Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10186 del 19/05/2015


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Civile Sent. Sez. U Num. 10186 Anno 2015
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: NAPOLETANO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 8802-2012 proposto da:
LAPOLLA GIUSEPPE, MELONI CORRADO, MICHETTI ITALO,
2015

FABRIZI GIANNI, nella qualità di erede di Fabrizi

191

Vittorio, POLIDORI ROSANNA, nella qualità di erede di
Iacovoni Franco, VILLANI IVANA, nella qualità di erede
di Orlandi Carlo, ORLANDI STEFANIA, nella qualità di
erede di Monetti Mario, SARTORI ELENA, nella qualità di

Data pubblicazione: 19/05/2015

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erede di Sartori Giorgio, NIZZI LAURA, BONAVENTURA IDA,
nella qualità di erede di Vitale Raffaele, ORGANTINI
MARIA TERESA, PROIETTI GIANCARLO, FIORI IOLE, nella
qualità di erede di Rossi Antonio, GANDINI ANNA GRAZIA,
elettivamente domiciliati in ROMA, LARGO DEI LOMBARDI 4,

ARENA, ANGELO CASILE, che li rappresentano e difendono,
per deleghe in calce al ricorso;
– ricorrenti contro

ENEA – AGENZIA NAZIONALE PER LE NUOVE TECNOLOGIE,
L’ENERGIA E LO SVILUPPO ECONOMICO SOSTENIBILE;
– intimato –

avverso la sentenza n. 1812/2011 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 01/04/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/04/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
NAPOLETANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO, che ha concluso per il
rigetto del primo motivo, inammissibilità del secondo e
del terzo, inammissibilità, in subordine rigetto, del
quarto.

presso lo studio degli avvocati PAOLO PASCAZI, GREGORIO

RG 8802-12 N.18 PU 28-415

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Roma, per quanto in questa sede interessa, confermando
la sentenza del Tribunale di Roma, dichiarava il proprio difetto di
giurisdizione in ordine alla domanda svolta dai ricorrenti in epigrafe,
quali ex dipendenti dell’ENEA cessati dal servizio in epoca antecedente al
30 giugno 1998, per la condanna di tale Ente al pagamento in favore di
ciascuno, delle somme indicate in ricorso, in ragione della mancata
integrazione del trattamento previdenziale liquidato all’atto della
cessazione del rapporto, respingeva, invece, nel merito la domanda con
riferimento a quei dipendenti ancora in servizio alla predetta data del 30
giugno 1998.
A fondamento del decisum la Corte territoriale poneva, per quanto atteneva
alla declaratoria di difetto di giurisdizione, il fondante rilievo secondo
il quale l’oggetto sostanziale della controversia era rappresentato dalla
esecuzione del contratto assicurativo strettamente collegato al rapporto di
lavoro ed al trattamento di fine rapporto concernente il periodo antecedente
il 1° luglio 1998, per cui nella fattispecie, trattandosi di prestazioni
aventi natura retributiva e non previdenziale, trovava applicazione la norma
di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 69, che, nel dettare la disciplina
transitoria per il passaggio delle controversie di lavoro di pubblico
impiego, attribuiva alla giurisdizione ordinaria le sole controversie
relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo
al 30.6.1998, lasciando alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo quella relativa a questioni, come quella oggetto di causa,

e

attinenti al periodo antecedente.
Relativamente ai dipendenti non cessati dal servizio alla predetta data del
30 giugno 1998 la Corte di Appello, sull’assunto che il trattamento
pensionistico per cui era causa era strutturalmente inerente al rapporto di
impiego posto in essere con l’ente datore di lavoro ed originava

24 marzo 2010 n.7035 e 7038) secondo il quale correttamente l’art. 52 del
c.c.n.l. 31 dicembre 1982 per i dipendenti dell’ENEA, nel prevedere
espressamente – in attuazione dell’art. 8, primo coma, della legge n. 84
del 1982 – la conservazione del trattamento stesso “nel valore maturato
nell’ultimo mese di vigenza” del precedente regime giuridico, regolato con
la legge n. 70 del 1975, confermava i diritti, di natura retributiva e non
previdenziale, già acquisiti dai lavoratori, con esclusione di ogni
reformatio in pejus ai loro danni.
Aggiungeva, inoltre la Corte territoriale, che, comunque, correttamente il
Tribunale aveva dichiarato prescritta la pretesa di alcuni ex dipendenti
cessati dal servizio in epoca successiva al 30 giugno 1998 non trovando
applicazione la prescrizione decennale poiché non si verteva in materia di
trattamento previdenziale
Avverso questa sentenza i ricorrenti in epigrafe ricorrono in cassazione
sulla base di quattro censure.
Parte intimata non svolge attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima censura i ricorrenti, deducendo violazione dell’art.442, coma
2°, c.p.c. e vizio di motivazione, sostengono la giurisdizione del giudice

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un’obbligazione di natura retributiva, ribadiva il principio (di cui a Cass.

otainario in ragione della natura previdenziale dell’azione proposta in
giudizio
Col secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa
interpretazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, coma 7, in relazione
agli artt. 3, 10, 111 e 117 Cost., agli artt.

20, 21 e 47 della Carta dei

della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali, assumono che nella interpretazione della citata norma del
D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, i giudici d’appello non avrebbero
considerato il principio per il quale ognuno ha diritto a che la sua causa
sia esaminata equamente da un giudice indipendente ed imparziale, né quello
secondo il quale l’applicazione della norma interna non deve comportare
ingiustificati ed irragionevoli trattamenti discriminatori fondati sull’età
degli aventi diritto, in relazione a quanto previsto dal contratto
assicurativo per la scadenza delle polizze individuali, in modo da non
precludere a coloro che sono cessati dal servizio prima del 30.6.1998 la
possibilità di agire giudizialmente innanzi all’autorità giudiziaria
ordinaria, laddove anche per fatti imputabili a terzi, sia decorso il
termine previsto per adire il giudice amministrativo.
I due motivi, che in quanto strettamente connessi dal punto di vista logicogiuridico vanno trattati unitariamente, sono infondati.
Ai fini della giurisdizione, infatti, come più volte affermato da queste
Sezioni Unite in fattispecie del tutto sovrapponibili alla presente (per
tutte V. Cass. S.U.12 ottobre 2009 n.21553, Cass_ S.U.12

ottobre 2009

n.21554, Cass. S.U. 14 aprile 2010 n. 8831 e Cass. S.U.23 marzo 2011 n.

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Diritti fondamentali dell’Unione Europea, e agli artt. 6, 13, 14, 17 e 18

6599), e qui va ribadito, non è sufficiente la natura latamente
previdenziale della prestazione richiesta, ma è necessario altresì che tale
prestazione sia dovuta da un ente preposto alla previdenza obbligatoria
nell’ambito di un rapporto (previdenziale) che trovi fonte esclusiva nella
legge e abbia causa, soggetti e contenuto diversi rispetto al rapporto di

come mero presupposto di fatto e non come momento genetico del diritto alla
prestazione. Ricorrendo siffatti requisiti, vi è la giurisdizione del
giudice ordinario anche quando il lavoratore sia un pubblico impiegato,
salvo il caso di giurisdizione della Corte dei Conti.
Del tutto diverso è il caso, come quello di specie, in cui la prestazione di
contenuto genericamente previdenziale sia dovuta al lavoratore come
prestazione del datore di lavoro nell’ambito di una forma di previdenza
interna a carattere aziendale, anche se il fondo all’uopo costituito sia
alimentato dai contributi a carico anche dei lavoratori.
Difatti le somme in tal modo raccolte appartengono ai soggetti del rapporto
di lavoro e costituiscono l’accantonamento di una parte della retribuzione a
fini previdenziali (in tal modo realizzandosi, ma per il tramite della
retribuzione, la funzione previdenziale di cui all’art. 38 Cost.), ed hanno
perciò natura del tutto diversa da quella assunta dai contributi
previdenziali obbligatori.
La stretta inerenza sostanziale al rapporto di impiego, tale che la
contribuzione non è altro che una parte della prestazione retributiva,
incide sulla determinazione della giurisdizione, nel senso che le relative
controversie sono devolute al giudice del rapporto, e di conseguenza al

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lavoro, il quale a sua volta si ponga rispetto al rapporto previdenziale

gitidice amministrativo, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma
7, se si riferiscono a situazioni giuridiche soggettive maturate
anteriormente alla data del 30 giugno 1998 (Cfr. per tutte Cass. S.U. 23
aprile 2008 n. 10464 del 2008).
Nel caso in esame risulta verificata quest’ultima ipotesi, essendosi

ha chiesto, appunto, il risarcimento del danno in relazione ad una
prestazione del datore di lavoro dovuta nell’ambito di una forma di
previdenza interna a carattere aziendale.
Né rileva, come sottolineato da Cass. S. U. 18 giugno 2013

n.

15210, che

alcune clausole del contratto di assicurazione abbiano un contenuto che
sarebbe qualificabile come strettamente previdenziale avendo ad oggetto
previdenze per il caso di morte o invalidità del dipendente o la copertura
di altri rischi speciali che possono verificarsi nel corso del rapporto di
lavoro.
Tale deduzione non incide sulle considerazioni che precedono e riguarda
comunque un settore nettamente separato dell’assicurazione in parola,
relativo ai dipendenti che hanno figli minori a carico e fino a che questi
sono a carico mentre l’oggetto degli ulteriori rischi speciali è unicamente
quello derivante dal volo in aeromobile, che per come è disciplinato, allude
all’ipotesi non certo frequente di viaggi collettivi aziendali.
La declaratoria di carenza di giurisdizione adottata dal giudice di appello
è, quindi, corretta anche sotto il profilo motivazionale.
Del resto, e per quanto riguarda il secondo motivo, va qui ribadito (Cfr.,
per tutte, Cass. S.U. 21 giugno 2005 n. 13290 o Cass. S.U. 8 maggio 2007 n.

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accertato che il dipendente cessato dal servizio prima della predetta data

10371e da ultimo Cass. S.U. 18 giugno 2013 n. 15210 cit.) che alla
persistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nei
limiti temporali suindicati, non è d’ostacolo la circostanza che l’esaminata
norma di diritto transitorio ponga una sanzione di decadenza con riguardo
alle controversie conservate a tale giurisdizione esclusiva, ma non

consolidata giurisprudenza delle Sezioni unite e diversamente da quanto
ipotizzato dalla ricorrente, è diritto vivente quello che prevede essere
stata fissata la data ora indicata, non quale limite alla persistenza
(relativamente alle questioni caratterizzate dagli esposti requisiti
temporali) della giurisdizione suddetta, ma quale termine di decadenza per
la proponibilità della domanda giudiziale, con conseguente attinenza di ogni
questione sul punto ai limiti interni della giurisdizione, senza che rilevi
la diversa formula usata dal citato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma
7, (“…qualora siano state proposte….”), rispetto a quella già presente
nel D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, coma 17, (“…e debbono essere
proposte… “), trattandosi di una differenza semantica giustificata non da
una nuova ratio della disciplina sopravvenuta, bensì soltanto dall’essere
stata superata, al momento dell’emanazione del provvedimento normativo più
recente, la data presa in considerazione (v., ex multis, Cass. S.U. 4 luglio
2002 n. 9690; id. 17 giugno 2002 n. 8700; id. 4 giugno 2002 n. 8089).
La norma in questione e prima ancora quella analoga stabilita al D.Lgs. n.
80 del 1998, art. 45, comma 17, seconda parte sono state ripetutamente
ritenute costituzionalmente legittime dalla Corte Cost. (Cfr. le ordinanze,
nn. 214/2004, 213/2005, 382/2005, 197/2006) la quale, in particolare, ha

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introdotte prima della data del 15 settembre 2000: invero, per effetto di

ritenuto che la disparità di trattamento tra dipendenti privati e dipendenti
pubblici – i soli soggetti ad un termine di decadenza relativamente ai
diritti sorti anteriormente alla data indicata “è ragionevolmente
giustificata dall’esigenza di contenere gli effetti, temuti dal legislatore
come pregiudizievole per il regolare svolgimento dell’attività

al giudice ordinario e dal contemporaneo mantenimento di tale competenza in
capo ai TAR”, ai quali venivano altresì attribuite nuove competenze
giurisdizionali in materie correlate ai servizi pubblici e al governo del
territorio.Quanto poi alla denunciata violazione degli artt. 24 e 113 Cost.
(e l’osservazione può essere riferita anche alla pretesa violazione
dell’art. 111 Cost.) la Corte costituzionale l’ha esclusa “dal momento che,
da un lato, non è certamente ingiustificata… la previsione di un termine
di decadenza e, dall’altro lato, tale termine (di oltre ventisei mesi) non è
certamente tale da rendere oltremodo difficoltosa la tutela
giurisdizionale”. Analoghe considerazioni possono essere svolte con riguardo
alle censure di violazione del principio di un processo equo e giusto, così
come enunciato dalle norme sovranazionali indicate, con la precisazione che
appare del tutto fuori luogo il riferimento fatto dalla difesa dei
ricorrenti a censure che hanno ad oggetto normative nazionali disciplinanti
retroattivamente la sorte di situazioni giuridiche preesistenti vantate nei
confronti dello Stato. La disposizione di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art.
45, comma 17 correttamente riprodotta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69,
comma 7 stabilisce, infatti, a partire dalla sua entrata in vigore un
termine di decadenza per l’esercizio dei diritti in questione, della cui

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giurisdizionale, prodotti dal trasferimento della competenza giurisdizionale

ragionevolezza e congruità non è più possibile dubitare. D’altro canto, come
affermato da queste Sezioni Unite, in tema di pubblico impiego
contrattualizzato, nel regime transitorio di devoluzione del contenzioso
alla giurisdizione ordinaria, spetta al giudice fornito di giurisdizione,
come tale riconosciuto, accertare gli effetti delle domande proposte oltre

69, comma 7, del D.lgs. n. 165 del 2001 per le controversie relative a
questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno
1998 ( Cass. S.U. 29 maggio 2012 n.8520), sicché è davanti al giudice
fornito di giurisdizione, e non in questa sede in cui le Sezioni Unite sono
chiamate a giudicare esclusivamente della giurisdizione, che può rilevare un
eventuale incompatibilità del predetto art. 69, comma 7, del citato D.Lgs.
n. 165 del 2001 con le norme sopranazionali.

I motivi in esame che riguardano gli ex dipendenti cessati dal servizio in
data antecedente al 30 giugno 1998, in base alle esposte considerazioni
vanno conseguentemente rigettati essendo corretta la declaratoria di carenza
di giurisdizione adottata dal giudice d’appello.
Con la terza censura, relativa ad alcuni dipendenti cessati dal servizio in
epoca successiva al 30 giugno 1998 in ordine ai quali la Core di Appello ha,
altresì, confermato la sentenza del Tribunale in punto di ritenuto decorso
della prescrizione, denunciandosi,

ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e

falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 cc, si critica l’affermata
applicazione della prescrizione quinquennale sul rilievo che trattandosi di
crediti di natura previdenziale era operante la prescrizione decennale.

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il termine del 15 settembre 2000, sancito “a pena di decadenza” dall’art.

Cdh la quarta censura, proposta, anche questa, in relazione alla posizione
di alcuni lavoratori cessati dal servizio in epoca successiva alla predetta

ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e

data del 30 giugno 1998, deducendosi,

falsa applicazione degli artt. 1411 e 1920, ultimo comma c.c., si sostiene
la natura autonoma del diritto di credito azionato e la relativa

coma 4 CCL Enea, quale diritto quesito discendente direttamente ed
immediatamente dalla polizza assicurativa.
La quarta censura è infondata.
E’ sufficiente richiamare e ribadire quanto in proposito osservato da questa
Corte in fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente( V. per tutte
Cass. 24 marzo 2010 n.7035 e 7038 cit. nonché Cass. 18 marzo 2010 n. 6573)
In particolare va rimarcato, ferma restando, come rilevato in precedenza. la
natura non previdenziale del credito di cui trattasi che la L. n. 70 del
1975, art. 14, coma 2, ha stabilito che “i fondi integrativi di previdenza
previsti dai regolamenti di taluni enti sono conservati limitatamente al
personale in servizio o già cessato dal servizio alla data di entrata in
vigore della presente legge”.
La L. n. 84 del 1982, art. 8, comma l, ha disposto però che “il trattamento
giuridico ed economico del personale dipendente dall’ENEA è regolato sulla
base di un contratto collettivo di lavoro di durata triennale, da stipularsi
con le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino
all’entrata in vigore del primo contratto collettivo, il rapporto di lavoro
dei dipendenti è regolato dalla disciplina vigente sulla base della L. 20
marzo 1975, n. 70”.

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intangibilità ed indifferenza rispetto alle modifiche previste dall’art. 52,

.11

PCrtanto la previsione dell’art. 52 del CCNL del 1982, laddove stabilisce
che “i dipendenti che, alla data di entrata in vigore del presente contratto
usufruiscono del trattamento integrativo di previdenza in forma assicurativa
in essere presso l’Enea, conservando il trattamento stesso nel valore
maturato nell’ultimo mese di vigenza del precedente ordinamento in base alla

L. n. 84 del 1982, art. 8, comma 1, e, dall’altro, conferma i diritti (di
natura retributiva e non previdenziale) già acquisiti dai lavoratori
interessati. Conseguentemente la quantificazione del trattamento integrativo
nei termini indicati dalla contrattazione collettiva non può essere
considerata una illegittima reformatio in peius rispetto a quanto previsto
dall’art. 14 della legge n. 70 del 1975.
A tanto va aggiunto che la rilevata stretta inerenza sostanziale dei diritti
azionati al rapporto di impiego, tale che la contribuzione non è altro che
una parte della prestazione retributiva, sulla quale non incide, come detto,
la presenza di alcune clausole del contratto di assicurazione che avrebbero
un contenuto qualificabile come strettamente previdenziale, esclude
l’applicabilità, nella specie, della disciplina di cui al denunciato art.
1920 c.c. che attiene alla diversa ipotesi dell’assicurazione sulla vita a
favore di un terzo.
Né va sottaciuto che, comunque, secondo giurisprudenza, qui da ribadire, di
questa Corte, nel contratto assicurativo con designazione del beneficiario,
il diritto all’indennizzo nasce direttamente nel patrimonio del beneficiario
come autonomo credito nei confronti dell’assicuratore ( per tutte Cfr. Cass.
S.U. 2 aprile 2007 n. 8095), mentre nel caso in esame il diritto è fatto

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relativa normativa”, da un lato da esecuzione a quanto disposto dalla citata

4

valere nei confronti dell’assicurato.
Non sono, quindi, configurabili diritti quesiti nei termini dedotti con il
presente motivo.
Il motivo all’esame va, quindi, rigettato.
L’esame della terza censura rimane assorbito poiché la domanda dei

rigettata dalla Corte del merito sulla base dell’autonoma

ratio

dell’infondatezza nel merito di detta pretesa, sicché la impugnata sentenza
va mantenuta ferma in virtù di tale ultima autonoma ragione la cui censura è
risultata infondata.
El, infatti giurisprudenza di questa corte, qui ribadita, che qualora la
decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro
distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e
giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle
rationes decidendi

rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di

interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte
oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque
condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione
della decisione stessa ( Cfr. per tutte Cass. 14 febbraio 2012 n.2108 e
Cass. S.U. 29 marzo 2013 n. 7931).
In conclusione il primo il secondo ed il quarto motivo vanno rigettati ed il
terzo dichiarato assorbito
Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio non avendo parte
intimata svolto attività difensiva.

I’

dipendenti, di cui è stata dichiarata prescritta la pretesa è, altresì,

^

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle Sezioni Unite del 28

aprile 2015

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