo)”, al proprio atto di appello) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

L’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono pertanto dall’odierno ricorrente non idoneamente censurati.

E’ al riguardo appena il caso di osservare, avuto in particolare riguardo al 3 motivo, come questa Corte abbia già avuto più volte modo di precisare (v., relativamente dell’error in procedendo ex art. 112 c.p.c., Cass., 2/12/2020, n. 27562; Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978; con particolare riferimento all’ipotesi della revocazione ex art. 391 bis c.p.c., Cass., 8/7/2020, n. 14244; Cass., 28/7/2017, n. 1885) che il requisito ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, va sempre osservato, anche allorquando la Corte di legittimità diviene giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta infatti pur sempre l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando questa sia stata accertata diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, più recentemente, Cass., 24/3/20.16, n. 5934, Cass., 17/2/2017, n. 4288 e Cass., 3/10/2019, n. 24648).

Essi rilevano infatti ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Senza sottacersi che la doglianza ivi contemplata nemmeno si correla alla pronunzia impugnata, essendo stata la domanda rigettata nel doppio grado di merito, sicchè risulta incomprensibile ed integrante in realtà un inammissibile “non motivo” (cfr. Cass., 14/2/2019, n. 4296; Cass., 8/3/2018, n. 5541; Cass., 21/6/2017, n. 15350; Cass., 8/7/2016, n. 1274; Cass., 8/7/2014, n. 15475; Cass., 1/10/2012, n. 17318; Cass., 17/1/2012, n. 537).

Quanto al merito, va ulteriormente osservato quanto segue.

L’ipoteca giudiziale sui beni del debitore, che va distinta da quella legale, trova titolo in ogni provvedimento giudiziale di condanna al pagamento di una somma o all’adempimento di altra obbligazione o al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente (art. 2818 c.c.), ed è volta – come posto in rilievo in dottrina – a salvaguardare l’autorità della sentenza, evitando che il comando giudiziale possa risultare dal debitore vanificato mediante la dismissione dei propri beni o l’assunzione di nuovi debiti.

L’istituto dell’iscrizione di ipoteca giudiziale su beni del debitore è governato dai principi propri della specificità – soggettiva e oggettiva – dell’ipoteca e della determinatezza della garanzia.

Mentre la specialità oggettiva attiene all’oggetto vincolato (art. 2809 c.c., comma 1), la specialità soggettiva dell’ipoteca indica che, per la validità del vincolo ipotecario, sono necessarie l’individuazione del credito garantito e la specificazione della somma dovuta; essa è un naturale completamento del principio della determinatezza della garanzia e sta a significare che la legge non consente al creditore di estendere il vincolo ipotecario a un credito diverso da quello garantito, essendo l’ipoteca, per sua natura, connotata dall’accessorietà, che ne denota la mancanza di autonomia rispetto all’obbligazione garantita e si sostanzia anche in un rigido meccanismo di pubblicità legale (v. Cass., 6/11/2006, n. 23669).

La specialità dell’ipoteca (che può essere concessa e iscritta soltanto per un determinato credito) attiene tuttavia non già al contenuto del credito, ma al titolo dell’obbligazione e al titolo costitutivo dell’ipoteca, quest’ultimo dovendo contenere l’indicazione a) della fonte (cioè, appunto, del titolo dell’obbligazione), b) dei soggetti e c) della prestazione quali elementi di individuazione del credito, sì da assicurarne l’originaria determinatezza, presupposto fondamentale della fattispecie ipotecaria; deve pertanto escludersi la possibilità di un’ipoteca per crediti futuri, determinata unicamente in relazione ai soggetti del rapporto, e ammettersi, a norma dell’art. 2852 c.c., la costituzione di ipoteca per crediti eventuali che possano nascere in dipendenza di un rapporto già esistente, dovendo però in tal caso il titolo indicare gli estremi idonei ad individuare “il rapporto già esistente” dal quale il credito può nascere (v. Cass., 3/4/2000, n. 3997).

Questa Corte Suprema ha già avuto modo di affermare che dalla disposizione di cui all’art. 2852 c.c. (che, ammettendo la costituzione di ipoteca anche per crediti soltanto eventuali, richiede tuttavia che si tratti di crediti che possano nascere in dipendenza di un rapporto già esistente), si può dedurre non solo l’esclusione della possibilità di un’ipoteca per crediti futuri determinata unicamente in relazione ai soggetti del rapporto, ma anche la necessità che del “rapporto esistente”) da cui può nascere il credito che legittima l’iscrizione, debbano essere indicati nel titolo egli estremi sufficienti ad individuarlo.

La necessità della determinatezza del credito e non della sua mera determinabilità (la specialità dell’ipoteca quanto al credito e non solo quanto ai beni) nasce dall’essenza stessa dell’ipoteca, che vincola un bene e lo segue nei suoi trasferimenti da un soggetto all’altro, per cui lo stabilire in modo certo e preciso, nel momento in cui il diritto reale di garanzia sorge, quale sia il credito da esso garantito, è un’esigenza da realizzare nell’interesse sia della circolazione dei beni, sia della tutela del terzo acquirente (v. già Cass., 24/2/1975, n. 686).

Si è al riguardo precisato che in tal senso depone la considerazione che, per un verso, alle condizioni previste dall’art. 2855 c.c. la garanzia ipotecaria può addirittura farsi valere per un credito maggiore di quello risultante dalla somma limite indicata nella nota; e, per altro verso, entro questo limite, sono ricomprese tutte le obbligazioni – principali ed accessorie, risultanti da un determinato rapporto, anche quelle a carattere non sinallagmatico (v. Cass., 27/8/2014, n. 18325).

A tale stregua, deve pertanto conseguentemente trarsene che la somma determinata per la quale l’ipoteca è iscritta segna il limite della garanzia, cioè il limite oltre il quale non opera più il diritto di prelazione, non identificandosi invero la garanzia con l’importo del credito garantito, dal quale va tenuta distinta (v. Cass., 27/8/2014, n. 18325).

Il principio di determinatezza del credito garantito ex art. 2809 c.c. attiene infatti all’individuazione del contenuto sostanziale del credito (“la somma determinata in denaro”) per il quale la garanzia reale viene concessa, relativo all’obbligazione restitutoria del mandatario avente ad oggetto il capitale maturato e gli interessi (v. Cass., 27/8/2014, n. 18325).

Se pertanto deve escludersi la possibilità di un’ipoteca per crediti futuri, che non abbia cioè fondamento in un rapporto già in essere e risulti determinata unicamente in relazione ai soggetti del rapporto (v. Cass., 27/8/2014, n. 18325; Cass., 23/3/1994, n. 2786; Cass., 3/4/2000, n. 3997. Con riferimento a fideiussione per c.d. crediti di firma v. già Cass., 24/2/1975, n. 686. Cfr. altresì Cass., 18/2/2015, n. 3221), a norma dell’art. 2852 c.c. (secondo cui l’ipoteca prende grado dal momento della sua iscrizione, anche se questa si riferisce a crediti condizionali o a crediti che possano nascere in dipendenza di un rapporto già esistente) la costituzione d’ipoteca è ben ammissibile (anche) per crediti eventuali, insorgenti cioè in dipendenza di un rapporto già esistente di cui il titolo individui gli estremi (v. Cass., 27/8/2014, n. 18325; Cass., 31/8/2011, n. 17886; Cass., 2/3/2001, n. 3041; Cass., 3/4/2000, n. 3997; Cass., 23/3/1994, n. 2786; Cass., 24/2/1975, n. 686), come in caso di contratto condizionato (v. Cass., 12/11/2013, n. 25412; Cass., 19/6/2008, n. 16621; Cass., 11/1/2006, n. 264; Cass., 1/10/2004, n. 19657).

L’apprezzamento della sussistenza dell’esistenza e dell’individuabilità del credito garantito rientra nei poteri riservati al giudice del merito (v. Cass., 18/2/2015, n. 3221).

Deve quindi affermarsi che in base al combinato disposto di cui all’art. 2818 c.c., comma 1 e art. 2852 c.c. è sufficiente anche una sentenza (o ordinanza) come nella specie di condanna generica al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede, pur se sospensivamente condizionata, in tal caso il credito essendo già attuale in quanto accertato dalla sentenza che ha riconosciuto l’esistenza attuale del diritto di ottenere -e del corrispondente obbligo di eseguire – una prestazione determinata, e la contemplata condizione (nella specie, il “passaggio in giudicato di altra sentenza, fra altre parti”), il cui avveramento si presenta differito ed incerto (nel quando) attenendo invero solo alla relativa efficacia (cfr. Cass., 1/10/2004, n. 19657).

In altri termini, il diritto di credito al risarcimento del danno oggetto della pronunzia di condanna generica condizionata in argomento risulta già attualmente accertato e la seconda valida, ancorchè inefficace, la relativa efficacia dipendendo da evento futuro certus an ed incertus quando (il “passaggio in giudicato di altra sentenza, fra altre parti”).

A tale stregua, i requisiti di determinatezza del credito garantito ex art. 2809 c.c. sono nella specie sussistenti in ragione del richiamo al capo della sentenza contenente la condanna condizionata integrante anche il titolo dell’ipoteca giudiziale in esame.

L’esecutività della sentenza è tuttavia istituto altro e diverso dalla determinatezza del credito garantito, che ha fonte nella legge.

Atteso che la c.d. sentenza condizionale o condizionata, che subordina l’efficacia della condanna ad un evento futuro ed incerto, è ammessa nell’ordinamento giuridico italiano, poichè, oltre a rispondere ad esigenze di economia di giudizi, non pone affatto in essere una condanna da valere per il futuro, ma accerta l’esistenza attuale dell’obbligo di eseguire una determinata prestazione e il condizionamento, del pari attuale, di tale obbligo a una circostanza il cui avveramento, da accertarsi in sede esecutiva senza bisogno di ulteriori indagini di merito, fa sì che la sentenza acquisti efficacia di titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile, ai sensi dell’art. 474 c.p.c. (v. Cass., 22/12/1986, n. 7841Cass., 7/12/1982, n. 6667; Cass., 27/11/1979, n. 6239, ove si e ritenuto che costituisca titolo esecutivo la sentenza di condanna, la cui efficacia sia subordinata alla mera constatazione della omessa esecuzione di una costruzione nel termine stabilito; Cass., 19/1/1977, n. 265; Cass., 23/11/1974, n. 3796), come osservato dal P.G. nelle proprie conclusioni scritte la sentenza condizionale di condanna generica de qua (da definirsi più propriamente sentenza condizionale “impropria”, atteso che “è il diritto accertato ad essere condizionato e non l’accertamento”), pur essendo ex art. 178 c.p.c. e art. 2818 c.c. idonea a consentire l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale (che prende grado da tale originaria iscrizione, e non già dalla successiva annotazione, invero meramente accessoria: cfr., con riferimento all’iscrizione di ipoteca volontaria per credito futuro condizionato, Cass., 24/2/2004, n. 3613, e, conformemente, Cass., 11/1/2017, n. 506) sui beni del debitore, allo stato non costituisce invero titolo idoneo per l’esecuzione forzata, non contemplando l’indicazione della prestazione in concreto dovuta.

A tale stregua, la domanda nella specie originariamente proposta dall’odierno ricorrente di cancellazione dell’ipoteca iscritta da controparte ex art. 2818 c.c. si profila in realtà come volta ad ottenere un inammissibile accertamento negativo in prevenzione rispetto all’accertamento relativo all’avveramento della condizione ad opera di controparte, ovvero alla promovenda azione esecutiva da parte del medesimo, subordinata alla mera constatazione del “passaggio in giudicato di altra sentenza, fra altre parti”.

Ne consegue l’infondatezza, anche sotto tale profilo, della censura mossa al 1 e al 2 motivo di ricorso.

Orbene, nel puntualmente richiamare i precedenti di questa Corte di legittimità del suindicato principio la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.

E’ rimasto nella specie accertato che l’odierno controricorrente ha iscritto ipoteca sui beni dell’odierno ricorrente ex art. 2818 c.c. in forza di sentenza di condanna generica di quest’ultimo alla corresponsione di somma a titolo risarcimento dei danni dal primo subiti in conseguenza della stipulazione a rogito dell’ A., nella sua qualità di notaio, di contratto preliminare di compravendita, con contratto definitivo successivamente stipulato nel 1994, di immobile oggetto di rivendica vittoriosamente esperita dai sigg. M.A. ed altri, giusta contratto a rogito Notaio Sc.Gi. anteriormente stipulato in data 30/3/1984.

Condanna al pagamento di somma da liquidarsi in separato giudizio e condizionata all’esito di altro giudizio, tra altre parti.

La domanda originariamente proposta dall’odierno ricorrente nei confronti dell’odierno controricorrente di cancellazione dell’iscrizione ipotecaria (presso l’Agenzia del Territorio – Ufficio Provinciale di Taranto -) effettuata su beni di sua proprietà è stata rigettata nei due gradi di merito.

Nell’impugnata sentenza la corte di merito, dopo aver premesso che “ferma la natura di accertamento del primo capo della sentenza della responsabilità del notaio A. dei danni derivanti dalla rivendicazione del fondo da parte di terzi, il secondo contenga una condanna generica al pagamento di somme, per risarcimento dei danni, la cui esistenza è stata ritenuta in re ipsa (cfr. motivazione, pag. 7. sent. 1047/10), accertande in separato giudizio, condizionata al passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento della domanda di rivendicazione nei confronti del S.”, ha in particolare posto in rilievo come “la detta sentenza sarebbe stata inidonea a far sorgere un diritto di credito futuro ed eventuale solo se si fosse limitata ad accertare la responsabilità del notaio. Senza far conseguire all’accertamento la condanna generica al risarcimento dei danni, che in quanto tale deve ritenersi fonte di un credito futuro ed eventuale in ragione della circostanza che il giudice di primo grado ha ritenuto provata l’esistenza dei danni, rimandando ad altro giudizio…per la loro quantificazione”.

Ha quindi sottolineato, facendo espressamente richiamo ai precedenti di questa Corte costituiti dalle suindicate sentenze Cass. n. 3997 del 2000 e Cass. n. 18325 del 2014, che “la subordinazione dell’efficacia dei capi di accertamento e di condanna sopra esaminati al passaggio in giudicato di altra sentenza si configura come condizione sospensiva del riconoscimento di un credito, avente fonte diversa da quella contrattuale o legale; il subordinamento dell’efficacia di una sentenza alla condizione sospensiva del verificarsi di un evento futuro e incerto (il cui avveramento non richieda ulteriori accertamenti di merito e altre indagini se non quella che esso si sia verificato) si atteggia allo stesso modo della sospensione condizionale di un diritto di credito, avente fonte diversa da quella che, per soddisfare il requisito della specialità in riferimento al credito garantito, contenga l’indicazione dei soggetti. Della fonte e della prestazione che individuano il credito eventuale, così da assicurare la sua originaria determinatezza, presupposto necessario della fattispecie ipotecaria, mentre deve escludersi la possibilità di ipoteca per un debito futuro, determinato unicamente in relazione ai soggetti”.

Ha ulteriormente osservato come “i predetti requisiti” siano “agevolmente individuabili nella specie, facendo riferimento il primo capo della sentenza alla fonte dell’obbligazione generica di risarcire i danni, accertandi in altro giudizio, e il secondo capo alla condanna relativa”, sicchè non trattasi di crediti futuri; e ha escluso per altro verso che “la genericità della condanna” possa “essere considerata di ostacolo all’iscrizione ipotecaria”, al riguardo sottolineando che “l’art. 2838 c.c., in assenza di determinazione nel titolo della somma in base alla quale è eseguita l’iscrizione ipotecaria, lascia al creditore la facoltà della stessa, la quale, al fine di evitare abusi del predetto, trova limite in quella del debitore di chiederne la riduzione ai sensi dell’art. 2872 c.c. e succ., non esercitata dall’ A. nel presente giudizio neppure in via subordinata”.

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente S., seguono la soccombenza. Segue il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente S..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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