Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10189 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/04/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 16/04/2021), n.10189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32648-2019 proposto da:

R.M., rappresentata e difesa dall’Avvocato GIOVANNI FORLINI

presso il cui studio a Pontecorvo, via San Giovanni Battista 2,

elettivamente domicilia per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA-UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI ISERNIA;

– intimata –

avverso la SENTENZA n. 211/2019 del TRIBUNALE DI CAMPOBASSO,

depositata il 3/4/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 9/12/2020 dal Consigliere DONGIACOMO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale, con la sentenza in epigrafe, rigettandone l’appello, ha confermato la sentenza con la quale il giudice di pace aveva respinto l’opposizione che R.M. aveva proposto avverso l’ordinanza che, in relazione al protesto di un assegno bancario emesso in data 30/6/2013 in mancanza di provvista, le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 516,00 a titolo di sanzione amministrativa.

Il tribunale, in particolare, ha ritenuto che i documenti di causa dimostravano che l’assegno era stato emesso non il 31/5/2013, come sostenuto dall’appellante, ma, al contrario, a seguito della correzione apportata e sottoscritta dalla stessa, in data 30/6/2013, e che l’opponente, nel corso del giudizio di primo grado, non aveva disconosciuto, con gli effetti previsti dall’art. 215 c.p.c., tale sottoscrizione, a nulla rilevando che l’appellante avesse il possesso di una copia dell’assegno priva della menzionata correzione che, secondo l’id quod plerumque accidit, verosimilmente si riferisce all’assegno nella versione antecedente alla operata correzione

R.M., con ricorso notificato il 31/10/2019, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza.

La Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Isernia è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale non ha considerato in alcun modo il fatto che l’opponente, sia in primo che in secondo grado, aveva depositato copia dell’assegno privo della correzione, con la conseguenza che la parte resistente, per provare la legittimità del proprio operato, aveva l’onere di presentare l’istanza di verificazione della scrittura ai sensi dell’art. 216 c.p.c..

1.2. D’altra parte, ha proseguito la ricorrente, l’opponente, depositando la copia genuina dell’assegno, aveva chiaramente ed inequivocamente proceduto al disconoscimento della scrittura prodotta contro la stessa.

1.3. Il tribunale, infine, non ha tenuto in alcuna considerazione il fatto che, a prescindere dalla genuinità del documento, l’opponente aveva depositato estratti conto che attestavano la presenza di fondi sul conto corrente della ricorrente sia nel giorno in cui l’assegno era stato “bancato”, che nei giorni successivi.

1.4. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e l’errata applicazione dell’art. 2697 c.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale non ha considerato che, in materia di sanzioni amministrative, l’onere di provare i fatti posti a fondamento delle ordinanza ingiunzioni di cui alla L. n. 689 del 1981, grava esclusivamente sulla pubblica amministrazione.

1.5. Nel caso di specie, invece, l’istruttoria è basata su un documento di dubbia provenienza che chiunque avrebbe potuto alterare e nemmeno esibito in originale.

2.1. I motivi, da trattare congiuntamente, sono infondati.

2.2. La ricorrente, infatti, pur lamentando la violazione o la falsa applicazione di norme di legge, finisce, in realtà, per sollecitare la Corte ad una inammissibile rivalutazione delle emergenze probatorie. La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).

2.3. Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), del resto, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati. (Cass. n. 11176 del 2017).

2.4. In effetti, non è compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.

2.5. Il tribunale, invero, dopo aver valutato le prove

raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha ritenuto, per un verso, che l’assegno (la cui emissione era stata sanzionata per mancanza di provvista) era stato emesso non il 31/5/2013, come sostenuto dall’appellante, ma, al contrario, a seguito della correzione apportata e sottoscritta dalla stessa, in data 30/6/2013, e, per altro verso, che la copia dell’assegno priva della menzionata correzione, in possesso dell’appellante, verosimilmente si riferiva, secondo l’id quod plerumque accidit, all’assegno nella versione antecedente alla operata correzione.

2.6. Sono, invece, inammissibili le censure relative tanto all’avvenuto deposito degli estratti conto, trattandosi di questione della quale la sentenza impugnata non tratta, ed è invece noto che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti (Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 16742 del 2005; Cass. n. 22154 del 2004; Cass. n. 2967 del 2001), quanto all’avvenuto disconoscimento dell’assegno (che l’opponente, a fronte della produzione di un assegno recante, a seguito di correzione apparentemente sottoscritta dalla stessa, la data del 30/6/2013, aveva, evidentemente, l’onere di proporre), posto che il disconoscimento di una scrittura privata ai fini di cui all’art. 214 c.p.c. richiede la chiara ed univoca impugnazione della sua autenticità e non può, certo, ritenersi svolto con comportamento concludente. Si tratta, invero, di un’eccezione in senso proprio la cui deduzione in giudizio, pur non richiedendo l’uso di formule sacramentali, postula pur sempre che la parte contro la quale la scrittura è prodotta in giudizio impugni chiaramente l’autenticità della stessa, nella sua interezza o limitatamente alla sottoscrizione, contestando formalmente tale autenticità, ove egli sia l’autore apparente del documento prodotto. Il disconoscimento della sottoscrizione deve, quindi, avvenire in modo formale ed inequivoco ed è, pertanto, inidonea a tal fine una contestazione generica oppure implicita (Cass. n. 12448 del 2012): nel senso, più precisamente, che è necessaria un’impugnazione specifica e determinata, da compiersi con atto processuale immediatamente successivo alla produzione in giudizio della scrittura, tale che se ne possa desumere con certezza la negazione dell’autenticità della scrittura e/o della relativa sottoscrizione (Cass. n. 2290 del 1996; Cass. n. 1591 del 2002; più di recente, Cass. n. 1537 del 2018). L’idoneità delle espressioni utilizzate dalla parte a configurare un valido disconoscimento costituisce, peraltro, un giudizio di fatto ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizio della motivazione (Cass. n. 1537 del 2018; Cass. n. 18042 del 2014; Cass. n. 11460 del 2007; Cass. n. 1591 del 2002), nei limiti in cui è consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, vale a dire, avendo riguardo al testo applicabile ratione temporis, solo per omesso esame circa un fatto decisivo che, però, la ricorrente non ha neppure indicato.

2.7. Infondata, infine, è la censura relativa alla invocata violazione dell’art. 2697 c.c. che si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma: non anche quando la censura abbia avuto ad oggetto, com’è accaduto nel caso in esame, la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (vale a dire, nella specie, l’assegno emesso senza provvista in data 30/6/2013) lì dove ha ritenuto (in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad opera della parte che ne era gravata in forza della predetta norma, che è sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti (nella specie, però, neppure invocati) previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 17313 del 2020; Cass. n. 13395 del 2018).

3. Il ricorso deve essere, quindi, rigettato.

4. Nulla per le spese di lite, in difetto di attività difensiva da parte della prefettura.

5. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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