Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10186 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10186 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FASANO Sabatantonio, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Rocco Fasano,
con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Luigi Tecce in
Roma, largo F. Anzani, n. 19 (androne B, interno 13);

– ricorrente contro
COLAFIGLIO Michele;
– intimato –

per la revocazione della

sentenza della Corte di cassazione,

Il Sezione civile, 27 ottobre 2011, n. 22416.

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Data pubblicazione: 09/05/2014

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 febbraio 2014 dal Consigliere relatore Dott. Alberto
Giusti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Pro-

per l’inammissibilità o, comunque, per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
l. – Sabatantonio Fasano, avendo commissionato dei lavori
di ricostruzione di un fabbricato a Michele Colafiglio, titolare della ditta omonima, convenne quest’ultimo in giudizio,
innanzi al Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, per sentirlo
condannare al risarcimento dei danni da difetti dell’opera e
da ritardo nella consegna, questi ultimi sulla base di apposita clausola penale. Il convenuto resistette alla domanda, eccependo la decadenza dall’azione di garanzia e la prescrizione
del relativo diritto, e propose domanda riconvenzionale intesa
al pagamento del residuo corrispettivo, quantificato in lire
30.200.000.
Il Tribunale accolse in parte entrambe le domande e, previa riduzione di euro 2.582,28 per i soli difetti
dell’impianto di riscaldamento, condannò Sabatantonio Fasano
al pagamento, in favore di Michele Colafiglio, della somma di
euro 11.402,10, quale residuo prezzo.
2. – Sull’impugnazione principale del Fasano e incidentale
del Colafiglio, la Corte d’appello di Napoli condannò il primo

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curatore Generale dott. Aurelio Golia, il quale ha concluso

al pagamento in favore del secondo della somma di euro
13.984,30.
Ritenne la Corte territoriale che la denuncia dei vizi dovesse considerarsi tardiva anche a supporre che l’opera fosse

dall’attore, e che, quindi, l’eccezione dell’appaltatore era
fondata anche con riferimento ai pretesi difetti dell’impianto
di riscaldamento, denunciati il 10 febbraio 1989, e non già il
12 luglio 1988 come erroneamente ritenuto dal giudice di primo
grado.
In ordine alla penale, il giudice d’appello ritenne che
fosse onere dell’attore, trattandosi di illecito contrattuale,
provare il ritardo nella consegna dell’opera quale fatto costitutivo del diritto al risarcimento. Tale onere non era stato assolto, né al riguardo potevano valere le affermazioni
contenute nella comparsa conclusionale di primo grado di parte
Colafiglio, nella quale si ipotizzava che la consegna fosse
avvenuta, alternativamente, il 31 dicembre 1986, o il 4 febbraio 1988 o più probabilmente nel mese di dicembre 1987,
trattandosi di dichiarazioni rese dai procuratori in atti non
sottoscritti dalla parte.
Infine, la Corte territoriale ritenne adeguatamente provata la pretesa dell’appaltatore, sulla base dell’accordo intercorso ante causam tra le parti in seguito alla redazione della
contabilità dei lavori.

stata consegnata il 4 febbraio 1988, come indicato

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorreva Sabatantonio rasano, con un unico complesso motivo d’annullamento,
illustrato da memoria.
La parte intimata non svolgeva attività difensiva.

deduceva la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 324, 342 e 112 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1669, 1667 e 1967 cod. civ., in relazione all’art.
360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.
Con una prima critica parte ricorrente sosteneva che nel
ritenere fondata l’eccezione di decadenza dalla garanzia per
difformità dell’opera, la Corte d’appello non avesse tenuto
conto del giudicato interno formatosi sull’accertamento, ad
opera del Tribunale, della data di tempestiva denuncia dei difetti dell’impianto di riscaldamento, atteso che tale parte
della decisione di primo grado non era stata investita
dall’impugnazione incidentale del Colafiglio, diretta unicamente a censurare l’esistenza dei difetti e la loro quantificazione.
Con una seconda censura il ricorrente contestava la qualificazione della domanda operata dalla Corte territoriale ai
sensi dell’art. 1667 cod. civ., dovendosi, invece, interpretare la domanda proposta dal Fasano come diretta a far valere i
gravi difetti di funzionalità dell’opera, secondo il disposto
dell’art. 1669 cod. civ.

Con l’unico motivo, articolato in sei censure, il Fasano

Con altra censura si sosteneva essersi formato il giudicato implicito interno sul ritardo nell’ultimazione dei lavori,
non essendo stata impugnata la sentenza di primo grado nella
parte in cui aveva dichiarato che la domanda di risarcimento

essere rigettata, perché la consegna era stata accettata senza
riserve e perché non vi era prova della responsabilità
dell’appaltatore. Di qui, sosteneva il ricorrente, l’omesso
esame della censura dell’appellante sul fatto che l’opera fosse stata accettata senza riserve, con conseguente violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ.
Con altra censura si contestava la sentenza nella parte in
cui non aveva considerato, quanto alla penale, che è sufficiente che l’attore provi il titolo del relativo diritto, nella specie costituito dall’art. 5 del contratto sul termine di
consegna.
Ulteriore censura riguardava il mancato esame dei punti l,
4 e 6 del contratto d’appalto, che subordinavano il pagamento
del corrispettivo alla duplice condizione dell’esecuzione dei
lavori a regola d’arte e del raggiungimento della somma di lire 30 milioni, al netto della ritenuta di garanzia del 10%.
Infine, parte ricorrente lamentava che la sentenza non avesse considerato che l’accordo sull’importo complessivo dei
lavori, pari a lire 63.200.000, avendo natura transattiva, avrebbe dovuto essere provato per iscritto.

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del danno da ritardo nell’ultimazione dei lavori stessi doveva

4.

Con sentenza 27 ottobre 2011, n. 22416, la Corte di

cassazione ha rigettato il ricorso.
La Corte ha così motivato la statuizione di rigetto:
«Quanto alla prima censura, con la quale è dedotta la vio-

terno, che si sarebbe formato sul rigetto dell’eccezione di
decadenza del committente dalla garanzia per i difetti
dell’impianto di riscaldamento, va osservato che dallo stesso
ricorso (v. pag. 7) sì ricava che il Tribunale ebbe ad accogliere la domanda di garanzia limitatamente ai vizi di detto
impianto, “tempestivamente denunciati con lettera raccomandata
del 12 luglio 1988 e cioè entro i due anni dalla consegna”. Il
riferimento al ridetto termine biennale lascia agevolmente intendere che il giudice di primo grado si sia limitato a decidere sull’eccezione di prescrizione della garanzia, escludendola, e non già su quella di decadenza, di guisa che non può
ritenersi formato al riguardo un giudicato esplicito.
Neppure può ritenersi che vi sia stata pronuncia implicita
sulla decadenza, sempre con riguardo ai difetti del predetto
impianto, e che, di conseguenza, si sia formato in merito un
giudicato altrettanto implicito, atteso che quest’ultimo richiede che tra la questione decisa in modo espresso e quella
che si vuole essere stata risolta implicitamente sussista un
rapporto di dipendenza indissolubile, tale da determinare
l’assoluta inutilità di una decisione sulla seconda questione,

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lazione da parte della Corte territoriale di un giudicato in-

e che la questione decisa in modo espresso non sia stata impugnata (Cass. S.U. n. 6632/03). Tale rapporto non può esservi
tra prescrizione e decadenza, per la diversità dei due istituti e delle rispettive condizioni di esistenza, per cui l’una

La seconda doglianza è inammissibile, in quanto introduce
una questione – l’interpretazione della domanda come diretta a
far valere l’esistenza di gravi difetti dell’opera ai

sensi

dell’art. 1669 cod. civ. – nuova, non essendo stata dibattuta
nel giudizio d’appello.
Infatti, nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti
la prospettazione di nuove questioni di diritto o di nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di
fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali
questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di
tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello
(Cass. nn. 1474/07 e 5620/06).
Nello specifico, va osservato che la qualificazione della
domanda giudiziale è una variabile dipendente dalla sua interpretazione, la quale, a sua volta, costituisce una caratteristica indagine di fatto demandata, come tale, al giudice di
merito, e che dunque non può essere posta nel giudizio di legittimità perché richiederebbe l’esercizio di poteri incompatibili con i limiti interni di quest’ultimo.

può darsi senza l’altra.

Anche

la

terza

censura

è

inammissibile.

A tacere dell’intrinseca contraddittorietà fra la tesi del
giudicato interno e l’ipotesi dell’impugnazione da parte
dell’appellante Fasano proprio del capo della sentenza di pri-

da ritardata ultimazione dei lavori per ragioni diverse dalla
negazione del ritardo, conterrebbe un giudicato implicito affermativo del ritardo stesso; del fatto che, come sopra detto,
il giudicato implicito si forma solo sulle questioni (non già
potenzialmente, ma) necessariamente implicate da quella decisa; e della considerazione che vi è incompatibilità ontologica
tra giudicato implicito e criterio della ragione più liquida
(in virtù del quale il giudice può rigettare una domanda per
la ragione più semplice e immediata che da sola ne escluda la
fondatezza, con assorbimento di ogni altra valutazione di fatto); tutto ciò a tacere, va osservato che il motivo pecca di
autosufficienza non essendo specificamente indicata e trascritta la parte dell’atto d’appello che conterrebbe la critica alla sentenza di primo grado lì dove questa ha ritenuto che
l’opera sia stata accettata senza riserve.
La quarta censura è infondata.
La

ritardata

delle

consegna

opere

da parte

dell’appaltatore è un fatto costitutivo del diritto del committente alla percezione della penale prevista per il ritardo,
perché inerisce ad un’obbligazione risarcitoria che, come ta-

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mo grado che, rigettando la domanda di risarcimento del danno

le, non sorge per effetto immediato della convenzione. Ne deriva che correttamente la Corte territoriale ha posto il relativo onus probandi a carico del committente.
La quinta censura è inammissibile, atteso che, nel lamen-

d’appalto, parte ricorrente contesta i risultati cui è pervenuta la sentenza impugnata senza specificarne intrinseche carenze logico-argomentative, ma puramente e semplicemente proponendo la propria lettura critica dei fatti di causa ab e-

strinseco,

richiamandoli e valutandoli secondo il proprio ap-

prezzamento critico. La doglianza, così congegnata, altro non
invoca, pertanto, che un inammissibile sindacato sul merito
della controversia e sulla selezione degli elementi fattuali
rilevanti ai fini della sua decisione, attività, queste, che
non competono al giudice della legittimità.
Infine, la sesta censura è inammissibile per due concomitanti ragioni.
La prima è data dal fatto che la natura transattiva
dell’accordo in base al quale le parti fissarono in lire
63.200.000 l’importo complessivo dei lavori, costituisce questione nuova, non trattata nella sentenza impugnata, che si
limita a richiamare l’accordo sulla riduzione del compenso dovuto all’appaltatore, e la cui specifica allegazione ad opera
dell’odierno ricorrente non trova puntuale illustrazione, non
avendo quest’ultimo indicato in quale atto difensivo avrebbe

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tare il mancato esame di vari punti (l, 4 e 6) del contratto

posto alla Corte d’appello la necessità di un siffatto accertamento.
La seconda consiste in ciò, che l’accertamento relativo
alla natura e alla portata dell’accordo transattivo integra un

surabile in sede di legittimità se la relativa motivazione sia
immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. n. 11632/10).
Nella specie, il ricorrente non formula critiche alla logica
interna della decisione impugnata, ma insiste nel contestarne
l’esito finale ricostruendo e valutando altrimenti le risultanze istruttorie, al fine di proporne una lettura conforme
alle proprie aspettative».
5. – Per la revocazione della sentenza di questa Corte il
Fasano ha proposto ricorso, con atto notificato il 12 dicembre
2012, sulla base di un complesso motivo.
L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.
In prossimità dell’udienza – inizialmente fissata per il
15 ottobre 2013 – il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
L’udienza del 15 ottobre 2013 è stata tuttavia rinviata a
nuovo ruolo, con ordinanza interlocutoria 28 ottobre 2013, n.
24250, giacché l’Avv. Rocco Fasano, unico difensore del ricorrente, ha prodotto idonea documentazione attestante il suo impedimento a comparire per una sopravvenuta colica renale.

apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, incen-

E’ stata quindi fissata una nuova udienza per il 27 febbraio 2014, in prossimità della quale il difensore del ricorrente ha prima depositato, in data 18 febbraio 2014, una memoria illustrativa, e poi, in data 26 febbraio, un certificato

due giorni salvo complicazioni), con richiesta di un nuovo
slittamento dell’udienza.

Considerato in diritto
1. – Preliminarmente, il Collegio – investito di una nuova
richiesta di rinvio dell’udienza di discussione di cui
all’art. 379 cod. proc. civ. per impedimento dell’unico difensore del ricorrente a comparire – ritiene che la dedotta infermità non rivesta i caratteri dell’assoluto impedimento a
partecipare all’udienza.
Invero, l’allegato certificato medico, redatto in data 26
febbraio 2014, si limita ad attestare l’infermità (colica renale) e la prognosi (di due giorni salvo complicazioni), senza
nulla ulteriormente precisare né in ordine all’impossibilità
fisica di partecipare all’udienza e di svolgervi il ministero
difensivo né con riguardo all’insuperabilità clinica della
detta affezione con l’uso di appositi farmaci. Poiché la prova
del legittimo impedimento deve essere fornita dal difensore,
nella specie la genericità del certificato, confermata anche
dal carattere vago ed approssimativo della prognosi, esclude

medico (attestante una colica renale in atto con prognosi di

che la Corte debba disporre accertamenti al fine di completare
l’insufficiente documentazione prodotta.
E’ inoltre da escludere che l’Avv. Rocco Fasano abbia maturato un “diritto” allo slittamento della discussione del ri-

15 ottobre 2013, su richiesta dello stesso difensore del ricorrente è stata rinviata a nuovo ruolo a seguito della presentazione di analogo certificato medico, rilasciato lo stesso
giorno dell’udienza, attestante la colica renale
dell’avvocato. I tempi di definizione del processo – che hanno anche una rilevanza pubblicistica – non consentono infatti
di assecondare generiche ragioni di impedimento del difensore,
destinate a risorgere, con carattere di intermittenza, ad ogni
nuova fissazione di udienza.
2. – Con l’unico mezzo, illustrato da memorie, il ricorrente lamenta che la sentenza della Corte di cassazione sarebbe “viziata da errore di fatto,

ex art. 395, primo comma, n.

4, cod. proc. civ., costituendo il frutto di una falsa rappresentazione di ciò che emerge dagli atti del giudizio, ovvero
il frutto di un travisamento delle istanze ed eccezioni poste
a base del motivo, nonché della sentenza di primo grado nella
parte in cui si è formato il giudicato, e degli ulteriori atti
del giudizio”. La sentenza impugnata sarebbe incorsa in un errore di fatto revocatorio per avere “escluso la formazione del
giudicato sulla decadenza (sia pure ex art. 1667, ultimo com-

corso solo perché la precedente udienza, calendarizzata per il

ma, cod. civ.), la cui esistenza” risulterebbe, invece, “incontestabilmente accertata in base agli atti e documenti del
giudizio”, in particolare dall’ordinanza del giudice istruttore del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, avente “contenu-

committente aveva tempestivamente denunciato i vizi e che,
pertanto, poteva fare valere la garanzia. Inoltre, “mentre i
difetti relativi all’impianto di riscaldamento venivano denunciati con lettera raccomandata, ricevuta dal Colafiglio in data 10 febbraio 1989, con lettera raccomandata ricevuta dal Colafiglio in data 12 luglio 1988 (v. da pagina 7 a pagina 11)
venivano contestati tutti i difetti dell’opera puntualmente
riscontrati dal c.t.u., rientranti nell’ambito dei gravi difetti di costruzione, di cui all’art. 1669 del codice civile,
tuttavia non riscontrati dal Tribunale, né dalla Corte
d’appello di Napoli solo per mera svista, come è stato più
volte evidenziato nell’ambito del giudizio di appello e di
cassazione”. Il giudicato investirebbe “non soltanto i difetti
relativi all’impianto di riscaldamento, ma ogni altro difetto
che, ugualmente (a giudizio della sentenza di primo grado, sul
punto in alcun modo censurata), avrebbero avuto la stessa sorte o valenza del denunciato difetto dell’impianto di riscaldamento, ove fossero stati inseriti nella lettera raccomandata
del 12 luglio 1988 (questi ulteriori difetti non venivano segnalati né dal Tribunale, né dalla Corte d’appello, solo per

to decisorio”, che, nell’ammettere la c.t.u., rilevava che il

mera svista, come è stato ampiamente specificato nel procedimento innanzi alla Corte d’appello e di cassazione)”. La Corte
di cassazione sarebbe inoltre incorsa in un errore di percezione degli atti di causa là dove ha ritenuto inammissibile in

danni diversa da quella ritenuta dal giudice di merito.
3. – Non è configurabile il lamentato errore di fatto revocatorio.
In tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in
cui la Corte sia incorsa in un errore meramente percettivo,
risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver
indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione
processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un
fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del
processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale
(Cass., Sez. Lav., 12 dicembre 2012, n. 22868).
L’errore di fatto che può legittimare la richiesta di revocazione della sentenza di cassazione deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità (ossia quelli che la
Corte deve, e può, esaminare direttamente con la propria indagine di fatto all’interno dei motivi di ricorso) e deve incidere unicamente sulla sentenza di cassazione, atteso che, se
incidesse sulla sentenza impugnata in cassazione, il vizio

cassazione la doglianza circa una qualificazione giuridica dei

correlato potrebbe dare adito soltanto alle impugnazioni esperibili contro le sentenze di merito (Cass., Sez. III, 14 febbraio 2006, n. 3190).
Nella specie il preteso errore compiuto nell’escludere la

denza del committente dalla garanzia per i difetti
dell’impianto di riscaldamento, riguarda in realtà un aspetto
della regiudicanda su cui è caduta l’attività di giudizio e di
interpretazione della Corte, e quindi, per definizione, un ipotetico errore non revocatorio, perché attinente alla valutazione della questione che ha costituito il thema

decidendum

della fase di legittimità.
A ciò aggiungasi che con il ricorso per revocazione si denunciano sviste (relative alla portata del supposto giudicato
interno che investirebbe “non solo i difetti relativi
all’impianto di riscaldamento, ma ogni altro difetto”) in cui
sarebbero incorsi il Tribunale e la Corte d’appello, e quindi
errori che non incidono unicamente sulla sentenza di legittimità.
Attiene, ancora, ad un preteso errore di ragionamento la
dichiarazione di inammissibilità del motivo di censura legata
all’apprezzamento della novità della questione relativa
all’interpretazione e alla qualificazione della domanda giudiziale.

formazione del giudicato sul rigetto della eccezione di deca-

Nessuno dei pretesi plurimi errori denunciati involge una
distorta percezione, ad opera della Corte, di fatti risultanti
in modo incontrovertibile dalla realtà del processo.
Il ricorso, nel suo complesso, mira a reintrodurre il the-

del precedente giudizio di legittimità.
4. – Il ricorso è inammissibile.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo
l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.
PER QUESTI moTrvI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2014.

ma decidendum originario, al fine di sollecitare una revisione

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