Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10189 del 24/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 24/04/2017, (ud. 10/01/2017, dep.24/04/2017),  n. 10189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27210-2011 proposto da:

P.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI,

che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9741/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/01/2011 r.g.n. 239/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato PIER LUIGI PANICI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 9741 del 2010, pronunciando sull’impugnazione proposta da P.C. nei confronti del Ministero della Giustizia, avverso la sentenza n. 18436 del 2007 resa tra le parti dal Tribunale di Roma, rigettava l’impugnazione.

2. Il P. aveva adito il Tribunale per l’accertamento del carattere subordinato del rapporto di lavoro svolto dal 10 ottobre 1980 al 1 agosto 2001, in qualità di medico di guardia presso la casa circondariale maschile di (OMISSIS), con la condanna dell’Amministrazione alla regolarizzazione della posizione previdenziale ed assicurativa, alla costituzione della rendita D.Lgs. n. 1338 del 1962, ex art. 13, al risarcimento del danno per omessa contribuzione, pari a Euro 300.000,00, e al pagamento di Euro 76.469,05 a titolo di differenze retributive e t.f.r.

Il Tribunale rigettava la domanda.

3. Il giudice di secondo grado, nel respingere l’appello, ha affermato che la fattispecie è regolata dalla L. n. 740 del 1970, art. 51, e che si verte in ipotesi di prestazione autonoma d’opera professionale analoga a quella dei medici convenzionati con enti pubblici di assistenza sanitaria, ancorchè svolta in forma di collaborazione continuativa e coordinata con i fini istituzionali dell’ente.

Nè l’obbligo di osservare le disposizioni del dirigente sanitario e del direttore del carcere, circa l’organizzazione e le modalità di svolgimento del servizio, poteva fare ritenere sussistere la subordinazione. Ciò, sia per la non incompatibilità con l’autonomia del rapporto di lavoro, in generale, dell’obbligo del prestatore d’opera di svolgere la propria attività secondo le direttive di carattere generale impartite dal creditore della prestazione, sia, nel caso di specie, per le esigenze di coordinamento della guardia medica con il servizio sanitario dell’istituto penitenziario.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il P. con un motivo di impugnazione.

5. Resiste l’Amministrazione con controricorso, assistito da memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2222 cod. civ., nonchè dell’art. 51 della L. n. 740 del 1970.

Assume il ricorrente l’erroneità della qualificazione del rapporto di lavoro in questione come prestazione d’opera libero-professionale coordinata e continuativa di carattere personale, inquadrabile tra i rapporti di cui all’art. 490 c.p.c., n. 3.

Ed infatti, il contenuto normativo della L. n. 740 del 1970, art. 51, in ragione delle modalità e delle prescrizioni lavorative previste, fa ricondurre il rapporto di lavoro in esame nell’ambito della subordinazione, che va accertata in ragione del concreto atteggiarsi del rapporto stesso a prescindere dalla eventuale diversa qualificazione giuridica offerta dalla legge.

In tal senso il lavoratore fa riferimento a Cass., n. 10024 del 2010, assumendo che avrebbe risolto un caso analogo (si rileva, tuttavia, che l’esame della suddetta decisione evidenzia come la stessa riguardi il servizio di guardia medica prestato presso una casa di cura gestita da religiose nella struttura della residenza sanitaria, e non presso un istituto di prevenzione e pena).

Erroneo sarebbe, altresì, il richiamo alla mancata prova del potere direttivo e disciplinare, il cui esercizio è solo eventuale e rileva nel caso in cui, se risultano dedotti dal datore di lavoro specifiche ipotesi in cui, ricorrendone i presupposti, non sia stato esercitato.

Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in materia di accertamento della subordinazione e di differenziazione di quest’ultima dal lavoro autonomo, il ricorrente rileva che erroneamente la Corte d’Appello ha ritenuto non sufficienti, per dimostrare la sussistenza, della subordinazione le circostanze che le prestazioni di esso lavoratore fossero organizzate in turni e che il medesimo fosse obbligato a conformarsi alle direttive generali impartite dal dirigente sanitario, ritenendo le stesse non sarebbero incompatibili con il lavoro autonomo.

Nella fattispecie in esame, invece, mancavano i requisiti essenziali del lavoro autonomo, come posto in evidenza dalla giurisprudenza di legittimità, e cioè, sia una pur minima organizzazione imprenditoriale e di mezzi, sia un rischio economico a carico del lavoratore, mentre poteva ravvisarsi la continuità della prestazione, l’inserimento stabile nell’azienda e il potere organizzativo del datore (sono richiamate, in particolare, le pronunce Cass., n. 21646 del 200, n. 820 del 2007, n. 21031 del 2008, n. 21380 del 2008).

Peraltro, neppure l’autogestione da parte del personale medico dei turni di servizio presso una casa di cura esclude la subordinazione (citata Cass., n. 10024 del 2010).

2. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

3. Occorre premettere che, ai sensi della L. n. 740 del 1970, art. 1, i medici chirurghi, non appartenenti al personale civile di ruolo dell’Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, i quali prestano la loro opera presso gli istituti o servizi dell’amministrazione stessa, sono qualificati medici incaricati.

Ai sensi dell’art. 2 della medesima legge, le prestazioni professionali rese in conseguenza del conferimento dell’incarico sono disciplinate dalle norme della legge stessa, e ai medici incaricati non sono applicabili le norme relative alla incompatibilità e al cumulo di impieghi nè alcuna altra norma concernente gli impiegati civili dello Stato.

4. Come ha affermato più volte questa Corte, la previsione contenuta nell’art. 2 della legge rinviene la propria ratio nella particolare penosità del servizio prestato dai sanitari addetti agli istituti penitenziari, la quale, però, non giustifica che all’effettivo godimento di questo beneficio (svolgimento di altro incarico, incompatibile per altri) si riconoscano benefici aggiuntivi, in ordine a specifici aspetti economici, condizioni e limiti di godimento di singole indennità (cfr., Cass., n.9046 del 2006).

5. La L. n. 740 del 1970, art. 51 prevede: “Per le esigenze del servizio di guardia medica sono assegnati a ciascuno degli istituti di prevenzione e di pena indicati nella tabella E allegata alla presente legge tre medici-chirurghi abilitati all’esercizio della professione i quali assicurino nelle ventiquattro ore un servizio continuativo. I medici addetti al servizio di guardia devono prestare la loro opera in osservanza delle disposizioni impartite dal dirigente sanitario, delle norme di cui alla presente legge nonchè delle disposizioni impartite dalla autorità amministrativa dirigente l’istituto, concernenti l’organizzazione del servizio e le relative modalità di svolgimento, sempre che siano compatibili con le esigenze di carattere sanitario. Per ciascun turno di guardia espletato, al medico spetta un compenso giornaliero, con esclusione di ogni altra indennità o gratificazione e di ogni trattamento previdenziale o assicurativo, da determinarsi entro il mese di gennaio di ogni biennio, con decreto del Ministro per la grazia e giustizia, di concerto con i Ministri per la sanità e per il tesoro, tenute presenti le indicazioni della Federazione nazionale degli ordini dei medici. La tabella E, in relazione alle mutate esigenze del servizio, può essere modificata con decreto del Ministro per la grazia e giustizia di concerto con il Ministro per il tesoro”.

6. Questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n.2286 del 1990 ha affermato che la disciplina del servizio di guardia medica presso gli istituti di prevenzione e pena di cui alla L. n. 740 del 1970, art. 51, pone in evidenza, sia per la sua collocazione, che per il suo contenuto precettivo, la volontà del legislatore di considerare l’attività dei medici di guardia come autonoma prestazione d’opera professionale.

Nè assume rilievo che il servizio di guardia medica, siccome diretto all’assistenza dei detenuti, concorre alla realizzazione delle finalità proprie della Casa circondariale, giacchè tali finalità possono essere perseguitesia mediante l’impiego di personale dipendente, sia anche (specie nel campo dell’attività professionale) mediante la costituzione di rapporti di lavoro autonomo di natura privatistica.

6.1. Tale pronuncia è stata confermata dalla successiva giurisprudenza di legittimità, ed è stata richiamata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 76 del 2015quale espressione di un orientamento consolidato sulla natura autonoma del rapporto di lavoro dei medici di guardia presso gli istituti di prevenzione e di pena (punto 7 del Considerato in diritto della sentenza Corte cost. n. 76 del 2015).

7. Basti ricordare come le Sezioni Unite, con le sentenze n. 7901 del 2003 e n. 12618 del 1998 (pronunciando sulla giurisdizione), hanno affermato che le prestazioni rese, secondo le modalità previste dalla L. n. 740 del 1970, dai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e pena, non integrano un rapporto di pubblico impiego, bensì una prestazione d’opera professionale caratterizzata dagli elementi tipici della parasubordinazione, e che l’ordinanza n. 3782 del 2012 ha qualificato quello dei medici incaricati come rapporto libero-professionale parasubordinato che trova la propria fonte normativa unicamente nel complesso delle disposizioni contenute nella L. n. 740 del 1970 e successive modificazioni e integrazioni, le quali si pongono come norme speciali che lo disciplinano interamente.

8. Quanto affermato da questa Corte trova corrispondenza, segnatamente, nella sentenza del Giudice delle leggi n. 149 del 2010 (si cfr. anche sentenza Corte cost., n. 76 del 2015, sopra richiamata), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L.R. Calabria 31 dicembre 2008, n. 46, art. 1, comma 2, che tendeva ad inquadrare stabilmente nei ruoli della Regione i medici non appartenenti al personale civile di ruolo dell’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, i quali prestano la loro opera presso gli istituti o i servizi dell’amministrazione stessa.

Tale pronuncia ha affermato che “la figura dei cd. medici incaricati è stata introdotta e disciplinata per la prima volta dalla L. 9 ottobre 1970, n. 740, art. 1 (…). In base alla predetta disciplina statale, le prestazioni rese da questi ultimi non ineriscono ad un rapporto di lavoro subordinato, ma sono inquadrabili nella prestazione d’opera professionale, in regime di parasubordinazione, come questa Corte ha indirettamente statuito in tempi risalenti (sentenza n. 577 del 1989) affermando che, diversamente dagli impiegati civili dello Stato, i medici “incaricati” possono esercitare liberamente la professione ed assumere altri impieghi o incarichi”. Nè argomenti in senso contrario potevano trarsi dall’art. 2, comma 283, che, senza alterare l’originaria natura giuridica del contratto di lavoro con i predetti medici, ma, nell’ottica del contenimento della finanza pubblica, ha delegato lo stesso Presidente del Consiglio a definire il mero trasferimento al Servizio sanitario nazionale di tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, e si è esplicitamente fatto carico del contenimento della spesa pubblica. Il d.P.C.m. 1 aprile 2008 ha poi dato attuazione a tale novazione meramente soggettiva del rapporto, disponendo esplicitamente la persistente applicazione al personale “incaricato” del regime dettato dalla L. n. 740 del 1970.

9. Quanto alla qualificazione in concreto del rapporto si rileva che molteplici elementi ostano a ravvisare la natura subordinata dello stesso, sotto il profilo sia della disciplina normativa, sia dell’assetto negoziale del rapporto.

9.1. La disciplina normativa, pur non potendo vincolare l’interprete circa una qualificazione diversa indotta dal reale atteggiarsi del rapporto di lavoro, pone in evidenza, come si è potuto rilevare dal contenuto della L. n. 740 del 1970, artt. 1, 2 e 51, alcuni rilevanti elementi.

Agli argomenti testuali (il termine “opera” di cui al secondo comma della L. n. 740 del 1970, art. 51, che segna una discontinuità rispetto alla subordinazione; la peculiarità del regime delle incompatibilità), si affiancano argomenti sistematici, quale l’esclusione sin dall’epigrafe della legge, che reca “Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici dell’Amministrazione penitenziaria”, dell’inserimento dei medici incaricati nella struttura dell’amministrazione penitenziaria, così mancando un elemento qualificante della subordinazione.

9.2. Come affermato dalla Corte d’Appello, inoltre, l’organizzazione del lavoro secondo il modulo dei turni, l’obbligo di attenersi alle direttive impartite dal direttore del carcere e dal dirigente sanitario non sono indici inequivocabili della subordinazione.

Se l’organizzazione in turni appare connaturale alla prestazione di dirigente sanitario non costituisce indice dell’assoggettamento del medico lavoro, l’obbligo di rispettare le prescrizioni del direttore del carcere e del di guardia al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.

Quanto alle direttive del dirigente sanitario, esse hanno natura eminentemente tecnica e non si pongono in contraddizione con l’autonomia delle prestazioni d’opera concordate con l’amministrazione.

L’obbligo di attenersi alle prescrizioni di carattere generale del direttore del carcere, da un lato, non sminuisce l’autonomia e, dall’altro, ha la propria ragion d’essere nella peculiarità del contesto, in cui la prestazione si svolge, connotato da ineludibili ragioni di sicurezza che finiscono con il caratterizzare la disciplina del rapporto di lavoro dei medici incaricati, anche per i servizi di guardia medica, e ne giustificano particolarità e limitazioni.

9.3. Come la Corte costituzionale ha affermato nella sentenza n. 76 del 2015, in relazione alla qualificazione come rapporto di lavoro autonomo del rapporto di lavoro degli infermieri incaricati preso gli istituti di prevenzione e pena, ma con considerazioni che possono valere anche nel caso di specie: “E’ di palmare evidenza che la prestazione” (…) “non possa non raccordarsi con il servizio sanitario istituito nel carcere, con le misure di sicurezza disposte dall’autorità amministrativa, con la disciplina regolamentare relativa alle attività e ai servizi che si svolgono all’interno dell’istituto di prevenzione e di pena”.

9.4. Dunque, gli indici della subordinazione, come posti in evidenza dalla giurisprudenza di legittimità e richiamati dal ricorrente, vanno valutati, nella specie, in ragione delle connotazioni peculiari, che condizionano la conformazione legale tipica del rapporto di lavoro e costituiscono la ragion d’essere della sua specialità.

9.5. Pertanto, va rilevato che nella determinazione dei turni, nella vigilanza esercitata sull’operato dei medici incaricati, elementi che si potrebbero reputare emblematici della subordinazione, si estrinseca il necessario coordinamento con l’attività dell’Amministrazione e con la complessa realtà del carcere, piuttosto che l’autonomia decisionale e organizzativa del datore di lavoro e il potere direttivo e disciplinare caratteristico della subordinazione.

9.6. Il direttore del carcere, invero, non è chiamato a ingerirsi in aspetti di dettaglio della prestazione svolta dai medici di guardia incaricati, nè tanto meno a esercitare un controllo sull’adempimento della prestazione professionale, caratterizzata da un bagaglio di conoscenze tecniche e d’esperienza.

Il potere direttivo, pur nelle diverse manifestazioni che presenta in concreto a seconda del contesto in cui si esplica e delle diverse professionalità coinvolte, si sostanzia nell’emanazione di ordini specifici, inerenti alla particolare attività svolta e diversi dalle direttive d’indole generale, in una direzione assidua e cogente, in una vigilanza e in un controllo costanti, in un’ingerenza, idonea a svilire l’autonomia del lavoratore. Tali elementi caratteristici del potere direttivo, che non può ridursi ad un mero coordinamento della prestazione, esulano dalla fattispecie del lavoro dei medici incaricati per le esigenze del servizio di guardia medica.

10. La sentenza della Corte d’Appello avendo fatto corretta applicazione dei principi sopra illustrati, si sottrae alle censure prospettate dal ricorrente.

11. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, atteso che il rapporto di lavoro dei medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e di pena per le esigenze del servizio di guardia medica, ai sensi della L. n. 740 del 1970, art. 51, sia in ragione della disciplina normativa, sia dell’assetto negoziale, è un rapporto di lavoro autonomo, atteso che, da un lato, la disciplina pone in evidenza che il legislatore ha scelto d’instaurare rapporti di lavoro autonomo; dall’altro, le modalità concrete del rapporto – in particolare l’organizzazione del lavoro secondo il modulo dei turni, l’obbligo di attenersi alle direttive impartite dal direttore del carcere e dal dirigente sanitario – non integrano indici della subordinazione, ma sono espressione del necessario coordinamento, che caratterizza il rapporto, con l’attività dell’Amministrazione e con la complessa realtà del carcere.

11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2017

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