Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10189 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10189 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: ORICCHIO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 25023-2008 proposto da:
BALDO GIAMBATTISTA BLDGBT43D09L781P,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA A. GRAMSCI 28, presso lo
studio

dell’avvocato

rappresenta

e

FRANCHI

difende

MANILIO,

unitamente

che

lo

all’avvocato

TRABUCCHI PIETRO;
– ricorrente –

2014

contro

708

ZANARDI LUCIANA ZNRLCN43B43L781L, BONOMI ROBERTA
BNMRRT69T61L7810;
– intimati Ay

Data pubblicazione: 09/05/2014

Nonché da:
ZANARDI LUCIANA ZNRLCN43B43L781L, BONOMI ROBERTA
BNMRRT69T61L7810, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA ANAPO 46, presso lo studio dell’avvocato CORBO
SETTIMIO, che li rappresenta e difende unitamente

– ricorrenti incidentali nonchè contro

BALDO GIAMBATTISTA BLDGBT43D09L781P;
– intimato –

avverso la sentenza n. 323/2008 della CORTE D’APPELLO
22,4U-22,-`7»1—

di VENEZIA, 4eigagg-t-a-t-er il 22/01/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/03/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO
ORICCHIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale e per l’assorbimento
del ricorso incidentale condizionato.

agli avvocati MANGO SALVATORE, LILLO LORENZO;

CONSIDERATO in FATTO
Con atto di citazione notificato in data 18 luglio 1994
Bonomi Gilberto conveniva in giudizio innanzi al
Tribunale di Verona il commercialista Baldo
Giambattista, chiedendone, a titolo di responsabilità
professionale, la condanna al risarcimento dei danni
subiti per negligente condotta.
In particolare veniva lamentato il fatto che il convenuto
aveva, con imperizia, tenuto una condotta omissiva e
contraria alle istruzioni ricevute in occasione del
mancato appello nei termini di legge avverso la decisione
della Commissione Tributaria di Verona n. 1135 del 9
aprile 1991, relativa ai ricorsi avverso gli avvisi di
rettifica del locale Ufficio IVA relativi agli anni 1983,
1984, 1985 e 1986 e ad imposte poi non potute neppure
condonare ex L. n. 413/1991 in assenza della pendenza
del contenzioso.
Con sentenza non definitiva n. 123 del 18 gennaio 2008
il Tribunale di Verona riconosceva la responsabilità per
colpa di Baldo Giambattista condannando lo stesso a
rifondere i danni in favore di Bonomi Gilberto,
rimettendo la causa in istruttoria per la quantificazione, a
mezzo consulenza tecnica di ufficio, dei danni medesimi.
Con sentenza n. 3839/2006 lo stesso Tribunale di
Verona condannava il Baldo al pagamento in favore di
Zanardi Luciana e Bonomi Roberta, quali eredi di
Bonomi Gilberto, della somma di € 50.683,33,oltre
interessi legali e spese processuali.
Avverso entrambe le suddette decisioni del Tribunale di
primo grado interponeva appello il Baldo, chiedendone
la riforma.
Resistevano al proposto gravame le succitate eredi del
Bonomi.

1.-Con il primo motivo del ricorso principale si censura
il vizio di “omessa pronuncia e, quindi, ai sensi dell’art.
360 n. 5 c.p.c. in merito al secondo motivo di
impugnazione dell’atto di citazione di appello del dott.
Baldo notificato in data 3/2/2007”.
Si formula al riguardo ed ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. il
seguente testuale quesito :
“dica la Suprema Corte se vi è la violazione degli artt.
340 e 341 c.p.c., nell’ipotesi in cui il Giudicante, in sede
di sentenza definitiva e nell’esercizio delle proprie
funzioni previste dal codice di rito, disattende il dictum
della sentenza non definitiva, entrando nel merito della
predetta sentenza, integrandola ed assumendo le funzioni
proprie del Giudice del gravame, se non, addirittura la
funzione del legale della parte, così come avvenuto nella
fattispecie in esame”.
Il motivo è infondato e va rigettato.
Parte ricorrente lamenta, in sostanza, il fatto che il
giudice di prime cure, nella sentenza definitiva, abbia
4

La Corte di Appello di Venezia, riuniti gli appelli, con
sentenza n. 323/2008 li respingeva, confermando le
sentenze impugnate e condannando l’appellante al
pagamento delle spese processuali del grado.
Per la cassazione della detta decisione della Corte di
appello distrettuale ricorre il Baldo con atto affidato a
cinque ordini di motivi, assistiti dalla formulazione di
quesiti ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..
Resistono con controricorso e ricorso incidentale
condizionato al secondo motivo del ricorso principale la
Zanardi e la Bonomi.
Hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. Baldo
Giambattista e Zanardi Luciana e Bonomi Roberta.
RITENUTO in DIRITTO

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“nuovamente motivato e argomentato e motivato
sull’esistenza responsabilità professionale Baldo”.
Il motivo ed il quesito non sono pertinenti rispetto
all’oggetto dell’odierno giudizio, che — è bene ricordarloverte sulla decisione oggetto di impugnazione innanzi a
questa Corte.
Per di più i/Può costituire oggetto di odierna censura
l’allegata circostanza che, nella sentenza definitiva di
primo grado, il giudice abbia (ri)riaffermato l’esistenza
della detta responsabilità professionale con deduzioni,
che —secondo la stessa prospettazione di parte ricorrente,
devono intendersi meramente integrative.
Il motivo è, infine, carente per mancato rispetto del noto
principio di
autosufficienza quanto alla specifica
indicazione ed individuazione delle parti della cennata
decisione in cui si sarebbe concretizzata la riproposizione
della deduzioni che ribadivano la citata responsabilità.
2.- Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta il
vizio di “violazione dell’art. 113 c.p.c. e 48 Legge
413/91 e, quindi, ai sensi dell’art. 360n. 3 c.p.c. per aver
erroneamente ritenuto necessaria l’impugnazione della
sentenza della Commissione Tributaria di Verona ai fini
della proposizione del condono fiscale”.
Si sottopone al vaglio di questa Corte il seguente testuale
quesito di diritto :
“dica la Suprema Corte se la presentazione dell’isttanza
di definizione automatica delle liti pendenti senza
l’impugnazione della sentenza della Commissione
Tributaria non passata in giudicato, come nella
fattispecie in esame, costituisce motivo di
inammissibilità della stessa e se, quindi, vi sia la
violazione dell’art. 48 della legge 413/91”.
Il motivo è infondato e deve essere rigettato.

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Il relativo proposto quesito è del tutto irrilevante al fine
dell’odierno decidere.
Deve premettersi che, in questa sede, non è possibile il
riesame (che sostanzialmente la parte chiede) della
questione di natura tributaria relativa relativa alla
mancata proposizione dell’appello avverso la sentenza
della Commissione tributaria di primo grado ed alla
necessità della pendenza di detto gravame al fine della
valida proposizione del condono.
Tanto anche in dipendenza del fatto (di cui si dirà più
specificamente in seguito) che, al momento
dell’intervenuta pronuncia della citata decisione della
Commissione tributaria di primo grado ed a quello
successivo del passaggio in giudicato della stessa, non
era ancora intervenuto il provvedimento relativo al
condono.
Peraltro la valutazione che il professionista ben poteva
fare, a suo tempo, circa l’opportunità della proposizione
del detto appello, l’adempimento dell ‘onere
professionale di informazione nei confronti del cliente e
le eventuali disposizioni di quest’ultimo al medesimo
professionista, costituiscono tutti elementi della
controversia attinenti più pertinentemente ai Aivi
(secondo e terzo) di cui si dirà di seguito.
3.- Con il terzo motivo del ricorso in esame si deduce il
vizio di “omessa e/o erronea ed insufficiente motivazione
e, quindi, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., in merito alla
tempestività del’istanza di condono presentata dal dott.
Baldo”.
Parte ricorrente formula, al riguardo ed ai sensi dell’art.
366 c.p.c., il seguente testuale quesito di diritto :
“dica la Suprema Corte se vi è la violazione dell’art. 48
della Legge 413/91 e, quindi, se l’istanza di condono
presentata dal dott. Baldo è, o meno, tempestiva

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nell’ipotesi in cui viene inviata la comunicazione
dell’Ufficio IVA attestante la mancata produzione degli
effetti dell’istanza di condono in considerazione della
definitività della decisione di primo grado (come nella
fattispecie in esame la comunicazione dell’Ufficio IVA
del 7/10/1996) in mancanza del provvedimento dio
diniego dell’istanza di condono”.
Il motivo è, nel senso di seguito specificato, fondato e va
conseguentemente accolto.
L’impugnata decisione, sul solo ritenuto presupposto
della mancata osservanza dell’onere professionale di
informazione, afferma che “diviene irrilevante accertare
se e in che termini l’istanza di condono fosse stata
tempestiva in quanto effettuata quando non era ancora
divenuta definitiva la sentenza (tributaria) di primo grado
per effetto della sospensione dei termini”.
L’assunto, in quanto non adeguatamente sonetto da
idonea e congrua motivazione, non può essere condiviso.
L’accertamento, sulla scorta delle acquisite emergenze
istruttorie, circa la proposizione dell’istanza di condono
concordata o meno nel rapporto professionista-cliente
appare rivestire valore determinante al fine della
decisione della controversia.
Andava, quindi, verificato —anche sotto l’aspetto del
consenso informato- la sussistenza o meno di una
volontà (del cliente, del professionista o di entrambi) di
proporre la detta istanza di condono o, alternativamente,
di ricorrere al giudice tributario di secondo grado.
Tanto, per di più, in ragione della verifica delle reali
intenzioni delle parti del rapporto professionale, della
cognizione che le stesse avevano circa le aspettative sulla
definizione della controversia tributaria anche in
dipendenza del periodo del fatto e di quello (successivo)
di promulgazione della legge n. 413/1991.

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4.- Con il quarto motivo del ricorso si denuncia la
“violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e, quindi, ai sensi
dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per erronea interpretazione delle
risultanze probatorie in ordine all’esistenza del
conferimento dell’incarico per l’impugnazione della
sentenza n. 1135 del 9/4/1991 della Commissione
Tributaria di Verona di primo grado.
Il motivo è fondato e comporta l’accoglimento, in punto,
del ricorso principale.
Nella decisione impugnata si afferma che “il
professionista deve porre il cliente in grado di decidere
consapevolmente, sulla base della valutazione ponderata
di tutti gli elementi favorevoli e contrari della situazione
dedotta in rapporto ragionevolmente prevedibili, se
affrontare o meno i rischi, di varia natura a seconda della
attività richiesta la professionista, ai quali questa lo
esponga o possa eventualmente esporlo”.
L’assunto è condivisibile, specie con riguardo a quegli
elementi ragionevolmente prevedibili (quali, ad esempio,
quelli riguardanti le possibilità connesse alla pendenza
della controversia tributaria per effetto della
proposizione di gravame).
Tuttavia la Corte territoriale non ha, con compiuta,
adeguata e logica motivazione, dato conto della verifica
dei presupposti di fatto, per come risultanti dalle
emergenze istruttorie, giustificanti il predetto e pur
corretto assunto astrattamente affermato.
Inoltre ( e decisivamente) non appare assolutamente
giustificato un secondo elemento sui cui è fondata la
decisione gravata.
In essa si afferma che “in questo contesto diviene
irrilevante accertare se vi sia stato o meno da parte del
cliente l’incarico di impugnare la decisione 1135/1991

-

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alla luce dell’onere di informazione che gravava sul
professionista”.
Orbene proprio per la gravità delle conseguenze, poi
ritenute dalla Corte a quQi “riguardo all’aspetto
risarcitorio” della fattispecie, andava adeguatamente
sostenut04, con argomentazioni logiche ed approfondite,
proprio quella risultanza o meno dell’incarico da parte
del cliente di impugnare la decisione della Commissione
tributaria di primo grado.
Tanto a maggior ragione in dipendenza della circostanza
che, in ipotesi, l’esclusione o la mancanza di tale incarico
conferiscono ben altra valenza anche al citato “onere
professionale di informazione”.
Quest’ultimo —quale fonte di responsabilità risarcitoriasarebbe, alla stregua di corretta valutazione nel merito
cui non può provvedere questa Corte, del tutto escluso o
parzialmente escluso (sotto il profilo della concorrenza)
nel caso, da verificare nell’ipotesi dedotta in giudizio, di
manifestazione ostativa o mancato conferimento
dell’incarico professionale de quo.
5. Con il quinto motivo del ricorso (ivi erroneamente
indicato a pag. 2 come ennesimo 4 0 motivo) si denuncia
il vizio di “violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e,
quindi, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per erronea
interpretazione delle risultanze probatorie per omessa,
insufficiente e/o contraddittoria motivazione in merito
alla sussistenza del danno subito dal sig. Gilberto
Bonomi”.
Viene, al riguardo, formulato il seguente testuale quesito
ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. :
“dica la Suprema Corte se vi è la violazione dell’art.
2697 c.c. in tema di onere della prova, nel caso in cui,
come nella fattispecie in esame, il Giudicante ritenga non
necessaria la prova del danno da parte del danneggiato,

La Corte
rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso
principale, accoglie il terzo ed il quarto motivo dello
stesso, assorbito il quinto ed il ricorso incidentale
condizionato, cassa l’impugnata sentenza e rimette,
anche per le spese del presente giudizio, innanzi ad altra
sezione della Corte di Appello di Venezia.

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ritenendo sufficiente il calcolo effettuato dalla
consulenza tecnica d’ufficio, che non costituisce mezzo
di prova”.
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del precedente
terzo e quarto.
6.- Col ricorso incidentale, condizionato al secondo
motivo del ricorso principale, formulato dalle parti
resistenti e fondato sul solo proposto quesito di cui in
atto, si ripropone ennesimamente la questione della
della decisione della Commissione
definitività
Tributaria di primo grado.
Il ricorso incidentale condizionato in esame è assorbito
dal rigetto del secondo del secondo motivo del ricorso
principale.
7.- Alla stregua di quanto innanzi affermato e ritenuto il
proposto ricorso va accolto e la sentenza impugnata
deve essere cassata con rinvio della causa ad altra
sezione della Corte di Appello di Venezia, affinché la
stessa decida la controversia uniformandosi ai principi di
diritto sopra enunciati.
P.Q.M.

Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda
Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 18

marzo 2014.

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