Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10196 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/04/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 16/04/2021), n.10196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11244-2019 proposto da:

A.G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIO

FASCETTI n. 5, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CAPOROSSI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIULIO BERNINI;

– ricorrente –

contro

P.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DELL’EMPORIO n. 16/A, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

GUIZZI, rappresentato e difeso dagli avvocati MASSIMO MINIATI PAOLI

e JACOPO DI MARCO;

– controricorrente –

SQ5avverso la sentenza n. 185/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 28/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione ritualmente notificato A.G.M. evocava in giudizio P.E. innanzi il Tribunale di Firenze, invocando l’accertamento dell’inadempimento della convenuta agli obblighi nascenti a suo carico dal contratto preliminare di compravendita immobiliare sottoscritto in data 25.11.2008, in forza del quale l’attrice si era impegnata ad acquistare, e la convenuta a vendere, un immobile sito in Firenze. L’ A. chiedeva quindi dichiararsi legittimo il recesso da lei esercitato dal predetto preliminare e condannarsi la promittente venditrice al pagamento del doppio della caparra ricevuta alla firma del preliminare di cui è causa.

Si costituiva in giudizio la P., resistendo alla domanda e spiegando domanda riconvenzionale per l’accertamento della legittimità del recesso dal contratto preliminare da lei esercitato, con conseguente diritto a trattenere la caparra a suo tempo ricevuta dalla promissaria acquirente.

Con sentenza n. 1960/2014 il Tribunale di Firenze accoglieva la domanda principale condannando la P. al pagamento del doppio della caparra ed alle spese del grado.

Interponeva appello la P. e si costituiva in seconde cure la A. per resistere al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 185/2019, la Corte di Appello di Firenze accoglieva l’impugnazione, rigettando la domanda originariamente proposta dalla A., che condannava alle spese del doppio grado di giudizio.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione A.G.M. affidandosi a cinque motivi.

Resiste con controricorso P.E..

Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1476,1477,1218,1385 e 1460 c.c., perchè la Corte di Appello non avrebbe considerato che la CTU esperita nel giudizio di prime cure evidenziava che l’immobile aveva alcuni difetti, tra cui la mancanza di certificato di abitabilità, tali da legittimare il recesso della promissaria acquirente.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli art. 1176,1218 e 1460 c.c., perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto considerare che il rifiuto di stipulare il rogito definitivo di compravendita, opposto dalla ricorrente, era motivato dalla mancanza del certificato di abitabilità del bene.

Le due censure, che meritano una trattazione congiunta, sono inammissibili.

Va infatti considerato che la Corte di Appello ha ritenuto, all’esito di un apprezzamento comparativo dei comportamenti tenuti dalle parti, di maggior rilevanza l’inadempimento della promissaria acquirente A., che aveva omesso di versare la seconda rata di prezzo prevista dal contratto preliminare di cui è causa. A tale conclusione la Corte distrettuale è pervenuta osservando che l’importo della rata non onorata dalla A. corrispondeva ad un terzo del prezzo complessivamente pattuito per la vendita del bene immobile compromesso; che il saldo di detta rata di prezzo non era collegato, nel contratto, al raggiungimento di un determinato stato di avanzamento dei lavori di ristrutturazione del cespite; ed infine, che l’istruttoria aveva dimostrato che le opere, effettivamente ancora non ultimate all’inizio di giugno 2009, avrebbero tuttavia potuto essere completate in meno di due mesi, entro la fine di luglio dello stesso anno (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

La Corte territoriale ha inoltre valorizzato il fatto che mentre la P., promittente venditrice, aveva esercitato il recesso dal preliminare alla fine di luglio 2009, la A., promissaria acquirente, aveva atteso oltre un anno e mezzo prima di comunicare il proprio recesso dal contratto predetto (cfr. ancora pag. 4).

Occorre ribadire che “In materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive ai sensi dell’art. 1455 c.c. costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14974 del 28/06/2006, Rv. 593040; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6401 del 30/03/2015, Rv. 634986; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 12182 del 22/06/2020, Rv. 658455).

Il medesimo principio vale nel caso in cui ciascuna parte eserciti il diritto di recedere dal contratto, a cagione dell’allegato inadempimento dell’altra parte, posto che “La disciplina dettata dall’art. 1385 c.c., comma 2, in tema di recesso per inadempimento nell’ipotesi in cui sia stata prestata una caparra confirmatoria, non deroga affatto alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento, consentendo il recesso di una parte solo quando l’inadempimento della controparte sia colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente. Pertanto, nell’indagine sull’inadempienza contrattuale da compiersi al fine di stabilire se ed a chi spetti il diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, nel senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l’interesse dell’altro al mantenimento del negozio” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 12549 del 10/05/2019, Rv. 653912; coni. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21206 del 08/08/2019, Rv. 655199).

Dalle esposte considerazioni consegue che il primo ed il secondo motivo proposti dalla ricorrente non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata. Il giudice di merito, infatti, ha accolto l’appello della P. – e rigettato, quindi, la domanda ab origine spiegata dalla A. – sul presupposto della maggior rilevanza del mancato pagamento, da parte della A., della seconda rata di prezzo, rispetto all’omesso rispetto dei tempi previsti per l’ultimazione delle opere.

La Corte territoriale, infatti, ha dato atto che nel momento in cui la A. aveva manifestato il proprio disinteresse all’acquisto del bene (giugno 2009) la promittente venditrice P. doveva ancora ultimare alcuni lavori sull’immobile, il che implica che esso non fosse ancora stato ultimato; ha poi ritenuto che il completamento potesse essere assicurato entro fine luglio 2009, ovverosia in meno di due mesi; ed ha evidenziato che il progetto allegato al contratto preliminare corrispondeva a quello oggetto della precedente D.I.A. e che la P. non aveva mai chiesto alcuna variante in corso d’opera. In tale valutazione è implicita l’esclusione di vizi, non essendo stato l’immobile ultimato, nè consegnato, ed avendo il giudice di merito accertato, in punto di fatto, che le opere ancora non eseguite potevano essere completate in un breve lasso temporale. Allo stesso modo, è implicito il giudizio di irrilevanza della mancanza del certificato di abitabilità, posto che quest’ultimo può essere richiesto e rilasciato soltanto dopo la conclusione delle opere.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1457,1476,1477,1455 e 1362 c.c., perchè la Corte di appello avrebbe erroneamente interpretato il contenuto del contratto preliminare sottoscritto tra le parti, ritenendo non essenziale il termine previsto per l’ultimazione dei lavori da eseguire, a cura della promittente venditrice, sul manufatto oggetto della programmata alienazione, ma essenziale, invece, il diverso termine previsto, a carico di parte promissaria acquirente, per il pagamento del secondo acconto di prezzo.

Anche questa censura è inammissibile, posto che l’apprezzamento circa la natura, perentoria o meno, dei termini previsti nel contratto si risolve in un giudizio di fatto, fondato sull’individuazione dell’effettiva volontà delle parti e finalizzato a considerare l’importanza del termine, e del suo rispetto, nell’ambito della complessiva economia del negozio giuridico al quale esso accede. Nello svolgimento di tale giudizio, peraltro, il giudice di merito può anche utilizzare un metro di valutazione disomogeneo, tutte le volte che, di fronte a contrapposti inadempimenti, ritenga di maggior rilievo, nell’ambito della generale economia del negozio e tenuto conto dell’interesse delle parti stipulanti, il mancato rispetto di un determinato termine, rispetto ad un altro. Ciò comporta che la doglianza in esame attinga proprio la valutazione operata dalla Corte toscana circa la prevalenza dell’inadempimento della promissaria acquirente, e quindi un apprezzamento di fatto non suscettibile di costituire oggetto di istanza di revisione in questa sede (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Nè, sotto altro profilo, può ammettersi una doglianza con la quale si proponga una lettura ed una ricostruzione alternativa delle risultanze istruttorie e degli elementi fattuali acquisiti al processo, rispetto a quella scelta dal giudice di merito, laddove risultino dalla decisione impugnata -come nel caso di specie- le ragioni del convincimento del giudice di merito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).

Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1321 e 1326 c.c., perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere giustificato il rifiuto di rogitare opposto dalla promissaria acquirente, a fronte della mancanza del certificato di abitabilità del bene. A fronte di tale carenza, non sarebbe decisiva la circostanza – valorizzata invece dalla Corte distrettuale per pervenire al verdetto di rigetto della domanda proposta dalla A. – che quest’ultima abbia ammesso, in sede di interrogatorio, di non aver più voluto comprare l’immobile poichè il figlio aveva cambiato idea ed aveva deciso di vivere altrove.

Anche questa doglianza è inammissibile, poichè la Corte di Appello non ha accolto l’appello della P. a fronte del ripensamento della A., bensì alla luce del già evidenziato giudizio di maggior gravità del mancato pagamento, da parte di costei, della seconda rata di prezzo nel termine all’uopo contrattualmente stabilito. Rispetto a tale ratio decidendi, la successiva evidenziazione del predetto ripensamento della promissaria acquirente – contenuta a pag. 5 della sentenza impugnata – non riveste alcuna decisività.

Con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1326,1362,1218 e 1385 c.c., perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto ingiustificato il rifiuto della ricorrente di rogitare, a fronte della disponibilità della promittente venditrice di vincolare parte del prezzo a garanzia dell’ultimazione delle opere ancora da completare.

Anche questa censura è inammissibile, perchè essa, come del resto già quelle proposte con il primo ed il secondo motivo, attinge direttamente il giudizio di merito operato dalla Corte toscana in punto di gravità dell’inadempimento.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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