Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10188 del 10/05/2011

Cassazione civile sez. VI, 10/05/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 10/05/2011), n.10188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 10923/2010 proposto da:

G.G. (OMISSIS), P.G.

(OMISSIS), R.A. (OMISSIS), S.

L. (OMISSIS), F.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI 137, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMO TROILI, rappresentati e difesi

dall’avvocato AUGELLO Antonino, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

SOCIETA’ di MUTUO SOCCORSO L’UNIONE, in persona del suo legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEICONDOTTI 9,

presso lo studio dell’avvocato SCHETTINO GIUSEPPINA, rappresentata e

difesA dall’avvocato TIRNETTA Salvatore, giusta mandato speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1957/2009 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del

23/10/09, depositata il 16/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RENATO RORDORF;

udito l’Avvocato Augello Antonino, difensore dei ricorrenti che si

riporta agli scritti; e l’avv. TIRNETTA Salvatore per il

c/ricorrente;

è presente il P.G. in persona del Dott. IMMACOLATA ZENO che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il relatore designato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato una relazione del seguente tenore:

“1. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 16 dicembre 2009, riformando una precedente sentenza del tribunale di Sciacca, ha rigettato le domande con le quali i sigg.ri F. F., R.A., P.G., S. L. e G.G., soci della società di mutuo soccorso L’Unione, avevano chiesto fosse dichiarata la nullità di una Delib. assunta il 27 dicembre 2003 dal consiglio di amministrazione di detta società, mediante la quale era stata revocata l’espulsione dal sodalizio di altri soci asseritamente privi dei requisiti prescritti dallo statuto dell’ente.

La corte palermitana ha ritenuto che difettasse l’interesse ad agire degli attori, non ledendo la delibera consiliare alcun loro diritto e non potendo il loro interesse consistere nel mero impulso al ripristino della legalità violata. Ha aggiunto poi la corte che a diversa conclusione non si sarebbe potuto pervenire nemmeno facendo leva sul fatto che la società aveva tra i propri scopi l’approntamento di loculi funerari per gli associati e che la presenza di soci privi dei necessari requisiti statutari avrebbe potuto in teoria limitare la disponibilità dei loculi a favore degli altri, perchè non era stata in concreto dimostrata l’eventuale insufficienza di tali loculi.

Avverso tale sentenza il sig. F. e gli altri suoi già menzionati litisconsorti hanno proposto ricorso per cassazione, ai quali la società intimata ha resistito con controricorso.

2. Il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., poichè è prospettabile la sua manifesta infondatezza.

2.1. Nel ricorso viene denunciata la violazione dell’art. 2377 c.c., perchè si sostiene che l’interesse all’impugnazione della deliberazione, non presa in conformità della legge o dello statuto (avendo il consiglio di amministrazione usurpato poteri spettanti per statuto all’assemblea), discende dalla stessa qualità di soci rivestita dagli impugnanti.

Si lamentano, poi, vizi di motivazione della sentenza impugnata, la quale avrebbe trascurato il fatto che l’indebito allargamento del numero dei soci precludeva agli altri la possibilità di ottenere i loculi forniti dalla società ed era perciò lesiva dei diritti degli odierni ricorrenti.

2.2. Giova premettere che, nella parte espositiva del ricorso, si fa cenno alla proposizione nell’atto di citazione di due domande: l’una per la dichiarazione di nullità della deliberazione assunta il 27 dicembre 2003 dal consiglio di amministrazione della società L’Unione e l’altra volta a far dichiarare la decadenza dei componenti del consiglio medesimo. L’impugnata sentenza della corte d’appello si è occupata in modo specifico ed espresso solo della prima di tali domande, ma, avendo concluso per il difetto di interesse degli attori a proporla, ne ha dedotto “l’assorbimento di ogni altra, censura della odierna appellante” ed ha quindi rigettato tutte le domande degli attori.

Costoro, a propria volta, nel proporre ricorso per cassazione, censurano la sentenza d’appello unicamente perchè è stato negato il loro interesse ad impugnare la suaccennata delibera consiliare, senza nulla dire in ordine al rigetto anche dell’altra domanda.

Pertanto, anche questa corte è qui chiamata ad occuparsi solamente della questione che concerne l’interesse a proporre la domanda con cui è stata chiesta la declaratoria di nullità della delibera del consiglio di amministrazione.

2.3. Con riferimento a tale questione, la violazione di diritto denunciata dai ricorrenti non pare riscontrabile.

Va chiarito, anzitutto, che, come indicato dalla sentenza di primo grado in un passaggio riportato nel ricorso ed al quale anche i ricorrenti sembrano perciò aderire (senza che la sentenza d’appello si sia pronunciata sul punto in modo difforme), la società di mutuo soccorso L’Unione non risulta essere stata a suo tempo costituita nelle forme prescritte dalla L. n. 3818 del 1886, ed è perciò, a differenza di quanto la sua denominazione suggerisce, non già una società (assimilabile ad una cooperativa), bensì un’associazione non riconosciuta.

Già tale rilievo rende problematico applicare all’impugnazione di un deliberato dell’organo amministrativo dell’associazione la citata disposizione dell’art. 2377 c.c., disposizione dettata in tema di impugnazione dei deliberati assembleari (e non già consiliari) di società per azioni, cui non corrisponde alcuna analoga previsione nella disciplina codicistica delle associazioni. Del tutto implausibile parrebbe, poi, riferirsi alla disciplina della nullità dei deliberati assembleari di società, tracciata dall’art. 2379 c.c., non sembrando in alcun modo possibile qualificare come illecito l’oggetto della delibera impugnata, ancorchè eventualmente essa sia stata presa in difformità della legge o dello statuto dell’ente e possa perciò, in tesi, esser considerata annullabile.

Conviene poi osservare che, anche qualora si volesse ipotizzare un’applicazione analogica alle associazioni del disposto dell’art. 2388 c.c., penultimo comma, nella parte in cui prevede la legittimazione dei soci ad impugnare le deliberazioni consiliari rinviando, in quanto compatibili, ai precedenti artt. 2377 e 2378, resterebbe ugualmente assai dubbia la legittimazione degli impugnanti nel caso in esame.

Quella disposizione, infatti, limita, la possibilità del socio d’impugnare una deliberazione consiliare al solo caso in cui tale deliberazione abbia leso un diritto di cui il socio medesimo sia titolare. Non v’è dubbio che possa trattarsi anche solo di un diritto corporativo, e non necessariamente di un diritto a contenuto immediatamente patrimoniale, ma nel caso in esame la corte d’appello ha appunto escluso che sia configurabile la lesione di un qualsivoglia diritto soggettivo dei soci in conseguenza dell’ammissione di altri soggetti in società; ed in effetti l’esistenza di un tale diritto non pare ravvisabile, non essendo la partecipazione ad un’associazione un bene di per sè insuscettibile di esser condiviso da altri soggetti e perciò tale da implicare la violazione del diritto di taluni associati per il mero fatto che ve ne siano altri.

2.4. Aggiungasi – ed il rilievo pare idoneo ad escludere anche il dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata – che neppure in termini di mero fatto la partecipazione di altri soci può compromettere l’interesse dei ricorrenti all’ottenimento dei loculi funerari forniti dall’associazione ed ai quali il ricorso fa cenno, fin quando non si dimostri, in concreto, che il maggior numero degli associati rende insufficienti per tutti i loculi disponibili. Ma la corte d’appello ha escluso, con un accertamento di fatto, come tale non sindacabile in questa sede, che una simile dimostrazione sia.

stata fornita nel giudizio di merito; ed i rilievi dei ricorrenti non paiono idonei a scalfire questo accertamento, non bastando a tal fine la semplice contrapposizione di una diversa opinione sul punto. Nè può certo dubitarsi, a tal proposito, che l’onere di dimostrare l’esistenza non solo di un interesse potenziale ed astrattamente delineato, bensì attuale e concreto, gravi su chi propone la domanda giudiziale”.

La corte condivide tali considerazioni, che non sono persuasivamente contrastate dalla memoria successivamente depositata dai ricorrenti.

In tale memoria si insiste, per un verso, nel sostenere che il mero rispetto della legalità statutaria basterebbe a fondare l’interesse del singolo associato ad impugnare la deliberazione dell’organo amministrativo dell’associazione denunciata come illegittima e, per altro verso, nell’affermare che l’indebita ammissione di altri associati lederebbe la concreta possibilità di usufruire dei servizi sociali da parte di essi ricorrenti.

In ordine a quest’ultimo rilievo non può che ribadirsi come l’accertamento in concreto della sufficienza dei loculi a soddisfare le esigenze di tutti o solo di una parte degli associati si risolva in un giudizio di merito, come tale non sindacabile in questa sede posto che le censure formulate dai ricorrenti non evidenziano vizi di motivazione dell’impugnato provvedimento sul punto.

Quanto all’altro aspetto, di ordine più generale, del pari occorre ribadire come solo per le deliberazioni di organi collegiali alle quali il socio o l’associato concorra (o possa concorrere) con il proprio voto è configurabile un diritto d’impugnazione legato al mero fatto che la deliberazione non sia conforme alla legge o allo statuto dell’ente: perchè solo deliberazioni assunte in conformità della legge e dello statuto vincolano tutti i soci ed impongono anche all’eventuale dissenziente di sottostare al volere della maggioranza.

Altro è, invece, quando si tratti di deliberazioni di organi consiliari rispetto alle quali al socio o all’associato non compete alcun diritto di partecipazione diretta e che, proprio per questo, in tanto sono da lui impugnabili in quanto idonee a ledere una sua posizione soggettiva specificamente tutelata dall’ordinamento, come chiaramente esplicitato, per quel che concerne le società azionarie, dal quarto comma dell’art. 2388 c.c.. Norma, questa, che ben distingue la legittimazione ad impugnare i deliberati consiliari ad opera dei componenti assenti o dissenzienti dello stesso organo collegiale (oltre che ad opera del collegio sindacale), fondata sul mero fatto che essi siano stati assenti o dissenzienti rispetto alla deliberazione ipoteticamente illegittima, dalla legittimazione dei soci, come tali estranei all’organo collegiale, che sussiste solo in quanto possa postularsi che detta deliberazione abbia concretamente leso un loro diritto. Trattasi di un principio di ordine generale, destinato ad operare anche con riguardo alle associazioni non riconosciute.

Il ricorso, pertanto, dev’essere rigettato, alla stregua del seguente principio di diritto: “Le deliberazioni assunte dall’organo di amministrazione di un’associazione non riconosciuta non sono impugnabili per violazione di legge o dello statuto da parte dell’associato che non sia componente del medesimo organo amministrativo, salvo che ne risulti direttamente leso un suo diritto”.

I ricorrenti, essendo rimasti soccombenti, vanno condannati al pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute dalla associazione controricorrente, liquidate come in dispositivo, nè a tal riguardo possono trovare accoglimento le eccezioni d’inammissibilità del controricorso sollevate dai medesimi ricorrenti. Non quella basata sulla unicità della copia dell’atto indirizzato ad una pluralità di destinatari presso il medesimo domiciliatario, avendo questa corte già statuito che il principio secondo cui la notificazione dell’atto di impugnazione deve avvenire mediante consegna di tante copie quante sono le parti contro cui l’impugnazione è proposta, ancorchè unico sia il procuratore presso cui esse abbiano eletto domicilio, non si applica agli atti – come il controricorso in cassazione – che mirino a resistere al gravame, per i quali pertanto, nel caso di ricorso proposto da pluralità di ricorrenti difesi da unico professionista, è sufficiente la notifica di unica copia dell’atto nel domicilio degli stessi eletto presso il comune difensore (Cass. 1 agosto 2007, n. 16959). E neppure quella riguardante il preteso difetto di competenza territoriale dell’ufficiale giudiziario che ha proceduto alla notificazione del controricorso, trattandosi di un vizio che, se pure esistente, risulterebbe comunque sanato per il raggiungimento dello scopo dell’atto.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2011

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