Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10194 del 19/05/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10194 Anno 2015
Presidente: LUCCIOLI MARIA GABRIELLA
Relatore: DI VIRGILIO ROSA MARIA

SENTENZA

sul ricorso 2728-2012 proposto da:
CARMENI GIUSEPPE LUIGI

(c.f. CRMGPP62D27D122N),

CARMENI ANGELA (c. f. CRMNGL64P54D122V), CARMENI
PAOLA (c.f. CRMPLA66D45D122K), CARMENI FILIPPO (c.f.

Data pubblicazione: 19/05/2015

CRMFPP68D23D122I), sia nella qualità di eredi con
beneficio di inventario di CARMENI MERCURIO e MARIA
2015
531

MORACE – vedova CARMENI, sia nella qualità di
titolari della cessata ditta F.LLI CARMENI DI MARIA
MORACE & C. (già F.11i Carmeni degli eredi di
Carmeni Mercurio), e sia personalmente in proprio,

1

elettivamente domiciliati 1_11 ROMA, VIA DELLE FOSSE
DI CASTELLO 6, presso la dott.ssa ANGELA CARMENI,
rappresentati e difesi dagli avvocati FABRIZIO
GALLO, VINCENZO MARIA CIZZA, giusta procura in calce
al ricorso e procura speciale per Notaio dott.ssa

12.3.2015;

ricorrenti

CHIARENZA FRANCESCO, nella qualità di erede con
beneficio di inventario di CARMENI MARIA, e
CHIARENZA GIUSEPPE, in nome proprio, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA AGRI 3, presso l’avvocato
IGNAZIO MORMINO, che li rappresenta e difende,
giusta procura in calce al controricorso;
controricorrenti contro

CHIARENZA ANGELA;

intimata

avverso la sentenza n. 1676/2010 della CORTE

MARIA RAFFAELLA D’ETTORRE di ROMA – Rep.n. 8885 del

D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/03/2015 dal Consigliere Dott. ROSA
MARIA DI VIRGILIO;
udito, per i controricorrenti, l’Avvocato MORMINO
IGNAZIO che ha chiesto: inammissibia-ùrigetto del

2

ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per

l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.

.

e

,

.•

,.

3

Svolgimento del processo
Carmeni Giuseppe Luigi,

Angela,

Paola%

e Filippo

Carmeni,premesso di essere titolari della ditta fkatelli
Carmeni di Morace Maria e c. s.a.s., chiedevano la condanna

custode giudiziario dell’azienda, al risarcimento dei
danni, nella somma di lire 1.300.000.000, oltre interessi,
per i comportamenti adottati nell’illecita gestione
dell’azienda nella qualità di custode giudiziario.
La convenuta chiedeva di chiamare in causa Carmeni Carmela
e Chiarenza Giuseppe, eccepiva l’incompetenza funzionale
del

giudice

adito,

la

nullità

della

citazione,

l’inammissibilità delle domande per l’intervenuto giudicato
in forza della sentenza del Tribunale di Termini Imerese
n.382 del 1999, la prescrizione della domanda risarcitoria
ex art.2947 c.c.
Il Tribunale, con sentenza non definitiva del 2- 6 dicembre
2004, qualificava la domanda proposta dagli attori come
azione risarcitoria intesa anche al recupero dei beni che
gli attori assumevano dispersi a causa della cattiva
gestione dell’azienda di famiglia da parte del custode
giudiziario, rigettava le eccezioni di incompetenza
funzionale e di prescrizione, ancora sospesa tra le parti,
non essendo stato presentato ed approvato il rendiconto
finale della gestione, respingeva tutte le altre eccezioni
(in particolare, l’eccezione di giudicato in forza della

di Carmeni Maria, nominata con provvedimento del Tribunale

~

.•.• .• .•

sentenza del Pretore del lavoro 7197), e rimetteva con
separata ordinanza la causa sul ruolo per il prosieguo.
Appellavano detta pronuncia Carmeni Maria, Carmeni Carmela
e Chiarenza Giuseppe; si costituivano Carmeni Giuseppe
Luigi, Paola, Angelo e Filippo, in proprio e quali eredi

della madre Morace Maria, e titolari della ditta Fratelli
Carmeni di Morace Maria s.n.c.
All’udienza collegiale, veniva depositata la sentenza non
definitiva n. 146 del 2007, con cui il Tribunale di Termini
Imerese, dichiarata l’apertura della successione di Carmeni
Giuseppe e Carmeni

Filippo

(classe 1919), aveva stabilito

la consistenza e le modalità di devoluzione dei beni
ereditari, rendendo plurime statuizioni e disponendo la
rimessione in istruttoria con separata ordinanza.

_

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza in data 29
gennaio-30 novembre 2010, in parziale riforma della
sentenza non definitiva del Tribunale, ha dichiarato
inammissibile per preclusione da giudicato la (sola)
domanda risarcitoria proposta da Giuseppe Luigi, Angela,
Paola e Filippo

Carmeni (classe 1968), confermando nel

resto l’impugnata sentenza.
La Corte di merito, nello specifico e per quanto ancora
interessa:
ha disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello
per l’inosservanza dell’art.330 c.p.c, atteso che la
sentenza era stata appellata nel termine lungo ex art.327
5

In “W.

WOM

c.p.c., che andava a scadere il 20 gennaio 2006 rispetto
alla data di pubblicazione del 6/12/2004, tenuto conto dei
termini feriali, e che la notifica era avvenuta presso il
domicilio eletto del procuratore costituito quale
risultante dallo stesso atto di citazione, ove gli attori

avevano dichiarato di eleggere il domicilio presso il
procuratore avv. Fontana., presso lo studio in Palermo, via
Bersagliere 44;
ha rilevato che, dalla lettura dell’atto introduttivo del
giudizio, si evinceva che gli attori avevano promosso sia
la domanda di rivendica che di risarcimento dei danni per
l’illegittima gestione dei beni da parte di Carmeni Maria,
nominata custode giudiziario dell’azienda dei fratelli
Carmeni in occasione del sequestro concesso con
provvedimento del 19/7/86, poi revocato con la sentenza
352/1990 del 5/6-6/9/1990, dichiarativa dell’incompetenza
funzionale a provvedere sulla domanda di attribuzione
dell’impresa familiare e di riconoscimento dei diritti ex
art.230 bis c.c., proposta da Carmeni Maria e consorti,
sulla domanda risarcitoria accessoria, sulla
riconvenzionale ex art.96 c.p.c. dei convenuti Morace
Maria, Carmeni Filippo e consorti, nonchè dichiarativa
dell’inefficacia del sequestro giudiziario e conservativo
autorizzati entrambi con provvedimento del 19/7/86 (ed il
secondo trascritto il 29/7/86), e dell’ inammissibilità per
tardività della domanda riconvenzionale di restituzione
6

della somma di lire 50 milioni sborsata da Carmeni Mercurio
i
per le spese legali relative ad una vertenza con talt
Palmisano;
ha disatteso l’eccezione di incompetenza funzionale del
Tribunale a favore del Giudice del lavoro, atteso che gli

attori avevano fatto valere nel giudizio, oltre alla
domanda di rivendica, la domanda di illecito aquiliano ex
art.2043 c.c., prospettando

i pregiudizi patrimoniali

conseguenti all’illegittima attività del custode
giudiziario, consistiti nella mancata riconsegna delle
rimanenze, della liquidità di cassa ove si sarebbero
riscontrati cospicui ammanchi, dei crediti e dei depositi
bancari, nonché in inadempimenti degli obblighi
amministrativi, tributari e previdenziali;
ha respinto l’eccezione di nullità della citazione per
indeterminatezza dell’oggetto, alla stregua della lettura
complessiva dell’atto di citazione;
ha ritenuto correttamente disattesa dal primo Giudice
l’eccezione di prescrizione, stante la sospensione ex
art.2941 n. 6 c.c. per la mancata presentazione del
rendiconto; né risultava diversamente dalla sentenza non
definitiva 146/2007,1nralmr;anzi detta pronuncia, facendo
espressa menzione delle contestazioni e disponendo per un
supplemento di istruzione sulla domanda di rendiconto,
induceva ad escludere la definitiva approvazione del
rendiconto.
7

Quanto all’eccezione di giudicato esterno, in forza della
sentenza del Pretore del lavoro 7/97, passata in giudicato
a seguito della sentenza del Tribunale 382/99
(dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello principale e
di rigetto dell’appello incidentale di Carmeni Maria,

Carmeni Carmela e Chiarenza Giuseppe), la Corte
territoriale ha rilevato:
che la sentenza 7/97 aveva escluso l’impresa familiare
invocata da Carmeni Maria e consorti e rigettato la .
domanda risarcitoria proposta in riconvenzionale dagli

~muli appellati nei confronti della ricorrente Carmeni
Maria, quale custode e non condividente, ritenendo
insussistente il nesso di causalità tra il pregiudizio
patrimoniale(perdite nell’attività di impresa) e l’attività
del custode, ceti riferimento in particolare -ma non soloal mancato pagamento delle imposte di successione,
ritenendo che i convenuti, attori in riconvenzionale, non
avevano provato di essere stati nell’ impossibilità di
adempiere all’imposizione fiscale con il denaro esistente
nei conti personali;
che con la domanda riconvenzionale avanzata da Morace
Maria, Carmeni Giuseppe, Filippo, Angela e Paola, contenuta
nella memoria difensiva depositata in detto giudizio
(pagine 131 e ss.), dette parti avevano lamentato gli
effetti pregiudizievoli della gestione della custode per il
depauperamento del patrimonio aziendale íA per il pagamento
8

dell’imposta di successione e per il mancato rimborso pro
quota del credito per spese giudiziali nel procedimento ,
contro i fratelli Palkmisano( vicenda peraltro risalente al
luglio 1984 e quindi

anteriore al sequestro, su cui

si sarebbe formato giudicato interno in forza della

statuizione di inammissibilità della sentenza 352/90);
che la cognizione del giudice del lavoro non si era
limitata all’esame della specifica attività del custode
relativa alla gestione degli aspetti fiscali ed al
pagamento dell’imposta di successione, ma, come risultante
nella narrativa e nella motivazione della sentenza, aveva
incluso tutti i profili della gestione del custode,
compresi quelli fatti valere nel presente giudizio
(mancata consegna dei depositi bancari, della cassa, delle
rimanenze);
che, anche a ritenere la domanda riconvenzionale avanzata
nel giudizio di lavoro relativa solo ai danni derivanti dal
mancato o intempestivo adempimento agli obblighi tributari,
andava sottolineato che il Giudice del lavoro aveva
rigettato detta domanda nel giudizio promosso con ricorso
del 12/11/90, quando già con la sentenza non definitiva
352/90 del 619/90 era cessata la custodia per effetto della
revoca del sequestro i e quindi gli *giiiiialèmk appellati, attori
in riconvenzionale dinanzi al Giudice del lavoro, ben
avrebbero potuto allegare tutti i profili di responsabilità
collegati alla custodia.
9

Ricorrono avverso detta sentenza Carmeni Giuseppe Luigi,
Carmeni Angela, Carmeni Paola, Carmeni Filippo, in proprio,
come eredi con beneficio di inventario di Carmeni Mercurio
e Morace Maria e come titolari della cessata ditta F.11i
Carmeni di Maria Morace & C., già F.11i Carmeni degli eredi

di Carmeni Mercurio, con ricorso affidato a quattro motivi.
Chiarenza Francesco, erede universale di Carmeni Maria, e
Chiarenza Giuseppe hanno depositato controricorso, mentre
l’altra coerede di Carmeni Carmela, Chiarenza Angela, non
ha svolto difese.
I ricorrenti hanno depositato la memoria ex art.378 c.p.c.
Motivi della decisione
1.1.- Col primo motivo. i ricorrenti si dolgono dell’avere
la Corte territoriale ritenuto correttamente eseguita la
notificazione dell’atto d’appello presso il domicilio
eletto del procuratore costituito come risultante dall’atto
di citazione, ed articolano le doglianze sotto ambedue i
profili9, del vizio ex art.360 n.3 e 360 n.5 c.p.c.
I ricorrenti deducono che risultava agli atti del giudizio
d’appello che l’elezione di domicilio nell’atto di
citazione in primo grado, in Palermo, via Bersagliere 44,
era stata fatta dagli attori personalmente e non dal
legale, per di più al di fuori del circondario del
Tribunale, per cui la notifica dell’impugnazione avrebbe
dovuto essere effettuata ex lege presso la Cancelleria del
Tribunale di Termini Imerese.
10

Detta notifica è inoltre avvenuta non personalmente a mani
del legale degli attori, ma a mani di tal signor Ippolito
Giuseppe, di talchè non poteva costituire prova certa della
conoscenza della notifica da parte degli attori entro il

costituzione con la comparsa del 24/4-27/4/06 poteva avere
avuto efficacia sanante ex tunc; né potevano le controparti
essere rimesse in termini per l’eventuale rinnovazione
oltre il termine lungo,

AI in ogni caso, alla data della

costituzione, detto termine era già scaduto.
1.2.- Col secondo motivo, in via subordinata, i ricorrenti
si dolgono della pronuncia della Corte palermitana, per
avere accolto l’eccezione di giudicato esterno
limitatamente alla domanda risarcitoria aquiliana per le
condotte di Carmeni Maria solo(per quanto consta dalla
motivazione) quale formale custode giudiziari ab e non come
detentrice aziendale sine

título’

sino all’1/2/93,

intestataria e detentrice dei depositi bancari aziendali
éote. im~ur
sino al 17/1/97; condottese~~ entro la data formale
di cessazione della custodia e che, secondo la Corte di
merito, i titolari dell’azienda avrebbero con certezza
documentale potuto ritualmente e tempestivamente dedurre ed
01243rare a titolo di riconvenzionale nella memoria di
costituzione del 7/1/91, nell’ambito del procedimento di
lavoro introdotto con il ricorso 12-26 novembre 1990 dalla

brevissimo, scadente termine lungo d’impugnazione; né la

controparte Carmeni Maria avanti al Pretore del lavoro di
Termini Imerese.
I ricorrenti fanno valere il vizio ex art.360 n.3 c.p.o.,
per avere la Corte del merito male interpretato lo
stringatissimo giudicato di merito di rigetto della

sentenza del Pretore del lavoro 7/97, relativo solo alla
domanda riconvenzionale risarcitoria di cui alla memoria
7/1/91, e non già alle analitiche e complesse domande
risarcitorie e di rivendica formulate dai titolari
dell’azienda, quali attori, con l’atto di citazione
introduttivo del presente giudizio, e deducono che nella
sentenza 7/97 sono state ritenute inammissibili perché
tardive le ulteriori e ben più ingenti domande formulate
dai resistenti nel ricorso in riassunzione del 15/6/92 ( ad
esempio, quelle riepilogate alle pagine 191-221), ig che
sono proprio quelle azionate nel presente giudizio, insieme
ad altre.
La parte sostiene di aver fatto valere nel giudizio di
lavoro solo la domanda di responsabilità aggravata ex
art.96 c.p.c. di Carmeni Maria e Carmela per i due
sequestri giudiziario e conservativo, chiesti ed ottenuti
nella precedente causa avanti al Tribunale di Termini
Imerese, 137/86, e, al più, le conseguenze dannose del
rifiuto della custode di pagare nell’ottobre 1990 la sola
quarta rata delle ben diverse imposte successorie
principali per la morte del titolare aziendale Carmeni
12

Mercurio, liquidate dall’ottobre 1986 al 1995, mentre nel
giudizio di cui si tratta sono state fatte valere autonome
e successive( o successivamente evintesi alle date del
1/2/93, 30/11/92, 9/2/93, 17/1/97) questioni risarcitorie
e personali per la mancata riconsegna delle rimanenze delle

merci aziendali, per ammanchi di cassa, ammanchi nei
depositi bancari, illeciti prelievi, mancate restituzioni
di crediti aziendali con titoli idonei alla riscossione

verso clienti,

irregolarità tributarie, di natura

retributiva e previdenziale, locatizia ed amministrativa, e
per l’ingiustificata chiusura aziendale dal 20/11/92 al
17/3/93.
Solo con la sentenza pretorile 7/97, e col provvisorio
provvedimento ex art.700 c.p.c. del 12/11/92, da essa
confermato in motivazione e dispositivo, passata in
giudicato il 27/10/99, e

quindi solo da tale data,

titolari dell’azienda avevano maturato il diritto al
rendiconto, costituente il presupposto poi~u~te delle
richieste risarcitorie e di rivendica poi azionate nel
presente giudizio.
La parte fa altresì valere le medesime doglianze sotto il
profilo del vizio di motivazione.
1.3.- Col terzo mezzo, i ricorrenti si dolgono del vizio ex
art.360 n.4 c.p.c. per la mancata pronuncia e/o motivazione
su tutte le specifiche eccezioni e controdeduzioni svolte
dagli appellati nella comparsa di costituzione g pagine 2213

.1.•~IMP

29, sulla inammissibilità dell’appello, e 60-97, sulla
totale insussistenza del giudicato esterno di merito in
forza della sentenza del Pretore del lavoro 7/97.
1.4.- Col quarto, in ulteriore subordine, i ricorrenti,
sempre facendo valere sia il vizio ex art.360 n.3 che il

vizio ex art.360 n.5 c.p.c., censurano la pronuncia per non
avere quanto meno escluso il giudicato esterno in relazione
alle domande i cui presupposti si erano resi evincibili con
certezza e quindi azionabili, solo dopo la formale
cessazione della custodia giudiziaria aziendale e la
scadenza del termine di deposito del 7/1/91 della memoria
di costituzione per la rituale proposizione delle domande
riconvenzionali nel giudizio di lavoro.
2.1.- Il primo motivo è infondato.
Si rende applicabile il principio espresso nella pronuncia
9225/2005, secondo cui l’art. 82, secondo comma, del r.d.
22 gennàio 1934, n. 37, nello stabilire che, se il
procuratore esercente il proprio ufficio fuori della
circoscrizione del Tribunale al quale è assegnato non ha
eletto domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità
giudiziaria procedente, il domicilio s’intende eletto
presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria, va
interpretato nel senso che tutte le notificazioni degli
atti del processo, ivi compresa la sentenza conclusiva

dello stesso, possono essere eseguite presso la cancelleria
di detto giudice; detta disposizione, essendo dettata al
14

solo fine di esonerare la parte alla quale incombe la
notificazione dai maggiori oneri connessi all’esecuzione
della stessa fuori del circondario, non implica, tuttavia,
alcuna nullità della notificazione eseguita al domicilio
eletto dalla controparte presso lo studio del difensore

esercente fuori del circondario (ma nel medesimo distretto,
proprio come si riscontra nel presente giudizio), giacché,
in tal caso, la parte interessata alla notificazione
adempie in maniera ancor più diligente agli obblighi che le
incombono ai fini della ritualità della notifica stessa,
che, in siffatta forma, vale ancor più a far raggiungere
all’atto lo scopo previsto dalla legge.
In ogni caso, andrebbe applicato il principio generale
reiteratamente espresso da questa Corte, per il quale la
notificazione dell’atto di impugnazione eseguita in un
luogo diverso da quello prescritto, ma non privo di un
astratto collegamento con il destinatario (come deve
ritenersi nel caso specifico, della notifica nello studio
professionale del difensore di primo grado, esercente
l’attività nel giudizio che si svolgeva al di fuori del
circondario del Tribunale di assegnazione, anziché presso
la cancelleria del Giudice a quo, ex art.82, r.d. 87/1934),
determina la nullità della notifica, che, pertanto, è
sanata con effetto “ex

tunc”

per raggiungimento dello

scopo, sia mediante la sua rinnovazione, sia mediante la
costituzione in giudizio dell’intimato, anche se effettuata
15

al solo fine di eccepire la nullità ( così, tra le tante,
le pronunce 13667/2007, 1108/2006, 15190/2005 e 1944/1999).
fi
2.2.- Ilymotivo è infondato, sotto il profilo del vizio ex
art.360 n.3 c.p.c. ed inammissibile,

sotto il profilo del

vizio ex art.360 n.5 c.p.c..

Prima di esaminare compiutamente la censura ex art.360 n.3
c.p.c., è opportuno brevemente riportare i principi
applicabili in relazione all’interpretazione del giudicato.
Come affermato nella pronuncia delle Sezioni uniteh.
24664/2007, posto che il giudicato va assimilato agli
“elementi normativi”, cosicché la sua interpretazione deve
essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle normee
non già degli

atti

e dei negozi giuridici, essendo

sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli
eventuali errori interpretativi, ne consegue che il giudice
di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la
portata del giudicato esterno con cognizione piena che si
estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla
diretta valutazione ed interpretazione degli atti
processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di
fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al
riguardo dal giudice di merito( ed in senso conforme, oltre
alla pronuncia sempre delle S.U. 11501/2008,si richiamano
le pronunce a sezione semplice/ì.2732/08, Mi45~4 21200/09
e 10537/2010).

16

t

Da tale principio consegue che, qualora si faccia valere l’
errata interpretazione del giudicato da parte del giudice
del merito,si deduce il vizio ex art.360 n.3 e non già il
vizio motivazionale, in sé non configurabile, e che la
Corte ha diretto accesso agli atti del processo e deve

pervenire alla valutazione diretta degli atti processuali,
senza fermarsi all’interpretazione data dal giudice del
merito(in precedenza, l’interpretazione del giudicato
esterno era ritenuta da parte della giurisprudenza attività
riservata al giudice del merito, sindacabile dalla Corte di
cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione:
in tal senso, tra le altre, la pronuncia 1356/2004 e le
stesse S.U. nella sentenza 277/99).
La

questione

che

i

ricorrenti

pongono

attiene,

sostanzialmente, all’ individuazione dell’ambito oggettivo
del giudicato formatosi a seguito della sentenza del

vg

che sarebbe stato erroneamente
t
inteso dalla sentenza impugnata( a maggior tutela della

Pretore del lavoro 7/97

propria posizione, i ricorrenti, almeno nella parte
iniziale del motivo, prospettano che la preclusione da
giudicato sarebbe stata limitata dalla Corte palermitana
alla sola condotta della Carmeni come custode di diritto e
non per il periodo successivo sino alla riconsegna).
La parte sostiene che tale sentenza, passata in giudicato a
seguito della sentenza del Tribunale del 27/10/99, si è
pronunciata nel merito solo in relazione alle domande
17

riconvenzionali fatte valere nella memoria costitutiva del
7/1/91 e non già sulle diverse domande avanzate nel ricorso
in riassunzione e nella memoria, sulle quali il Pretore del
lavoro si è espresso con la pronuncia di inammissibilità
per tardività, sì che ammissibilmente la parte avrebbe

provveduto a farle valere, insieme ad altre, nell’atto di
citazione introduttivo del presente giudizio.
Secondo i ricorrenti, il Pretore del lavoro ha deciso le
sole domande di responsabilità aggravata ex art.96 c.p.c e
di mancato pagamento della rata delle imposte di
successione di Carmeni Mercurio, che erano state
tempestivamente fatte valere.
Ciò posto, premesso che la portata del giudicato va
valutata avuto riguardo al dispositivo ed alla motivazione
della pronuncia, potendosi fare riferimento agli atti clì..b
pitttebin funzione integratrice nella ricerca degli esatti
confini del giudicato, ove sussistano ragionevoli dubbi a
riguardo(così la pronuncia 2721/2007 e , tra le ultime,
24749/2014), si osserva che dalla sentenza del Pretore del
lavoro risulta, a pagina 7, che in riconvenzionale Morace
Maria, Carmeni Giuseppe e Carmeni Angela, Filippo e Paolo
avevano chiesto “la restituzione dell’azienda, il
risarcimento dei danni subiti a causa del sequestro
conservativo, della custodia giudiziaria e per il ritardato
pagamento delle imposte di successione, oltre al rimborso
delle somme già pagate a titolo di imposta per complessive
18

lire 460545.510, la rivalutazione e gli interessi.” Il
PretoreLprecisaro che col ricorso in riassunzione del
15/6/92, dopo la pronuncia sul regolamento di competenza,
Morace Maria ed i Carmeni avevano insistito “nelle
eccezioni e nelle domande riconvenzionali già formulate con

la memoria del 7/01/1991 e proponendo nuove ed ulteriori
domande “riconvenzionali” nei confronti di Carmeni Maria”.
Ciò posto, il Pretore ha concluso per l’inammissibilità per
tardività delle domande proposte per la prima volta con
l’atto di riassunzione del 15/6/92; ha respinto le domande
riconvenzionali contenute nella memoria di costituzione del
7/1/91, ritenendo la mancata prova da parte dei resistenti,
attori in riconvenzionale, dei danni e del nesso di
causalità tra l’attività della ricorrente Carmeni Maria e
le perdite dell’attività di impresa, non desumibili dalla
relazione allegata alla memoria, né, in ogni caso, dalla
documentazione prodotta irritualmente in corso di causa; ha
escluso, “allo stesso modo”, che il ritardato pagamento
delle imposte di successione fosse dipeso dal comportamento
della ricorrente ed in particolare dal sequestro
dell’azienda, per non avere provato “i convenuti di essere
stati nell’impossibilità di adempiere all’imposizione
fiscale con il danaro esistente sui loro conti correnti
personali”.
Il Pretore del lavoro, quindi, nel respingere le domande
riconvenzionali avanzate nella memoria di costituzione (in

\n
19

disparte dalle domande riconvenzionali avanzate nel
ricorsgkn riassunzione, tardive e quindi inammissibili), ha
chiaramente argomentato in linea generale sulla carenza di
prova del danno e del nesso causale. “tra l’attività della
ricorrente e l’insorgenza delle perdite nell’attività di

ulteriormente in relazione

impresa”, per poi passare a motivare specificamente ed
alla richiesta risarcitoria

legata al mancato pagamento dell’imposta di successione.

Tale passaggio argomentativo è ben evidenziato dall’incipit
“Allo stesso modo…”, che correttamente la Corte di Appello
ha sottolineato nella sua valenza introduttiva di una
valutazione specifica in relazione alla voce indicata,
sempre all’interno della medesima statuizione di rigetto
sulle richieste risarcitorie.
Ne consegue l’infondatezza della tesi degli odierni
ricorrenti, volta a restringere l’ambito oggettivo del
giudicato esterno, incidente nel presente giudizio, al solo
comportamento della custode Carmeni, in relazione al
pagamento della quarta rata delle imposte di successione.
2.3.- Il terzo motivo è inammissibile, intendendo far
valere i ricorrenti sotto il profilo del vizio di attività
processuale il vizio di interpretazione del giudicato.
2.4.- Il quarto motivo deve ritenersi fondato, quale vizio
ex art.360 n.3 c.p.c., nei limiti e per le ragioni di
seguito esposte.

Li

20

La Corte d’appello ha inteso la copertura da giudicato
avulsa da ogni limite temporale e ha adottato una nozione
onnicomprensiva di unicità del rapporto obbligatorio che
non può ritenersi corretta.
La Corte palermitana ha infatti ritenuto che, una volta

fatta valere la domanda riconvenzionale nei confronti della
custode giudiziaria per l’illegittimo comportamento della
stessa, una volta cessata la custodia con la sentenza non
definitiva 352/1990 e chiesto il ristoro del pregiudizio
patrimoniale conseguente, la parte avrebbe potuto e dovuto
far valere tutti i profili di responsabilità, non potendo
la stessa frazionare il credito in plurime richieste, per
il divieto di abuso del processo, in contrasto con i
principi di correttezza e buona fede e del giusto processo.
Tale argomentazione non è condivisibile, atteso che il
principio di infrazionabilità del credito di cui alla nota
sentenza delle sezioni unite 237/6/2007, ove si discuta del
diritto al risarcimento del danno, come nel caso, postula
l’unitarietà del fatto costitutivo, sì che alla parte non
può consentirsi la proposizione di più domande giudiziali
aventi ad oggetto parti distinte di un credito unico, ma è
palese come tale principio non sia invocabile quando si
faccia valere una successiva domanda avente ad oggetto
un’obbligazione diversa sul piano sostanziale.
In altri termini, il solo riferimento alla custodia
giudiziale

non può

ritenersi

idoneo

a

connotare
21

unitariamente sia la richiesta di risarcimento del danno
per ammanchi di cassa che quella per inadempimenti
tributari, richieste che non costituiscono frazioni di un
unico credito, ma crediti distinti, quindi azionabili
autonomamente.

del giudicato, come indifferente ai fatti

Inoltre, la Corte del merito ha dato una lettura “statica”
sopravvenuti,

limitandosi a ritenere l’azionabilità di tutte
indistintamente le richieste

risarcitorie collegate alla

custodia giudiziale, una volta cessata la carica con la
revoca del sequestro, senza esaminare nello specifico se
fossero subentrati fatti nuovi e rilevanti, tali da
sfuggire alla preclusione da giudicato o ancora se i
diritti invocati fossero prospettati con riferimento a
fatti ulteriori rispetto alla mera revoca del sequestro di
cui alla sentenza 352/1990, prodottisi o manifestatisi
successivamente al termine per il deposito della memoria di
costituzione con riconvenzionale nel procedimento di lavoro
(i ricorrenti hanno a riguardo fatto valere come i titoli
risarcitori si sarebbero manifestati solo nelle successive
date del 1/2/93, 30/11/92, 9/2/93 e 17/1/97 e sarebbero
stati azionabili solo alla data del 27/10/99, al passaggio
in giudicato della sentenza del Pretore del lavoro 7/97,
con la conferma del provvedimento d’urgenza del 12/11/92).
3.1.- Conclusivamente, respinti i motivi primo e secondo,
dichiarata l’inammissibilità del terzo motivo, va accolto
22

4

nei sensi di cui sopra il quarto motivo e, cassata la
pronuncia impugnata in relazione al motivo accolto, va
rimessa la causa alla Corte d’appello di Palermo in diversa
composizione, spettando al Giudice del merito

tante, le pronunce 2615972014, 12944/2012,34/2014), che,
al fine di superare la preclusione da giudicato, dovrà
valutare se le singole domande risarcitorie fatte valere
nel giudizio dai sigg. Carmeni siano prospettate sulla base
di fatti rilevanti successivamente intervenuti rispetto
alla data di costituzione nel giudizio di lavoro concluso
con la sentenza pretorile 7/97.
Al Giudice del rinvio spetterà anche la decisione sulle
spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte respinge i motivi primo e secondo, dichiara
inammissibile il terzo, accoglie nei sensi di cui in
motivazione il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata
in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte
d’appello di Palermo in diversa composizione, anche per le
spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, in data 24 marzo 2014

l’interpretazione della domanda (sul principio, tra le

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