Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10183 del 30/04/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 2 Num. 10183 Anno 2013
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: FALASCHI MILENA

risoluzione dopo
adempimento —
Riunione cause

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 31443/06) proposto da:
SCALINCI VITO e STEFANINI LUCIANA, rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in
calce al ricorso, dall’Avv.to Antonio Mastri del foro di Ancona e dall’Avv.to Sergio Del Vecchio del
foro di Roma ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Angelico
n. 38;
– ricorrenti contro
PORTALEONE MARILENA, PERA ELENA e PERA STEFANIA, rappresentati e difesi dall’Avv.to
Marco Maria Brunetti del foro di Ancona, in virtù di procura speciale apposta a margine del
controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv.to Fausto Cerasoli in Roma,
via della Giuliana n. 35;

2,D eoz_

6

1

Data pubblicazione: 30/04/2013

- controricorrenti e ricorrenti incidentali Nonché sul ricorso incidentale (R.G. n. 342/07) proposto dai controricorrenti nei confronti dei
medesimi ricorrenti
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 648 depositata il 22 novembre 2005.

Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito l’Avv.ti Andrea Del Vecchio (con delega dell’Avv.to Sergio Del Vecchio), per parte
ricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto
Libertino Russo, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale,
assorbiti gli altri ed il ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 9 maggio 1988 Marcello PERA evocava, dinanzi al
Tribunale di Ancona, Vito SCALINCI e Luciana STEFANINI esponendo che il giorno 6.8.1985
aveva stipulato con i convenuti contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto
appartamento sito in Senigallia, il cui prezzo complessivo veniva fissato in £. 250.000.000, da
pagarsi quanto a £. 20.000.000 in otto vaglia cambiari di £. 2.500.000 ciascuno con scadenza
mensile a partire dal 31.10.1985, quanto a £. 80.000.000 con l’accollo di un mutuo fondiario che il
promittente venditore doveva perfezionare con il Banco di Sicilia, quanto a L. 50.000.000 con la
cessione di portafoglio di clienti dell’acquirente da pagarsi entro il 31.12.1986, quanto a L.
100.000.000 con portafoglio di clienti dell’acquirente da pagarsi entro il 31.12.1987; aggiungeva
che il contratto definitivo doveva essere stipulato presso il notaio Cozza di Senigallia nel giorno da
indicarsi con raccomandata che il PERA doveva inviare dieci giorni prima della stipula e che
comunque l’atto pubblico, con consegna dell’immobile, era sottoposto alla condizione

2

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 6 novembre 2012 dal

dell’avvenuto pagamento del prezzo, per cui la mancata corresponsione anche di un solo rateo,
come la mancata stipula del contratto definitivo, era causa della risoluzione di diritto del
preliminare, con perdita da parte dei promissari acquirenti di quanto versato; proseguiva che i
convenuti avevano pagato solo £. 40.000.000 ed alla data del 27.2.1988 non si erano presentati

dichiarato risolto ai sensi dell’art. 1456 c.c. ed i convenuti condannati al risarcimento dei danni
nella misura di £. 40.000.000, di cui £. 20.000.000 a titolo di caparra confirmatoria, anche in forza
dell’art. 12 del contratto.
Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali eccepivano di avere
corrisposto l’intero prezzo, esclusa la sola somma da mutuare presso istituto bancario, per cui
spiegavano riconvenzionale per ottenere pronuncia ai sensi dell’art. 2932 c.c., oltre al
risarcimento dei danni, al giudizio veniva riunito altro procedimento introdotto dai coniugi
SCALINCI — STEFANINI avanti il medesimo Tribunale per ottenere la restituzione delle somme
versate al PERA pari a £. 160.000.000, oltre ai danni, avendo appreso che lo stesso aveva
venduto l’appartamento a terzi in data 21.12.1988. Interrotte le cause riunite a seguito del
decesso del PERA, le eredi dello stesso, Marilena PANTALEONI, Elena e Stefania PERA,
riassumevano il giudizio originariamente introdotto dal loro dante causa (R.G. n. 1332/1988),
mentre eccepivano l’estinzione della causa R.G. n. 2075/1989, nel quale interveniva
volontariamente Altesino LUCCHETTI, che chiedeva la condanna delle eredi del PERA a
corrispondergli direttamente la somma di £. 120.000.000 in virtù della cessione del credito ex art.
1260 c.c. operata dallo stesso SCALINCI, il giudice adito, dichiarata l’infondatezza dell’eccezione
di estinzione, accoglieva la domanda del PERA essendo rimasto accertato che i promissari
acquirenti avevano versato la sola somma di £. 160.000.000, inadempimento che integrava
ipotesi di risoluzione ipso iure previsto dall’art. 1456 c.c. in relazione all’ad. 12 del contratto
preliminare; disponeva che le eredi del PERA potevano trattenere la somma di £. 20.000.000

3

avanti al notaio per la stipula del rogito; ciò posto, chiedeva che il contratto preliminare venisse

versata dai coniugi SCALINCI — STEFANINI a titolo di caparra confirmatoria, mentre l’ulteriore
importo di £. 140.000.000, oltre ad interessi, doveva essere restituito giacché la clausola di cui
all’art. 12 del contratto, unilateralmente predisposta dal PERA, non risultava specificamente
approvata per iscritto; dichiarava inammissibile la domanda dell’interveniente, qualificandolo

In virtù di rituale appello interposto dalle eredi del PERA, la Corte di appello di Ancona, nella
resistenza degli appellati SCALINCI e STEFANINI, i quali presentavano appello incidentale,
contumace il LUCCHETTI, in accoglimento del gravame principale e in parziale riforma della
decisione del giudice di primo grado, dichiarava estinto il procedimento n. 2075/1989; dichiarava
le eredi del PERA tenute al rimborso della sola somma di £. 20.000.000 in favore degli appellati.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale — premesso che il motivo relativo alla
estinzione del giudizio introdotto dagli appellati per mancata riassunzione aveva rilevanza in
quanto solo nel secondo processo gli stessi avevano chiesto la restituzione del prezzo pagato evidenziava che il dato testuale deponeva per l’intervenuta riassunzione da parte delle eredi del
PERA del solo giudizio introdotto dallo stesso, in tal senso la richiesta di fissazione della udienza
per la prosecuzione.
Quanto all’entità della somma versata dagli appellati a titolo di prezzo osservava che dall’impianto
istruttorio emergeva pacifico che gli stessi avevano versato £. 20.000.000 al PERA, anche a titolo
di caparra confirmatoria, all’atto della sottoscrizione del preliminare ed altri £. 20.000.000
successivamente, per cui soltanto quest’ultimo importo andava restituito, in quanto l’art. 12 del
preliminare prevedeva una penale, la quale poteva essere diminuita d’ufficio dal giudice,
rappresentando la caparra confirmatoria, pari all’8% del prezzo di acquisto, adeguata in difetto di
prova di ulteriore danno da parte del promittente venditore.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Ancona hanno proposto ricorso per
cassazione i coniugi SCALINCI — STEFANINI, articolato su tre motivi, al quale hanno resistito le

4

adesivo dipendente, per avere formulato una domanda autonoma.

eredi del PERA con controricorso, le quali hanno presentato anche ricorso incidentale, affidato su
un unico motivo.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’art. 335
c.p.c., concernendo la stessa sentenza.
Ciò posto, con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli
artt. 102, 103, 273, 274, 300, 302, 305, 307 c.p.c., nonché degli artt. 2697, 1453, 1454, 1456,
1218 e ss. c.c., anche per vizio di motivazione, per avere la corte di merito erroneamente ritenuto
che la richiesta delle eredi del PERA “di fissazione dell’udienza per la prosecuzione del processo
interrotto” avesse ad oggetto esclusivamente quello iniziato dal loro dante causa essendo lo
stesso dato testuale di segno nettamente contrario. Osservano, inoltre, i ricorrenti che nella
specie non si è di fronte ad un litisconsorzio facoltativo, ove più parti agiscono o sono convenute,
ma a due cause tra le medesime parti, a posizioni invertite.
Inoltre — ad avviso dei ricorrenti — è erroneo l’assunto della corte di merito secondo cui le
controparti sarebbero state prive di interesse a riassumere il secondo giudizio, perché vi erano
convenute, richiesto dagli odierni ricorrenti la risoluzione del contratto e risarcimento del danno.
Proseguono i ricorrenti che la sentenza impugnata ha violato e falsamente applicato l’art. 1453,
comma 2, c.c., in quanto ammessa (e non concessa) l’estinzione del giudizio n. 2075/1989, deve
ritenersi comunque ritualmente proposta la domanda dei promissari acquirenti di risoluzione del
contratto in base alla norma invocata. Del resto emerge di tutta evidenza la responsabilità di
Marcello Pera che in violazione dell’obbligazione assunta con i ricorrenti, ha realizzato una
seconda alienazione del medesimo immobile, con la conseguenza che il promittente venditore,

5

MOTIVI DELLA DECISIONE

inadempiente all’obbligo di stipulare il contratto definitivo, dovrà essere condannato alla
restituzione di tutte le somme esborsate a titolo di prezzo del bene, oltre a risarcire i danni subiti.
Osserva il collegio che il motivo seppure teoricamente fondato nella prima parte, è da ritenere
inammissibile nella seconda parte per carenza di interesse.

sulla questione degli effetti dell’interruzione, verificatosi un contrasto (composto dalle sezioni unite
con la sentenza 5 luglio 2007 n. 15412), ha deciso che “la lettera della legge è compatibile con la
divisibilità dell’interruzione, che va dichiarata solo nei procedimenti in cui è parte il soggetto colpito
dalla perdita di capacità, potendo le altre cause proseguire”, poiché nella specie il Pera era parte
costituita in entrambi i giudizi, l’ordinanza di interruzione del giudice istruttore ha necessariamente
riguardato entrambe le controversie.
Alla luce di tale orientamento e procedendo all’esame diretto dell’atto di riassunzione, consentito
per la deduzione del vizio in procedendo in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, che impone a
questo giudice di legittimità una cognizione non circoscritta alla sufficienza e logicità della
motivazione con la quale il giudice di merito ha vagliato la questione, bensì estesa all’esame
diretto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda (purché la censura sia stata proposta
dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito: cfr, da ultimo, Cass.,
sez. un., 22 maggio 2012 n. 8077), si rileva che il tenore di detto atto è nel senso che le eredi del
Pera abbiano inteso riattivare entrambi i giudizi, difettando di qualsiasi formula che faccia
intendere una limitazione al solo processo introdotto dal loro dante causa. Ne consegue che la
sentenza impugnata, che ha dichiarato l’estinzione del giudizio n. 2075/1989 per mancata
tempestiva riassunzione, è sul punto erronea.
In ogni caso l’accoglimento della censura risulta carente di interesse, giacchè tutte le domande
proposte dai promissari acquirenti nel giudizio n. 2075/1989, erroneamente dichiarato estinto

6

Premesso che — diversamente da quanto affermato dai ricorrenti – la giurisprudenza di legittimità

dalla corte di merito, risultano superate dalla conferma della decisione di primo grado che ha
accolto le domande avverse, introdotte con la prima causa.
In altri termini, il giudice distrettuale nel confermare la decisione del giudice di prime cure, che ha
pronunciato la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dei promissari acquirenti,

una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti che le parti si sono addebitati, al fine
di stabilire se sussistesse l’inadempimento che legittimava la risoluzione. Detta valutazione ha
comportato il vaglio ed il superamento di tutte le questioni e di tutte le domande dei promissari
acquirenti. E’ evidente, infatti, che una volta risolto il contratto, non vi è più spazio per l’ulteriore
esame di contrapposte domande; tanto è avvenuto nel presente giudizio e, dunque, la doglianza
dei ricorrenti è priva di consistenza.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,
2730, 2733, 2734, 2727 e 2729 c.c., anche per vizio di motivazione per avere la corte distrettuale
fatto malgoverno delle risultanze di causa, in particolare delle dichiarazioni rese dallo SCALINCI
in sede di interrogatorio formale circa la ricezione in pagamento delle cambiali di un assegno di £.
44.000.000 ed il pagamento da parte del PERA delle restanti cambiali, senza considerare che
detti pagamenti erano relativi ad altri rapporti che intercorrevano fra le parti, diversi dalla
compravendita de qua. L’assunto del giudice del gravame non troverebbe riscontro negli atti di
causa, non essendovi alcun collegamento fra le cambiali successivamente emesse a firma dello
SCALINCI ed il preliminare, oltre ad essere gli assegni del PERA di molto posteriori alle scadenze
degli effetti rilasciati dallo stesso SCALINCI a termini dell’art. 8 del contratto. Del resto gli effetti
per un importo complessivo di £. 120.000.000 risulterebbero regolarmente onorati dai promissari
acquirenti, come emerge dal loro possesso da parte dei medesimi ricorrenti.
Il motivo, prima che infondato, è inammissibile giacché, lungi dal porre in evidenza violazioni di
legge ovvero omissioni, deficienze o contraddittorietà del ragionamento che sorregge la

7

trovandosi in presenza della deduzione di contrapposti inadempimenti, ha dovuto procedere ad

decisione, i ricorrenti indugiano nel proporre una diversa ricostruzione dei fatti, adducendo ancora
una volta la tesi dell’inadempimento del promittente venditore, la cui consistenza è stata sempre
esclusa dalla corte territoriale, con motivazione giuridicamente e logicamente attrezzata, che fa
leva anche sulla considerazione che dall’impianto istruttorio emergeva come certo il versamento

principio, consolidato, per cui non è consentita la rivalutazione delle emergenze processuali al
fine di conseguirne una lettura favorevole all’interessato, ma diversa da quella fornita dal giudice
di merito (tra le altre, Cass. 26 marzo 2010 n. 7394; Cass. 6 marzo 2008 n. 6064).
Con il terzo ed ultimo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1385 e 1341 c.c.,
anche per vizio di motivazione, giacchè avendo il PERA richiesto la risoluzione del contratto e non
già il recesso, il risarcimento dei danni riconosciuto in favore della parte non inadempiente segue
le regole delle norme generali, con la prova dell’an e del quantum. Inoltre la clausola di cui all’art.
12 del preliminare, contrariamente a quanto affermato dalla corte distrettuale, è da ritenere
comunque vessatoria per essere inserita in un modulo a stampa predisposto dal contraente in
posizione dominante e non specificamente approvata- per iscritto ex art. 1341 c.c. e perché
consente la risoluzione del contratto anche per il mancato pagamento di un solo rateo di prezzo.
Rileva il collegio che non sussistono né la dedotta violazione di legge né la prospettata
contraddittorietà del percorso motivazionale.
Infatti, con motivazione logica ed adeguata oltre che rispondente alla comune volontà delle parti e
alla condotta dalle stesse complessivamente adottata anche posteriormente alla conclusione del
suddetto contratto preliminare (all’atto della cui stipula è incontroverso che lo SCALINCI ebbe a
versare la somma di £ 20.000.000 a titolo di caparra), la corte territoriale ha correttamente statuito
che, in effetti, mediante la previsione di cui all’anzidetta clausola (nella quale era stato stabilito
che la mancata corresponsione anche di un solo rateo, come la mancata stipula del contratto
definitivo, sarebbe stata causa di recesso — rectius: risoluzione – con perdita per i promissari

8

da parte dei promissari acquirenti della sola somma di £. 40.000.000, con ciò contravvenendo al

acquirenti dì quanto versato), le parti avevano inteso evidentemente escludere l’applicazione del
principio della restituzione del doppio della caparra (per l’eventualità dell’inadempimento dei
promissari acquirenti, introducendo, tuttavia, l’obbligo per l’inadempiente di corrispondere all’altra
parte una penale equivalente a quanto corrisposto fino al momento della risoluzione ex art. 1456

del giudice di primo grado (che era giunto alla medesima conclusione, ancorché discorrendo
impropriamente di restituzione della caparra, mentre l’ulteriore importo riscosso — pari a £.
140.000.000 — andava restituito per non essere stata la clausola 12) specificamente approvata
per iscritto), la corte di appello non è incorsa nella prospettata violazione di legge ricondotta
all’illegittima applicazione dell’art. 1385, comma 2, c.c.
Deve, in proposito, osservarsi che, in tema di caparra confirmatoria, il principio di cui al comma 2
dell’art. 1385 c.c. (in virtù del quale la parte non inadempiente ha facoltà di recedere dal contratto
ritenendo la caparra ricevuta od esigendone il doppio rispetto a quella versata) non è applicabile
(come, in effetti, dedotto dai ricorrenti) tutte le volte in cui la parte non inadempiente, anziché
recedere dal contratto, si avvalga del rimedio ordinario della risoluzione del negozio, perdendo, in
tal caso, la funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno; tuttavia, deve affermarsi
(cfr., ad es., Cass. n. 11356 del 2006) che, qualora, anziché recedere dal contratto, la parte non
inadempiente si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione
del negozio (come verificatosi nella specie), la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti
restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della
corresponsione, giacché in tale ipotesi essa perde la suindicata funzione di limitazione forfettaria
e predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto, e la
parte che allega di aver subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione o
in esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento dell’integrale danno subito, se e nei
limiti in cui riesce a provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina generale di cui agli

9

c.c.. In tal senso, dunque, ed avendo del tutto legittimamente reintepretato i termini del “decisum”

artt. 1453 ss. c.c., salvo che non ne sia stata convenzionalmente predeterminata la misura sotto
forma di clausola penale. In altri termini, qualora la parte non inadempiente, invece di recedere
dal contratto, manifesti la volontà di optare per l’esercizio del rimedio ordinario della risoluzione
del negozio, la restituzione di quanto versato a titolo di caparra è dovuta dalla parte adempiente

giustificativa, senza alcuna necessità di specifica prova del danno, essendo il danno stesso
(consistente nella perdita della somma capitale versata alla controparte maggiorata degli
interessi) “in re ipsa”, mentre la prova richiesta alla parte che abbia scelto il rimedio ordinario della
risoluzione del preliminare riguarderà esclusivamente l’eventuale maggior danno subito in
conseguenza dell’inadempimento dell’altra parte. Tuttavia, per il caso di previsione cumulativa di
caparra e penale nello stesso contratto, tale ulteriore danno sarà automaticamente determinato
nel “quantum” previsto a titolo di clausola penale che ha la funzione di limitare il risarcimento del
danno nel caso in cui la parte che non è inadempiente preferisca, anziché recedere dal contratto,
domandarne la risoluzione (in termini, v. Cass. 28 giugno 2012 n. 10953).
A tale principio la corte di merito si è correttamente attenuta nella fattispecie allorquando,
nell’interpretare globalmente la menzionata clausola n. 12) del contratto preliminare in discorso,
ha adeguatamente rilevato che, nel caso di inadempimento dei promissari acquirenti e di
intervenuta risoluzione del contratto, il Pera (e per lui gli eredi) sarebbe stato tenuto alla
restituzione della caparra e di quanto pagato dalle parti inadempienti, salvo trattenere la penale
quantificata in una misura corrispondente a quella della caparra stessa, e dunque parametro per
la determinazione del danno (e non, quindi, al pagamento sia della caparra sia della penale
corrispondente all’intero importo versato dai ricorrenti, provato per l’ammontare di £. 40.000.000).
Anche il profilo del motivo relativo alla pretesa vessatorietà della clausola 12) va respinto,
considerato che le caparre, clausole penali e similari, con le quali le parti abbiano determinato in
via convenzionale anticipata la misura del ristoro economico dovuto, da una parte all’altra, in caso

10

quale effetto della risoluzione stessa in conseguenza della caducazione della sua causa

di recesso o inadempimento, non rientrano tra quelle previste dall’art. 1341 c.c., per le quali è
richiesta la specifica approvazione. Univoca è a tal riguardo la giurisprudenza di questa corte (v.,
tra le altre, Cass. 23 gennaio 2004 n. 1168; Cass. 26 ottobre 2004 n. 20744; Cass. 23 dicembre
2004 n. 23965; Cass. 18 marzo 2010 n. 6558), per la quale, per un verso, le disposizioni degli

predisposte da uno dei contraenti ed i contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o
formulari (predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali), del
tutto estranee alla vicenda in esame e, per altro verso, la clausola penale, espressamente
prevista dagli artt. 1382 e segg. c.c., non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi di clausole
“vessatorie” tassativamente previste dall’art. 1341 c.c..
Per le ragioni suesposte va ritenuta l’infondatezza anche dell’unico motivo del ricorso
incidentale, con il quale le eredi del PERA deducono la violazione e falsa applicazione degli artt.
1382 e 1384 c.c. per avere la corte di merito errato nel ritenere che la clausola di cui all’art. 12
del preliminare contenesse una penale, come tale limitante il risarcimento alla prestazione
promessa, e comunque anche a ritenerla quale penale, non avrebbe potuto essere ridotta in
assenza dei presupposti, non essendo stata, peraltro, dalle ricorrenti incidentali neanche
specificamente dedotta alcuna violazione riconducibile ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e
segg. c.c. in ordine alla valutazione della contestata clausola di cui al punto n. 12) del contratto
preliminare del 6 agosto 1985 intercorso tra le parti.
Quanto al profilo della (il)legittimità della riduzione della penale, occorre richiamare il principio
costantemente affermato da questa corte secondo il quale l’apprezzamento sulla eccessività
dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di
ritardato adempimento, nonché sulla misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo,
rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio è incensurabile in sede di
legittimità, se correttamente fondato, a norma dell’art. 1384 c.c., sulla valutazione dell’interesse

11

artt. 1341 e 1342 c.c. concernono fattispecie relative alle condizioni generali di contratto

del creditore all’adempimento, con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle
prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed
esclusiva correlazione con l’entità del danno subito (v. Cass. 16 febbraio 2012 n. 2231; Cass. 16
marzo 2007 n. 6158; Cass. 18 marzo 2003 n. 3998; 26 giugno 2002 n. 9295; 8 maggio 2001 n.

In fatto, dalla sentenza di appello risulta che il prezzo pattuito ammontava a £. 250.000.000 e
pertanto il rapporto percentuale tra il prezzo e la penale liquidata (in £. 20.000.000) è pari all’8%
e sulla base dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, risulta evidente la manifesta
infondatezza del motivo.
Infatti la corte distrettuale ha preso in considerazione l’interesse del creditore ed accertato che lo
stesso, vendendo l’immobile a terzi, aveva comunque conseguito il risultato utile, recuperando il
valore dell’immobile, e con criterio di natura “oggettiva”, attinente allo squilibrio tra le posizioni
delle parti (cfr., in motivazione, Cass. SS.UU. 13 settembre 2005 n. 18128), ha rideterminato
l’ammontare adeguato della pattuita penale.
In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso principale e quello
incidentale devono essere rigettati e le spese del presente giudizio interamente compensate fra le
parti, in considerazione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta entrambi i ricorsi e dichiara ìnteramente compensate fra le partì le
spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 6 novembre 2012.

6380; 14 aprile 1994 n. 3475).

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA